28 gennaio 2009 - Tio.ch

-
-
PROCESSO TAMAGNI
Mauro Ermani: 'Erano consapevoli che potevano uccidere Damiano'.

LOCARNO - La porta delle assise criminali di Locarno si è aperta alle ore 22.35, dopo oltre 12 ore di camera di consiglio, per fare passare dapprima gli avvocati della difesa ed in seguito i familiari stretti degli imputati e di Damiano Tamagni. Genitori, fratelli, zii e cugini che si sono incrociati a pochi minuti dalla sentenza condividendo la tensione dipinta sul loro volto.

Pochi minuti dopo è stata la volta dei giornalisti che, entrando in aula, hanno trovato la corte, gli avvocati della difesa, la pp Rosa Item, l'avvocato di parte civile, i genitori di Damiano e i familiari di Marko, Ivica e Ivan ad attendere in assoluto silenzio l'arrivo degli imputati e lo squillare della campanella.
Un silenzio assoluto carico di tensione.
Il giudice Ermani ha poi cominciato a leggere la sentenza decisa dalla corte sottolineando che l'invito alla serenità, formulato dagli avvocati difensori nel tentativo di cancellare le tensioni e le pressioni generate dall'opinione pubblica, "è parsa un'ovvietà". Mauro Ermani ha poi continuato la lettura della sentenza spiegando che la corte ha basato la sua sentenza solo su considerazioni di carattere legale e sottolineando, riferendosi chiaramente alle richieste formulate dall'avvocato Luca Marcellini nella sua arringa difensiva, di una giustizia esemplare. "Non spetta alla corte dire se il giudizio preso è esemplare" ha affermato il presidente della corte che ha poi continuato precisando che tale compito spetterà eventualmente ad un'altra corte.
"È stata esemplare la dignità dei genitori della vittima -ha poi sottolineato la sentenza-, consci del fatto che la giustizia non potrà mai lenire le loro sofferenze".
La corte si è limitata, spiega il giudice Mauro Ermani, ad "accertare i fatti in modo oggettivo e senza pregiudizi". Comportamento che l'ha portata a constatare che Damiano è stato ucciso senza che egli abbia minimamente assunto qualsiasi comportamento che potesse aver indotto Ivan Jurkic a pensare che Damiano si trovasse all'interno di una bagarre. "La corte ha proceduto ad un'analisi minuziosa degli atti -ha affermato in seguito il giudice ribadendo che la corte- ha colto l'invito delle difese di valutare le testimonianze con estrema prudenza consci dei sentimenti di sconcerto e rabbia". Seguendo l'invito formulato dalla difesa "la corte ha pure tenuto conto che è umano cercare giustificazioni" riferendosi alle versioni discordanti dei primi verbali ed alle successivi ritrattazioni. Comportamento quindi che non va inteso, secondo quanto affermato dalla difesa, come un atto premeditato.
La lettura della sentenza si è poi concentrata sugli imputati.

Ivan Jurkic
"La corte ha accertato che non si è mai dissociato, prima dell'arresto, dagli altri due. Che ad un certo punto è andato a casa non perché pentito ma solo perché il mattino successivo doveva lavorare -afferma Ermani ponendo in seguito l'attenzione sul fatto che dopo l'arresto "non ha esitato a gettare fango su Damiano". La corte inoltre ritiene che Ivan Jurkic abbia colpito Damiano mentre si trovava a terra, al contrario di quanto affermato dall'imputato. Posizione assunta dopo aver "valutato con prudenza le testimonianze". "Dopo attenta e ponderata analisi di tutto il materiale probatorio la corte conferma l'atto d'accusa e gli estremi del reato d'aggressione" ha affermato il giudice prima di decretare la durata della pena inflitta questa sera in prima istanza.

Marko Tomic e Ivica Grgic
La corte, spiega Ermani, ha deciso di considerare il reato commesso in correità tra i due imputati. "La corte ha escluso che Damiano sia stato colpito alla testa mentre ancora era in piedi" afferma il giudice leggendo la sentenza stilata in camera di consiglio. "Quanto al calcio imputato a Tomic alla corte non è apparso credibile che all'imputato si sia spenta la luce dei ricordi unicamente per la fase che lo avrebbe visto sferrare il calcio a Damiano. La corte ha pure accertato, al di la di qualsiasi dubbio, che sia stato lui a colpire Damiano alla tempia mentre era a terra. Grgic ha ammesso di aver colpito Damiano a terra con un calcio".
"È pure incontestato che la vittima è deceduta in seguito alla lacerazione dell'arteria cervicale intracranica" afferma la corte che, si apprende dalla lettura della sentenza, ha ritenuto convincente e per nulla scalfita dalla perizia di parte, la perizia del dott. Osculati". Tornando alla lacerazione dell'arteria che ha causato il decesso di Damiano la corte ritiene "che non può essere stata causata che da uno o dall'altro trauma alla testa o da entrambi". La corte ha pure stabilito che il decesso di Damiano è avvenuto in seguito ai colpi inferti alla testa quando egli si trovava a terra.
"Chi colpisce una vittima a terra non puo non pensare che possa causarne la morte" ha affermato il giudice prima di decretare la pena di 10 anni ad entrambi gli imputati.
Il dolore dei familiari ha rotto il silenzio. "Siamo ancora un po' confusi" è la parola di uno dei familiari di Damiano.
Nella notte è giunta in redazione la notizia di una conferenza stampa indetta per oggi dalla famiglia Tamagni.

28 gennaio 2009 - Giornale del Popolo

PROCESSO TAMAGNI
10 anni per Tomic e Grgic; 2 anni e 6 mesi a Jurkic
La Corte non ha dubbi: «È omicidio intenzionale»

«La giustizia può solo accertare i fatti e non lenire le sofferenze», ha detto il giudice Ermani pronunciando la sentenza dopo 13 ore di camera di consiglio. «È stato un gesto vigliacco ed egoista per soddisfare la voglia di menare le mani. Non potevano non sapere che avrebbero provocato la morte di una persona». Il pianto di alcuni familiari degli imputati alla lettura del dispositivo.

***

«Gesti vili» Giudizio esemplare

di LUCA PELLONI

Lo sguardo severo, il tono fermo. Pa­role durissime, «per una colpa gravis­sima ». Il giudice Mauro Ermani non ha usato mezzi termini rivolgendosi ai tre imputati Ivica Grgic, Marko Tomic e Ivan Jurkic. La tensione in sala era al­tissima. Lo era già prima della senten­za, rimandata più volte fin verso le 22.45. Ma poi, finalmente, il verdetto. Che non lenirà il dolore dei familiari di Damiano. Ma che permetterà loro di avviarsi su questo cammino. Dolo­re anche tra i parenti dei tre imputati, che durante la sentenza sono scoppiati in lacrime. Lacrime comunque giuste, perché ciò che hanno commesso i tre imputati ha irrimediabilmente sconvolto anche le vite dei loro cari. «Gesti vigliacchi, commessi solo per soddisfare la voglia di menare le mani», ha commentato il giudice. Gesti che hanno colpito un innocente. Gesti che i tre imputati non sono riusciti a motivare minimamente. E che vanno dunque condannati con la necessaria severità. Non perché lo chiede il popolo, che ha da subito dimostrato un interesse viscerale per la vicenda. Ma perché è giusto che chiunque paghi per ciò che ha commesso. Non si tratta dunque di una pena esemplare, come sottolineato dallo stesso Ermani. «Questo giudizio spetterà semmai a un’istanza superiore», ha spiegato. Ma di un giudizio esemplare, emanato dopo una scrupolosa ricostruzione di tutti i fatti. Accertati con grande fermezza dalla corte, che ha così raggiunto la certezza che Grgic e Tomic si sono macchiati di omicidio intenzionale, per dolo eventuale. «Non potevano non sapere che il loro agire avrebbe provocato la morte». Grave anche la colpa di Jurkic, che ha agito senza motivo, aggredendo un innocente. E non è mai intervenuto per fermare i suoi amici. Così la giuria ha deciso di condannare i primi due a dieci anni di detenzione. E il terzo a due anni e sei mesi, sospesi parzialmente con la condizionale. La corte ha infine sancito che Grgic, Tomic e Jurkic dovranno pagare 175mila franchi per torto morale alla famiglia Tamagni. Oltre a 89mila franchi di spese legali. Una somma, la prima, che andrà totalmente a favore della Fondazione Damiano Tamagni, creata proprio a seguito della morte del giovane gordolese per fronteggiare l’incalzante violenza giovanile. Soldi che, si spera, potranno servire a qualcosa di buono. Nella convinzione che la morte di Damiano non sia stata inutile.

***

Ermani è durissimo: «Hanno agito da vigliacchi, disprezzando la vita»

di LUCA PELLONI e PATRICK MANCINI

«Hanno agito da vigliacchi, senza scrupoli, solo per soddisfare la loro vo­glia di violenza, dimostrando disprez­zo per la vita umana». Non ha usato mezzi termini il giudice Mauro Erma­ni nel pronunciare la sentenza. Paro­le durissime. «Per una colpa gravissi­ma – dice –. Damiano è stato ucciso senza che avesse mai dimostrato un comportamento che lasciasse presa­gire una situazione di rissa o bagarre. Si è trovato al posto sbagliato, nel mo­mento sbagliato, di fronte alle perso­ne sbagliate». Il presidente della cor­te ieri sera ha così confermato total­mente l’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Rosa Item. «La corte non ha colto differenze ne­gli atti commessi da Ivica Grgic e Marko Tomic», ha continuato. «Grgic ha qualche precedente, ma si è dimo­strato più sincero. Tomic, invece, ha mantenuto durante tutto il dibatti­mento un comportamento che non lascia presagire un’assunzione di re­sponsabilità ». Quindi la giuria ha condannato entrambi a dieci anni di detenzione. «La gravità dei loro gesti non va motivata oltremodo. Basta di­re che hanno colpito una persona che si trovava a terra, inerme, mentre non poteva difendersi». Grave è anche la colpa di Ivan Jurkic. «E questo per il reato che ha commes­so. A prescindere dall’esito letale del­l’aggressione », ha sottolineato Erma­ni. «Jurkic non si è mai dissociato da­gli altri due prima dell’arresto. E do­po il pestaggio è andato a casa non perché pentito, ma solo poiché il giorno seguente doveva lavorare. Inol­tre la corte ha potuto accertare che Jurkic ha preso parte al pestaggio, ti­rando a sua volta qualche calcio all’ad­dome di Damiano, quando quest’ul­timo si trovava già a terra». Jurkic, dun­que, è stato condannato a due anni e sei mesi di detenzione. «Non trovan­do motivi per formulare una progno­si negativa, la corte ha deciso che Jurkic potrà beneficiare di una parzia­le sospensione della pena», ha aggiun­to Ermani. Quattordici, in totale, i me­si che dovrà passare in carcere, di cui quasi dodici già scontati. Tornando a Grgic e Tomic, condanna­ti per omicidio intenzionale, Ermani si è soffermato sulla nozione di dolo eventuale. «È un tipico caso», ha affer­mato. La morte di Damiano è stata causata da una lacerazione dell’arte­ria vertebrale intracranica. Una lesio­ne provocata dai calci inferti da Grgic e Tomic. La corte lo ha potuto accer­tare ricostruendo quanto accaduto grazie alle numerose testimonianze raccolte. «Sono stati determinanti i calci inferti in una zona vitale, quan­do la vittima era a terra inerme», ha ri­petuto Ermani. «Chi colpisce in que­sta maniera non può non pensare di poter provocare la morte della vittima. Quindi lo accetta».

***

Gli zii di Damiano: «I giudici hanno fatto il possibile, ma...»

«Non so se questa possa essere definita giu­sta. So solo che i giudici non potevano fare di più in base al diritto svizzero. Accetto serenamen­te il verdetto, anche se forse certe leggi andreb­bero riviste». Danilo Tamagni è lo zio di Damiano. Ha lo sguardo spento. È stravolto, dopo la sen­tenza di Mauro Ermani. Accanto a lui c’è don Sa­muele, il fratello. «Sul concetto di “pena giusta” – dice – si potrebbe discutere all’infinito. I giu­dici hanno fatto il loro lavoro. E lo hanno fatto bene. L’importante è che sia venuta a galla la ve­rità ». Ha la voce rotta dall’emozione, don Sa­muele. Ma riesce comunque a restare oggetti­vo. «Scusatemi – sospira –, sono esausto, sfini­to. Ora per la nostra famiglia inizia un nuovo ca­pitolo. Mio fratello Maurizio (il papà di Damia­no, ndr) ha deciso di non parlare per adesso. Lo farà prossimamente, quando se la sentirà. Quando la tensione accumulata in questi gior­ni terribili calerà». Anche Danilo ha vissuto i set­te giorni alle assise criminali con il fiato sospe­so. «Ho due figli piccoli – spiega –. E anche loro un giorno andranno a carnevale. Lo ripeto: cer­te norme vanno riviste. Dieci anni di carcere per persone così violente sono un po’ pochi. Se cal­coliamo la buona condotta e il fatto che in Sviz­zera l’anno carcerario non dura 12 mesi, signi­fica che tra 5 o 6 anni potrebbero uscire». Poi Da­nilo spende due parole per Ivan Jurkic. «È lui che ha iniziato tutto – precisa –. Deve ritenersi for­tunato per avere ricevuto solo 2 anni e 6 mesi. Anche lui ha picchiato Damiano. Ma ha avuto fortuna nel non infliggergli un colpo letale. Spe­ro che faccia tesoro di quanto gli è capitato». «Il giudizio umano è stato espresso – gli fa eco don Samuele –. Adesso questi tre ragazzi sono nel­le mani del giudizio di Dio. Lasciamo fare a Lui». Intanto, dalle scale scende la famiglia Tomic. La sorella piange a dirotto. È l’ultima istantaea di una serata da brividi.

***

Editoriale
UN’ALTRA “GIUSTIZIA” È POSSIBILE
di LUCA FIORE

La corte ha emesso la sentenza e in queste cricostanze si dice: giustizia è fatta. Ma tutti sappiamo che la giustizia dei tribunali, necessaria e doverosa, non ci basta perché, in fondo, non è stata fatta giustizia verso nessuno. Non c’è giustizia per la famiglia Tamagni, che non riavrà mai il suo Damiano e non c’è giustizia verso i tre giovani colpevoli, che non riavranno mai la loro innocenza. Inutile illudersi che la sentenza di un giudice metta le cose a posto. Non può togliere il dolore e non può sanare le ferite. Questa sentenza non mette il cuore in pace neanche a noi che abbiamo assistito attoniti a questa vicenda nella quale abbiamo visto il volto del male cieco, che non sa dare spiegazione neanche a se stesso. E quel male aveva il volto di ragazzi cresciuti nello stesso Ticino che ha visto crescere anche Damiano Tamagni. Inutile ricorrere a facili teoremi sociologici che non sono in grado di spiegare ciò che vorremmo spiegare ma che non siamo in grado di fare. Il dolore innocente non si spiega, è lì ad interrogare chi ha il coraggio di non voltare lo sguardo da un’altra parte. È il coraggio che ha avuto la famiglia Tamagni e che vorremmo avessero tanto gli amici di Damiano quanto i colpevoli e i loro cari. Questo coraggio vorremmo averlo noi per guardare in fondo a questo dolore indicibile e domandarci davvero “perché?”. Non per capire perché è toccata a un bravo ragazzo come Damiano, non per comprendere le dinamiche che hanno scatenato la violenza dei tre giovani. No. Occorre arrivare davvero al fondo della questione: perché se si muore, si muore perché siamo vivi e la morte ha un senso solo se anche la vita ha un senso. E allora finché non daremo risposta a questa domanda di significato (perché sono al mondo?) non saremo in grado di guardare in faccia questa disgrazia e tutte quelle a cui abbiamo assistito o a cui assisteremo. A chi cercherà facili scorciatoie non rimarrà che una triste consolazione, o una vita a cercare di distrarsi per non ricordare. Non è un caso che per noi cristiani il senso della vita ha il volto di una vittima innocente, condannato a morte senza avere colpe. L’incontro con Gesù Cristo è innanzitutto l’incontro con qualcuno che è riuscito a riempire, prima ancora del vuoto dell’ingiustizia altrui, l’abisso della nostra inadeguatezza. Il rapporto con Lui, presente, è il continuo ripetersi, a dispetto di tutto il disastro umano di ciascuno, del suo inesauribile amore. È un amore assolutamente gratuito, che non ci si è meritati. Un’altra parola per definire questo amore è “perdono”. Se sono cristiano è perché ho fatto esperienza di questo perdono. Solo per questo sono in grado di perdonare: perché a mia volta sono stato perdonato. Posso perdonare anche perché vedo persone che perdonano: casi privati e casi pubblici di persone che non hanno avuto paura a perdonare; in televisione abbiamo visto ad Erba come Carlo Castagna ha perdonato gli assassini di sua moglie, sua figlia e suo nipote. Persone reali, non discorsi buoni solo per le sacrestie. Per fare questo passo hanno avuto la semplicità di ricordarsi che qualcuno ha perdonato loro. Se qualcosa del genere accadrà per questi ragazzi -come certamente desidera Damiano- potrebbe essere l’occasione per loro di non sciupare, anche, il tempo della pena.

***

Commento
E ora, il tempo del silenzio
di GRAZIANO MARTIGNONI

Il processo è terminato , la senten­za decisa. Quando i giudici si saran­no ritirati per l’ultima volta, gli av­vocati chiuso le loro cartelle e i mas­smedia spenti i loro riflettori, verrà inesorabile il tempo del silenzio ove ognuno nella propria intimità, vit­time e colpevoli, si ritroveranno soli di fronte a quel destino, che si è manifestato così crudele e tremen­do. Un destino a cui il Processo avrà tentato di dare ragionevolezza e a cui sarà dato un nome nella distri­buzione saggia e ponderata delle re­sponsabilità. Ma il destino nella sua crudeltà rimane il destino in­spiegabile e tremendo. Tutti siamo chiamati a non dimenticare e a por­ci umilmente di fronte a lui. È basta­ta quella sera, che doveva essere di festa, sono bastati pochi momenti per cambiare, anche se diversa­mente, le vite di quei giovani e del­le loro famiglie. Nella solitudine e nel silenzio che sopraggiunge la via si fa ardua. Quella solitudine può fa­cilmente divenire smemoratezza, indifferenza nel fluire della vita, quel silenzio farsi assordante nel ri­morso, nel rancore e nella colpa, op­pure farsi possibilità, farsi per ognu­no destinazione. Un destino che dalla crudeltà insensata di un acca­dimento diviene per le vittime, co­me già sta avvenendo, nostalgia, ri­cordo, dolore condiviso e per i col­pevoli, proprio attraverso l’espiazio­ne della pena, dura strada di una ri­nascita. Ma tutto ciò non può avve­nire se quel silenzio e quella inevi­tabile e dolorosa solitudine dei cuo­ri non sarà accompagnata. Accom­pagnata da tutta una comunità che non smetterà di interrogarsi su co­me educare, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nel tempo di svago, i nostri giovani a quel saper riconoscere nell’altro uomo, in chi ti sta accanto, in chi ti passa accan­to, in chi è più debole e persino nel conflitto e nel diverbio solamente una parte di se stessi. Un Sé stesso, nel Volto anche di chi è diverso da te, che merita rispetto, generosità, aiuto, perché ciò che fai all’altro lo fai sempre anche a te stesso. Il cammino si fa arduo per chi resta, per la famiglia del giovane Damia­no, per quelle dei giovani aggresso­ri. I giovani condannati ad espiare la giusta pena dovranno poi essere aiutati a riconoscere la loro colpa, al di là di quella processuale, a ripren­dere il cammino della vita, a ricosti­tuire la loro anima con il peso for­se indelebile di quanto avvenuto ma con la speranza che l’espiazione possa ridare loro il senso e il valore della vita umana. Un compito, che dopo le tante voci di questi giorni, dovrà iniziare subito per dare con­tenuto vero e umano alla parola pe­na e orizzonte alla parola vita. Un ul­timo pensiero a Damiano che ci guarda e così come ci è apparso nel­le testimonianze di chi lo ha cono­sciuto, forse mitemente ci sorride con amore.

***

FATTORE EDUCATIVO
Nulla accade “per caso”
di PIER GIACOMO GRAMPA

Adesso che il processo di Locar­no si è concluso con la sentenza, al di là di tutte le considerazioni giu­ridiche ( doveva essere sentenza esemplare o semplicemente giusta; è risultata lieve o congrua; servirà ai colpevoli e sarà di ammonimento a tanta altra gioventù?) voglio ritorna­re con una riflessione di ordine mo­rale, per rispondere a tutti che cer­te cose non succedono comunque per caso. Anche se molti non si ren­dono conto dei loro comportamen­ti, essi sono segno di una profonda carenza nell’educazione della loro coscienza e quindi frutto di una im­maturità, che diviene causa di ge­sti “ irresponsabili”, ma non per questo meno colpevoli. Nella mia lunga esperienza di edu­catore sono venuto a trovarmi mol­te volte di fronte a risposte facili, quali: “non l’ho fatto apposta”. Si compiono atti senza tener conto di tutte le conseguenze che possono comportare. Si tira un sasso o una pallonata e si ferisce una persona o si danneggia un bene; si infrango­no i limiti di velocità o si praticano la droga, l’alcol e la sregolatezza ses­suale e poi si pretende di non esse­re responsabili delle conseguenze. Come si può arrivare a questa frat­tura tra una causa e il suo effetto, tra un’azione e le sue conseguenze, se non per evidente carenza di senso morale e per insufficiente educazio­ne delle coscienze. I comportamenti terribili che sono emersi dal processo di Locarno so­no dunque anche il segno delle ca­renze di una società che non è più capace di formare coscienze adul­te, mature, responsabili. Denuncia­no le insufficienze di un sistema educativo tanto nelle famiglie, quanto nelle Chiese, come nella scuola e nella società: in questa so­cietà mass-mediatica di comunica­zioni sempre più selvagge ed incon­trollate.
Proprio una di queste mattine mi è capitato di ascoltare alla nostra radio, in ora per fortuna antelucana il parolaio di turno dire: «Ora che non ho più via d’uscita, apri le tue gam­be verso di me». Quando smetteremo di essere così vuoti e volgari, banali e superficiali? Non lamentiamoci di certi comportamenti, quando non sappiamo più trasmettere alle nuove generazioni quel rigore morale che non è innato, ma frutto di insegna­mento, di educazione, di esempio, di una dimensione morale, che viene sempre più disattesa. La morale non è da confondere con il giuridico e con il penale, a ciascu­no le sue competenze e responsabi­lità. Ma senza morale perde valore anche la legge e la sua applicazione.

***


I protagonisti

IL GIUDICE: Mauro Ermani
I GIUDICI A LATERE: Chiarella Rei-Ferrari e Luca Zorzi
GLI ASSESSORI GIURATI: Fabio Borsari, Emma Galfetti, Angelo Ponti, Liliana Rich­ner, Doris Roggia
GLI ASSESSORI GIURATI SUPPLENTI: Dome­nico Prandi, Linda Keller-Starnini IL
PROCURATORE PUBBLICO: Rosa Item
L’AVVOCATO DI PARTE CIVILE (FAMIGLIA TAMAGNI): Diego Olgiati
GLI AVVOCATI DIFENSORI: Luca Marcellini (per Ivan Jurkic), Francesca Perucchi (per Ivica Grgic) e Yasar Ravi (per Marko Tomic)
I PERITI MEDICI: dottor Antonio Osculati (perito giudiziario), dottor Ennio Pedrinis (perito di parte civile) e dottor Angelo Fio­ri (perito della difesa, su richiesta dell’av­vocato Yasar Ravi)

28 gennaio 2009 - Corriere del Ticino

(lo striscione esposto di fronte al Pretorio, ieri sera)


Dieci anni a Tomic e Grgic, 30 mesi a Jurkic

I primi due giudicati colpevoli di omicidio intenzionale, il terzo di aggressione

Dopo 13 ore di camera di consiglio la Corte delle Assise criminali di Locarno, presieduta dal giudice Mauro Ermani, ha condannato ieri sera Marko Tomic e Ivica Grgic alla pena di 10 anni di carcere e Ivan Jurkic a 2 anni e 6 mesi (14 mesi da espiare e 16 sospesi condizional­mente per 3 anni). I primi due sono stati giudi­cati colpevoli di omicidio intenzionale, il terzo di aggressione per aver provocato la morte di Damiano Tamagni. La Corte ha quindi sostanzialmente conferma­to i reati e le richieste di pena formulati dalla procuratrice Rosa Item. Confermate pure le ri­chieste di risarcimento alla parte civile: 175 mila franchi per torto morale e 89 mila per le spese sofferte. Commentando la sentenza il presidente della Corte Mauro Ermani ha sottolineato come i fat­ti che ci si è trovati a giudicare siano stati di una gravità inaudita, azioni che hanno messo in evi­denza un palese disprezzo per la vita umana. Il verdetto è quindi giunto dopo una lunghissi­ma camera di consiglio nel corso della quale i giurati si sono chinati in modo minuzioso sul­le tesi colpevoliste esposte dall’accusa e dal­la parte civile e sulle argomentazioni contrap­poste dai difensori. Un lavoro reso ancora più complesso e delicato anche in considerazione della forte pressione popolare e mediatica che PAGINA A CURA DI LUCA CONTI, OLIVER BROGGINI E MAURO EURO  Gli elementi su cui la Corte ha dovuto chinarsi sono stati molte­plici, emersi nel corso dei vari gior­ni dur­ante i quali si è protratto il di­battimento, iniziato lunedì 19 gen­naio. In particolare, se per Ivan Jur­kic il ruolo avuto nel violento pe­staggio risultava piuttosto defini­to, nel senso che a lui si attribuiva l’avvio della rissa, partita da alcuni spintonamenti dati a Damiano, a cui sono poi seguiti vari colpi alla vittima inferti dallo stesso, da cui l’accusa di aggressione, per Ivica Grgic e Marko Tomic invece, ac­cusati di omicidio intenzionale, il quadro era molto più complesso. Per la pp Rosa Item infatti i due, colpendo Damiano con dei calci violenti quando si trovava indife­so a terra, dovevano essere consa­p­evoli del fatto che con questo mo­do di agire potevano provocare la morte del giovane. Da qui la configurazione del dolo eventuale, cioè appunto il fatto di dover presumere la pericolosità dell’azione commessa, a sostegno dell’omicidio intenzionale, reato quest’ultimo di cui sono appunto stati chiamati a rispondere nell’at­to d’accusa. Dolo eventuale per il quale l’avv. di parte civile Diego Olgiati aveva chiesto alla Corte di valutare anche la possibilità del dolo intenziona­le, cioè una volontà manifesta di uccidere. In tal senso Olgiati aveva pure parlato di un «omicidio ai con­fini con l’assassinio », in considera­zione anche della crudeltà del­l’azione messa a segno che risulta­va per di più priva del benché mi­nimo movente. Per i difensori dei due imputati con la posizione più grave – gli avv. Ya­sar Ravi ha caratterizzato il processo. patrocinatore di Marko Tomic e Francesca Perucchi lega­le di Ivica Grgic – non si poteva pe­rò pa­rlare di consapevolezza di po­ter uccidere e, tantomeno, di vo­lontà di farlo. E ciò per svariati mo­tivi, fra i quali la brevissima durata dell’azione violenta, molto conci­tata e non premeditata, il fatto che non si è agito armati e, inoltre, che non esiste la prova certa che siano stati proprio i calci dati a Damiano al capo a provocarne la torsione anomala che ha portato alla lace­razione dell’arteria intracranica e alla conseguente emorragia mor­tale. A mettere in dubbio la tesi dei calci alla testa quali causa del trau­ma che ha poi provocato l’emorra­gia – tesi questa avallata sia dal pe­rito dell’accusa che della parte ci­vile – ci aveva pensato anche la pe­riz­ia di parte stesa dal professor Fio­ri per conto dell’avvocato di Mar­ko Tomic. Da qui la richiesta dei difensori di considerare anche per Tomic e Grgic il reato di sola aggressionee non di omicidio intenzionale, con la conseguente riduzione della pe­na a un massimo di 3 anni di carce­re. Dal canto suo anche l’avv. Luca Marccellini, difensore di Ivan Jur­kic, aveva domandato per il suo cliente la scarcerazione subito do­po il processo, chiedendo di tra­mutare l’accusa di aggressione in quella di rissa. Una serie di elementi, tutti questi, che hanno appunto determinato una lunga disamina dei fatti da par­t­e della Corte delle Assise crimina­li cittadine, entrata in camera di consiglio ieri mattina poco dopo le 9.30 dopo che il presidente giudi­ce Mauro Ermani aveva posto i quesiti, e rimasta in seduta fino a tarda notte. Una camera di consi­glio protrattasi per 13 ore per poter trovare un accordo sul verdetto.
***

IL PUBBLICO

Una lunga e inquieta serata in città Tutto fermo in attesa della sentenza


Neanche il ripetuto rinvio dell’ora fis­sata per la lettura della sentenza – prima le 18, poi le 20, poi le 21, le 22, infine le 22.30 – ha scoraggiato quanti erano de­cisi ad assistere, in prima persona, all’ul­timo atto della vicenda giudiziaria lega­ta all’omicidio di Damiano Tamagni. Sin dal calare della sera, gruppi di gio­vani e meno giovani hanno cominciato a gravitare attorno ai due punti chiave nella geografia del processo: lo storico palazzo del Pretorio – all’interno del qua­le, tuttavia, sono state ammesse solo una cinquantina di persone, tra familiari stretti e rappresentanti della stampa – e il nuovo edificio amministrativo del Can­tone, dove negli scorsi giorni è stata alle­stita una sala video a disposizione del pubblico, per seguire in presa diretta il dibattimento. Pattuglie in posizione Già ben prima delle 20, diverse pattuglie della polizia sono state disposte attorno al perimetro dei due stabili, e ronde di polizia si sono succedute senza interru­zione, pronte per rispondere ad ogni im­previsto. Il primo segnale della enorme attesa per il verdetto della corte è giunto poco dopo le 19, quando – sulla facciata del palazzo collocato esattamente di fronte alla scalinata del Pretorio – è sta­to srotolato uno striscione lungo quasi dieci metri, con la scritta a lettere cubi­tali «Giustizia per Damiano». Un segno della crescente tensione tra il pubblico è poi giunto, poco prima delle 20, quando gli agenti della polizia hanno comunicato, con un’affissione, l’ulterio­re prolungamento del dibattito in came­ra di consiglio. Sotto la scritta «Sentenza non prima delle 22», una mano anoni­ma ha infatti aggiunto, a penna, la paro­la «Vergonia» (sic). Porte aperte alle 22.40 L’assembramento davanti alle porte del­l’edificio amministrativo, in via della Po­sta, è poi cresciuto regolarmente ma con massima tranquillità, fino a vedere oc­cupata buona parte della scalinata; fian­co a fianco, era possibile vedere grup­petti di giovani e giovanissimi, ma an­che persone di mezza età desiderose di accedere alla sala video. Poca, da parte di tutti, la voglia di concedere battute o ri­flessioni alle telecamere delle emittenti cantonali. Al temine dei numerosi rin­vii, è giunto il momento – alle 22.40 – di accedere alla sala; l’apertura delle por­te è stata accompagnata da un’ovazio­ne, in attesa di conoscere la sentenza.

***

IL COMMENTO

IL CARNEVALE, IL DOLORE, UNA TOMBA E IL VERDETTO

di EMANUELE GAGLIARDI (Gordola)


Adesso qualcuno andrà a dirlo senz’altro anche a lui, a Damiano, che cosa hanno deciso i giudici. Lo faranno probabilmente i suoi famigliari, gli amici. Lo faranno da­vanti alla tomba, alla sua foto, affrancata alla croce in legno, in silenzio, nel cimitero di Gordola. Fisseranno il volto sere­no di un giovane al quale è stato negato, in un attimo, tutto quanto la notte del venerdì grasso riserva ogni anno a coloro che scendono in strada, nelle piazze, per gustare l’atmosfera del carnevale ed il resto, molto più importante: una vita pos­sibilmente serena con i propri cari, una famiglia. Dialoghi mu­ti, profondi, che ripercorreranno ancora una volta le tappe di una tragica morte e tutto ciò che ne è seguito. I visitatori par­leranno senza muovere le labbra e lui resterà lì ad ascoltare. Un volto sereno, solare che pare non conoscere la violenza. Ognuno racconterà qualche particolare diverso, che lo ha col­pito in questa vicenda. L’onda emozionale che ha suscitato, l’arresto dei quattro giovani coinvolti, con responsabilità di­verse, nell’accaduto; le iniziative sorte per non dimenticare Damiano: le marce silenziose, le fiaccolate, la Fondazione. Senza scordare il processo, anzi i processi, quello avvenuto dentro l’aula penale, troppo piccola per contenere il pub­blico e gli altri, celebrati fuo­ri, in strada, nei bar, su Inter­net, nelle discussioni tra ami­ci, con procuratori pubblici e avvocati improvvisati. Con sen­tenze, senza appello, emesse nello spazio di una discussio­ne. Ma la giustizia si ammini­stra in Tribunale, dando la pos­sibilità agli accusati di difen­dersi. E così Damiano si senti­rà di nuovo raccontare le bor­date sparate dall’accusa e dal­la parte civile e le repliche, puntuali, dei difensori. Chiu­derà gli occhi chi, davanti alla tomba, non riuscirà a fermare il pensiero che correrà impie­tosamente alla scena dell’ag­gressione, della caduta e dei colpi impietosi al capo e si morderà le labbra se non riu­scirà a fermare la commozio­ne. Quello sguardo di Damia­no, senza più luce, rivolto ver­so un cielo che per lui non bril­lava più, sarà difficile da di­menticare per chi non lo ha co­nosciuto anche come amico, come figlio, come ragazzo tran­quillo che studiava per ottene­re un diploma. I colpi al capo, come descritto da alcuni testi­moni, risuoneranno come tuo­ni anche nelle notti stellate. Non solo per chi lo ha avvici­nato quella sera in modo mi­naccioso, ma anche per chi ha assistito, pietrificato, al pestag­gio. Per l’accusa, due degli ag­gressori volevano uccidere, per i difensori no. Chi ha dato il via a tutto è stato accusato di ag­gressione. La procuratrice generale ha chiesto 23 anni e mezzo di car­cere. Per la parte civile l’agire dei due principali imputati ha sfiorato il reato di assassinio. Perché è morto Damiano? I periti sono stati d’accordo su una cosa: la causa della morte è dovuta all’emorragia prodot­ta dalla lacerazione dell’arte­ria vertebrale per un movi­mento brusco e anomalo del capo. Ma quando è avvenuto questo? Damiano guarderà sempre sorridente anche chi davanti alla sua tomba si por­rà questa domanda, ripetuta più volte in aula, quasi a dire: «Non chiedetelo a me». Lui quella sera era sceso in strada per divertirsi, non per morire. La Corte ha deciso. Damiano non ha fatto in tempo a salu­tare la sua giovinezza. È acca­duto tutto in pochi secondi. Gli altri invece, quelli che lo han­no affrontato, avranno tempo per ripensare a come hanno bruciato la loro gioventù, oltre a quella di Damiano, in un at­timo. Si avvicina un nuovo car­nevale. I parenti, gli amici di Damiano faranno tappa al ci­mitero di Gordola, quelli degli imputati al carcere: i primi porteranno fiori, gli altri la biancheria di ricambio. Tutti comunque con il cuore gonfio di dolore. E chi si recherà in parlatorio non potrà non pen­sare, conversando coi propri figli detenuti, per un attimo, a Damiano e al suo ultimo car­nevale. L’ultimo anche per i suoi aggressori.

28 gennaio 2009 - La Regione Ticino

Dieci anni a Tomic e Grgic
Riconosciuto a carico dei due il reato di omicidio intenzionale. A Jurkic, invece, 2 anni e 6 mesi per aggressione
Dieci anni a Ivica Grgic e 10 anni a Marko Tomic, entrambi riconosciuti colpevoli di omicidio intenzionale per dolo eventuale. E 2 anni e 6 mesi, per il reato di aggressione, a Ivan Jurkic, che dovrà però espiare complessivamente soltanto 14 mesi ( 12 quelli già sofferti). Il dispositivo della sentenza letto ieri verso le 23 dal giudice Mauro Ermani, presidente della Corte di Assise crimi­nali di Locarno, ha quindi ricalcato nella sostanza le aspettative dell’accu­sa, pur non infliggendo a Tomic quel mezz’anno in più rispetto all’amico che era stato richiesto dalla procuratrice pubblica Rosa Item. La colpa da ascri­vere ai due, ha detto Ermani, è in defi­nitiva la stessa, e nella commisurazio­ne della pena i precedenti e la sincerità dimostrata da Grgic sono equivalsi al « comportamento processuale senza as­sunzione di responsabilità » tenuto da Tomic. I due ragazzi, ha accertato la Corte, hanno colpito Damiano alla te­sta, quando questi era a terra, con al­meno un calcio ognuno. Lo hanno fatto « in modo vigliacco e senza scrupoli, per soddisfare la voglia di far andare le mani » . Tomic e Grgic hanno dimostrato « di­sprezzo per la vita umana ed egoismo nell’appagare la loro voglia di violen­za » . Quanto al dolo, « si tratta di un tipi­co caso di azione per dolo eventuale » , perché « basta che l’autore sia cosciente di poter cagionare la morte ma agisca accettando il rischio che ciò accada » . E non è vero, ha aggiunto Ermani a scan­so di equivoci, che la giurisprudenza non presenti altri casi di condanne per omicidio intenzionale per dolo even­tuale senza che vi sia stato l’ausilio del­le armi, così come asserito dall’avvoca­to Yasar Ravi. I colpi inferti a Damiano alla testa, ha proseguito il giudice, « sono stati col­pi tali da rompere l’arteria della vitti­ma » , causandone così la morte. In que­sto senso è stata considerata « conclu­dente e convincente » la perizia giudizia­ria del dottor Antonio Osculati, e ugualmente « convincenti » sono state le indicazioni del perito di parte civile, Ennio Pedrinis. Ermani – al di là dalla commisurazio­ne della pena – non è stato tenero nep­pure con Jurkic, che « non è intervenuto, spintonandolo, per proteggere Damiano, ma lo ha fatto dopo che gli era stata fat­ta notare la presenza del giovane noto per i suoi precedenti di rissa » ( il “ Car­los” delle nostre cronache). Jurkic « non si è mai dissociato, prima dell’arresto, dagli altri due, e non si è mai dimostrato pentito » . Dopo l’arresto, inoltre, « non ha esitato a gettare fango su Damiano » . La sua colpa « è grave per il reato che ha commesso, a prescindere dall’esito drammatico dell’aggressione » . Nella sala riservata al pubblico più di 100 persone, in maggioranza giovani, han­no seguito in silenzio la lettura della sen­tenza. Volti concentrati e attenti, nono­stante l’ora tarda. Dagli altoparlanti la voce del giudice Ermani giungeva chiara; sul video della telecamera fissa si poteva osservare la corte. All’uscita pochi com­menti, per sottolineare la severità delle pene inflitte agli accusati. Poi tutti sono sfilati di fronte agli agenti dell’imponente dispositivo di sicurezza allestito ieri sera in via Luini per tornare a casa.
***
I protagonisti del processo sotto i riflettori per sette lunghi giorni

Una lunga settimana per i prota­gonisti del processo che si sono ri­trovati al centro dell’attenzione dei media; a pochi metri da impu­tati, corte, avvocati e parenti, per otto ore al giorno i giornalisti hanno osservato ogni gesto e ascoltato ogni parola per captare tutte le sfumature. Ecco alcune ri­flessioni.
I genitori di Damiano
Il processo è stato un’esperienza provante per tutte le parti in causa ( organi di stampa compresi), ma ad­dirittura straziante per i genitori di Damiano. Più di una volta in sala s’è riflettuto sull’opportunità, per la mamma, di rimanere al suo po­sto, accanto all’avvocato di parte ci­vile, mentre l’istruttoria dibatti­mentale andava a sezionare i singo­li fotogrammi del pestaggio fatale. Nulla è più doloroso per una madre che rivivere più e più volte la morte violenta di un figlio. Se è questo il percorso che i Tamagni hanno scel­to per affrontare il loro dramma, è un percorso che merita il massimo rispetto.
La compostezza dei parenti dei tre imputati
La settimana di dibattimento è stata un durissimo banco di prova anche per i parenti dei tre giovani imputati, due dei quali finiti alla sbarra per rispondere di un reato pesante come l’omicidio intenziona­le. Fianco a fianco si ritrovavano fa­miglie i cui rapporti – è un fatto ri­saputo – si sono inaspriti proprio a causa del dramma di carnevale. Ep­pure da questo contesto di rabbia, disperazione e tristezza è emersa so­prattutto una grande compostezza, una capacità di elaborare il dolore proprio e altrui senza eccessi, ma anzi contraddistinta da un grande rispetto.
L’atteggiamento del giudice
Qualche critica s’è levata in rela­zione all’atteggiamento avuto du­rante il processo dal presidente del­la Corte. Non di rado il giudice Mauro Ermani ha sottolineato con veemenza le mancate risposte degli imputati riguardo a contingenze importanti, se non cruciali; e spes­so si è arrabbiato per i “ non ricor­do” che costellavano le ricostruzio­ni dei fatti. Tuttavia, pur se a volte uscendo dagli schemi, Ermani ha dimostrato il suo spessore morale riuscendo a tenere saldamente in mano un dibattimento sempre e co­stantemente in preda a forti venti contrastanti.
Gli amici e la Fondazione
Una presenza costante, sobria e partecipe, è stata quella degli amici di Damiano Tamagni, che qualche mese fa hanno dato vita alla Fonda­zione anti- violenza a lui intitolata. Non era facile, nel contesto di un pro­cesso a tratti quasi insostenibile, dare un segno di equilibrio, e di vici­nanza ai più stretti familiari della vittima. Gli amici di Damiano ci sono riusciti.
Valida la soluzione per far spazio al pubblico
Il Tribunale penale cantonale ha sottovalutato l’interesse del pub­blico per il processo. Così, alle pri­me battute, ci si è accorti che nel­l’aula del Pretorio di Locarno non c’era spazio sufficiente per tutti. Il problema è stato risolto in tempi brevi ( nel giro di un paio di gior­ni); è stato allestito un videocolle­gamento con una sala nel vicino Palazzo dell’amministrazione can­tonale. Una settantina i posti. Mol­ti hanno potuto seguire istruttoria, requisitorie e arringhe, facendosi così un’idea chiara di un processo difficile e di grande intensità emo­tiva.
Accusa all’accusa... Ma poi si fa uguale
Durante le loro arringhe gli av­vocati difensori hanno lodato l’in­chiesta precisa e puntigliosa con­dotta dalla procuratrice pubblica Rosa Item. Salvo poi criticare il suo metodo di lavoro: estrapolare dalle decine di testimonianze rac­colte solo gli argomenti utili per costruire il castello accusatorio. « Non si fa » , hanno commentato. Ma più avanti, per rinforzare le loro tesi difensive e per evidenzia­re dubbi e incongruenze, non han­no esitato ad usare lo stesso identi­co sistema, proponendo in lunghe carrellate alcuni stralci tratti dalle dichiarazioni dei testi.
Sui motivi della violenza nessuna risposta
Uno degli aspetti più scioccanti è stato il silenzio dei tre imputati di fronte a una delle domande chiave del processo: perché quella violenza? Il giudice Mauro Ermani ha insistito più volte. « Ci dev’essere una ragione. Cosa vi ha spinto? Possibile che du­rante l’anno trascorso in cella non ab­biate riflettuto su questo punto? ». Fra­stornante la scena muta dei tre im­putati. « Deduco che non ci sia stato un motivo – ha concluso Ermani –. Se sono stati gesti gratuiti c’è di che al­larmarsi. Chi mi dice che un domani non possiate ripeterli? ».
***
L’editoriale
Caso Tamagni, reazioni senza freni e giustizia
di Davide Martinoni e Serse Forni
Salvo possibili ricorsi per Cassazione da parte della difesa, la sentenza di colpe­volezza emessa ieri sera dalla Corte delle Assise cri­minali di Locarno presiedu­ta dal giudice Mauro Erma­ni ha messo la parola fine ad uno dei casi giudiziari più sentiti degli ultimi anni in Ticino. Il processo pub­blico – che realmente pub­blico nei primi due giorni non è stato a causa di preve­dibili problemi di spazio nell’aula penale del Preto­rio – è stato l’appendice pe­nale di una vicenda che ha scosso il cantone per vari motivi. Il primo, il più immediato ed evidente, è stato la morte violenta di un ragazzo inno­cente, che nulla aveva fatto quella sera del 1o febbraio 2008 se non cercare di diver­tirsi. Un secondo tema, che è andato ad aggiungersi al primo ed è emerso con forza durante il dibattimento, è stato l’assurdità dell’ag­gressione, la “ gratuità del gesto”, come l’ha definita l’avvocato della famiglia Tamagni: un pestaggio ini­ziato senza alcun motivo e condotto con rapida bruta­lità fino all’esito finale. Il terzo motivo di tanta attenzione è quello razziale. Un motivo di stampo tipica­mente destrorso, cavalcato a fini ideologici e politici da quegli “ estremisti da grotti­no” – alcuni di essi purtrop­po muniti di giornale – abi­lissimi a sfruttare una pau­ra del diverso sempre più diffusa nella popolazione. Paura molto presente anche fra i più giovani, come di­mostra il fatto che, fin dai primissimi giorni, in quei loro territori di espressione che sono i “ blog” è stato ri­versato il peggio che una co­munità multietnica come la nostra potesse partorire: odio razziale, sete di vendet­ta e altre spaventose dimo­strazioni di intolleranza che rimandano a ben più cupi periodi storici. Per molti di questi “ dimo­stranti” il caso era chiuso già una settimana dopo i fatti: i tre sono stati proces­sati sommariamente e con­dannati sul web a pene fero­ci che il Codice penale sviz­zero neppure prevede. Poi i gestori di portali come Tici­nonews e Ticinonline si sono resi conto che i limiti erano stati superati e hanno oscurato i “ blog”. Anche nei giorni del pro­cesso gli internauti si sono fatti sentire, utilizzando nuove modalità di comuni­cazione: Facebook e un sito d’oltre confine. Obiettivo: raccogliere adesioni per una richiesta di pena seve­rissima. Il tutto a ruota li­bera e senza filtri. L’avvocato difensore Luca Marcellini, nella sua arrin­ga per Ivan Jurkic, ha pun­tato il dito contro la pres­sione dell’opinione pubbli­ca, che non si era mai mani­festata in modo così dirom­pente. Ha pure dato una sua spiegazione: si vuole a tutti costi accrescere la colpa per distanziarsi dagli autori dei fatti. Loro sono i “ mo­stri”, capaci di ogni effera­tezza, lontani da noi per età, modo di pensare ma so­prattutto etnia. Così tutto sembra più chiaro, com­prensibile e accettabile. An­che se non corrisponde alla realtà dei fatti.
Il rischio è che, quando può viag­giare a briglia sciolta, l’opinione pubblica tolga serenità a chi deve amministrare la giustizia. È giusto, democratico e legittimo che ognuno possa esprimere la propria opinio­ne. E con le nuove tecnologie l’eser­cizio è ancora più facile: un gioco da bambini. Ma ogni gioco deve avere le sue regole, affinché sia cor­retto e onesto. Se da una parte biso­gna imparare a gestire queste nuove situazioni, dall’altra occorre ri­chiamare alle proprie responsabi­lità chi ospita gli scritti di tutti (spesso anche di chi si nasconde die­tro l’anonimato) senza porre alcun limite. Quando il limite viene superato, o a monte non viene neppure imposto, allora la reazione popolare è inevi­tabilmente una deriva morale che si traduce negli insulti, nelle ingiurie e nelle minacce. E il diritto penale viene ridotto ad optional. È significativo che per mettere un freno al fiorire di iniziative di dub­bia origine, ma di indubbio scopo, abbia dovuto intervenire la stessa famiglia Tamagni, chiedendo pub­blicamente di non strumentalizzare la morte di Damiano. Ed è illumi­nante in questo senso il lavoro di sensibilizzazione condotto contro la violenza giovanile, ma anche contro l’intolleranza, dalla neona­ta Fondazione intitolata a Damia­no. È un lavoro duro, di questi tem­pi, ma che trae beneficio dalle pri­me, autorevoli risultanze delle ana­lisi svolte dal Gruppo “giovani, vio­lenza educazione”, istituito all’in­domani dell’uccisione di Damiano e coordinato dal procuratore Antonio Perugini. “Svizzero o straniero non fa diffe­renza – è statisticamente l’identikit tracciato del giovane violento –. Maschio, di un’età mediamente compresa tra i 13 e i 20 anni, con un alto rischio di recidiva spinto dal sentimento di onnipotenza, disprez­zo per la vittima e accanimento an­che dopo averla già sopraffatta, scarsa coscienza delle conseguenze dei propri gesti, pronunciato narci­sismo che si esprime con l’esibizione delle proprie bravate (filmati, foto con cellulari, racconti agli amici)”. Per diversi tratti è la descrizione esatta degli imputati di Locarno. La cui origine straniera non può e non deve essere considerata un’ag­gravante.

LA SENTENZA

Ivan Jurkic: 2 anni e 6 mesi (aggressione)
Iviza Grigic: 10 anni (omicidio intenzionale)
Marko Tomic: 10 anni (omicidio intenzionale)

Dovranno pagare 175mila franchi per torto morale alla famiglia Tamagni (importo che andrà interamente alla Fondazione). Oltre a 89mila franchi di spese legali.

27 gennaio 2009 - Ticinonews.ch

EDIZIONE SPECIALE DI TICINONEWS ALLE 23.00 PER LA SENTENZA TAMAGNI
Dopo 3 rinvii, la sentenza della Corte presieduta dal giudice Mauro Ermani è attesa per le 22.30. Diretta su TeleTicino, Radio 3iii e ticinonews.ch
La sentenza al processo per il delitto Tamagni, prevista per le 18 di oggi, è stata rinviata a non prima delle 22.30 di questa sera. La corte delle assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani, sta evidentemente valutando con estrema attenzione la commisurazione della pena per i tre imputati.
***
ore 17:39
EDIZIONE SPECIALE DI TICINONEWS ALLE 22.15 PER LA SENTENZA TAMAGNI
Grande attesa a Locarno per la decisione della Corte presieduta dal giudice Mauro Ermani. La sentenza in diretta su TeleTicino, Radio 3iii e ticinonews.ch
La sentenza al processo per il delitto Tamagni, prevista per le 18 di oggi, è stata rinviata a non prima delle 22 di questa sera. La corte delle assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani, sta evidentemente valutando con estrema attenzione la commisurazione della pena per i tre imputati. LA SENTENZA IN DIRETTA SU TELETICINO TeleTicino seguirà questa sera l’attesa sentenza con un collegamento in diretta via satellite dal Palazzo di giustizia di Locarno. Alle 22.15 circa ci sarà un'edizione speciale dedicata interamente alla sentenza e alle prime reazioni. A Locarno ci saranno Matteo Bernasconi, Italo Carrasco e Marco Bazzi, in studio Prisca Dindo. Un primo aggiornamento potrebbe già giungere durante la diretta di Piazza del Corriere, moderata da Gianni Righinetti. Insomma, seguendo i programmi di TeleTicino potrete essere aggiornati in tempo reale sull’esito del processo. GLI AGGIORNAMENTI SU RADIO 3III E SU TICINONEWS.CH Anche su Radio 3iii aggiornamenti costanti a partire dalle 17,45 e poi collegamento in diretta con Laila Meroni, che si trova a Locarno, non appena sarà nota la sentenza. In studio ci sarà Sacha Dalcol. Potrete seguire in tempo reale l’esito del processo anche sul portale, con aggiornamenti e reazioni curati da Chiara De Bianchi, che pure si trova a Palazzo di giustizia. LE RICHIESTE DELL’ACCUSA Ricordiamo che la pubblica accusa, rappresentata dalla procuratrice Rosa Item, aveva chiesto 10 anni e mezzo per Marko Tomic e 10 anni per Ivica Grgic, entrambi accusati di omicidio intenzionale, e tre anni da scontare per Ivan Jurkic, accusato di aggressione. LE RICHIESTE DELLA DIFESA I legali dei due principali imputati, Yasar Ravi e Francesca Perucchi, hanno chiesto la derubricazione del reato da omicidio in semplice aggressione, con una pena massima di tre anni. Secondo i due avvocati, rimane ancora il dubbio su quali siano stati i colpi che provocarono la morte di Damiano Tamagni, e non vi fu comunque la volontà di uccidere. Luca Marcellini, che difende Jurkic, ha chiesto invece la scarcerazione immediata del giovane, in detenzione dal 2 febbraio dell’anno scorso. LE RICHIESTE DI PARTE CIVILE Ricordiamo anche che il legale della famiglia Tamagni, Diego Olgiati, ha sostenuto che in questo caso si è vicini all’omicidio per dolo diretto e non eventuale come sostenuto dall’accusa: Tomic e Grgic sapevano di uccidere in quanto sferrando due potenti calci in testa a Damiano ormai steso a terra indifeso l’esito non poteva che essere che quello mortale. Olgiati ha chiesto per la famiglia della vittima un risarcimento complessivo di 193'000 franchi.
***
ore 16:25
Processo Tamagni: sentenza rinviata
La sentenza è slittata di due ore ed ora è attesa per stasera dopo le 20.00. E Ticinonews sarà sul posto per seguirla in diretta. E da stasera, dopo la sentenza, i lettori di ticinonews.ch potranno esprimere la loro opinione sulla vicenda e sul processo per il delitto Tamagni. Finora la redazione ha deciso di non aprire blog sul tema, confermando la linea seguita in ogni vicenda giudiziaria e considerato la delicatezza del caso. Ma, visto il desiderio che i ticinesi hanno manifestato di dire la loro, si è deciso di aprire uno spazio controllato. Non un classico blog, ma un forum dove ognuno potrà esprimersi firmandosi però con nome e cognome e inviando una e-mail all’indirizzo processo@teleticino.ch. La redazione valuterà le opinioni, riservandosi il diritto di non pubblicare quelle che violano i minimi criteri di rispetto. I contributi scelti verranno pubblicati a partire da questa sera e alcuni di essi verranno ripresi giovedì alle 13 nella trasmissione Pop Politik, in onda su Radio 3iii e su TeleTicino, dedicata proprio ai processi mediatici.
***
ore 07:00
Processo Tamagni: stasera la sentenza
Per i due principali accusati chiesta una pena di tre anni. Sentenza attesa dopo le 18.00: seguila in diretta su Ticinonews
Ieri, al sesto giorno del processo per morte di Damiano Tamagni, avvenuta a Locarno durante il carnevale dell'anno scorso, i difensori dei due principali accusati hanno chiesto una pena massima di tre anni per aggressione, e non una per omicidio volontario come vuole l'accusa. Secondo gli avvocati Francesca Perucchi e Yasar Ravi non ci sono i requsiti richiesti per la pena di omicidio volontario poiché i due giovani da loro difesi non hanno mai avuto intenzione di uccidere. La sentenza è attesa per stasera dopo le 18.00. E Ticinonews sarà sul posto per seguirla in diretta.La difesa non mette in dubbio che la causa del decesso di Damiano Tamagni sia dovuta alla rottura di un'arteria del cervello, ma sottolinea però che la ferita fatale può essere avvenuta in qualsiasi momento della colluttazione, quando la vittima era ancora in piedi e non esclusivamente quando, ormai a terra, veniva presa a calci. La caduta al suolo di Damiano può anche essere stata provocata da un arresto cardiaco dopo la rottura dell'arteria cerebrale. E i calci inferti al capo della vittima non sono quindi stati per forza mortali. L'avvocatessa Perucchi ha inoltre avanzato una scemata responsabilità del suo cliente, il 22enne croato, perché era sotto l'effetto di alcolici e marijuana.La settimana scorsa la procuratrice pubblica Rosa Item ha chiesto per i due principali imputati dieci anni e dieci anni emezzo di reclusione. Per il pubblico ministero i due hanno massacrato di botte la vittima senza alcun motivo.

27 gennaio 2009 - Giornale del Popolo

PROCESSO TAMAGNI Per Grgic e Tomic «non più di tre anni per aggressione»- Oggi la sentenza

Le difese: non si può stabilire chi sferrò il colpo fatale

di LUCA PELLONI e MAURIZIO VALSESIA

Umanità, equità, giustizia e prudenza. Sono principi incisi sulla volta dell’aula del Pretorio di Locarno, dove da questa mattina sono riuniti in camera di consiglio i giudici togati e popolari, chia­mati a decidere se Marko Tomic e Ivica Grgic de­vono essere condannati per omicidio intenziona­le come chiede la procuratrice pubblica Rosa Item (che propone 10 anni più 6 mesi di carcere per il primo e 10 anni al secondo), o unicamente per ag­gressione come invece perorato dalle difese. La sentenza è attesa dopo le 18. Sul tavolo della Cor­te, oltre ai faldoni dell’inchiesta, gli atti di sei gior­ni di processo. Tomic e Grgic sono nella posizio­ne più grave (per il terzo giovane, Ivan Jurkic, l’ac­cusa chiede 3 anni per aggressione; mentre la di­fesa propone in prima istanza una pena non su­periore al carcere preventivo). Non negano di aver assalito Damiano Tamagni. Ribadiscono quanto ammesso già dai primi verbali: Grgic con spirito più collaborativo, Tomic meno, secondo Rosa Item, da qui la differenza di 6 mesi nella propo­sta di pena. Differenza che non ha visto d’accor­do il legale Yasar Ravi. Quella dell’avvocato Ma­nuela Perucchi è stata un’arringa contenuta nei to­ni, priva d’impeto. La legale ha sottoposto alla Cor­te quelli che, a suo dire, «sono gli unici fatti noti e accertati», sfoltendoli, «dal giudizio che può es­sersi formato intorno a questa vicenda, compli­ce il forte interesse suscitato e le discussioni ali­mentate dai media o dai blog su internet». Quel calcio è «stato un gesto vergognoso di cui si ricor­derà tutta la vita». Ma «la gravità di questo even­to non può essere attribuito alla volontà di ucci­dere ». Concetti molto simili li ha espressi l’avvo­cato Ravi, che ha poi rivelato l’esistenza di una let­tera, scritta da Marko Tomic per i genitori di Da­miano, ma mai consegnata loro perché poteva sembrare un magro tentativo di “captatio bene­volentia”. «Recapiterò il suo scritto solo a proces­so concluso», ha spiegato Ravi. Questa sera si porrà dunque la parola “fine” su una tragica vicenda, che ha coinvolto il mondo giovanile. Damiano non sarà ma restituito a suoi cari, ma da stasera, do­po che il giudizio della corte sarà espresso, v’è da sperare che possa tornare un barlume di serenità su tutte le famiglie tragicamente coinvolte.

***
La parola agli imputati
Al termine del dibattimento il giudice Mauro Ermani ha, come di consueto, da­to la parola ai tre imputati. Hanno rispo­sto solo due di loro: Ivica Grgic e Marko Tomic. Ivan Jurkic, palesemente disorien­tato dall’avvicinarsi della sentenza, non se l’è infatti sentita di aggiungere un qualsiasi pensiero. Un atteggiamento avuto durante tutta la giornata. Dopo ogni pausa Ivan è infatti rientrato in au­la con lo sguardo basso, rivolto al suolo, denotando quantomeno di essere turba­to. Ivica Grgic, invece, ha sostanzialmen­te ripetuto quanto già detto più volte in aule, durante il dibattimento: «Mi pento dal primo giorno per quanto è successo e mi pentirò per tutta la vita. Mi spiace davvero tanto per i familiari di Damiano e anche per i miei». Marko Tomic, che fi­nora non era riuscito a esprimere a pa­role il suo pentimento, con voce treman­te ha concluso: «Vorrei chiedere scusa al­la famiglia Tamagni per quello che è ac­caduto. Mi spiace moltissimo. Mi porterò questo dolore per tutta la vita. Mi ha se­gnato per sempre».
***
Perucchi: «Ivica non voleva uccidere, non è un mostro: merita al massimo 3 anni»
Appellandosi al concetto dell’“in dubio pro reo”, l’avvocato Francesca Perucchi ha chiesto una pena deten­tiva non superiore ai 3 anni per Ivica Grgic. E, in subordine, a non più di 4 anni se dovesse essere condannato per concorrenza ideale in omicidio colposo. Ivica non è un picchiatore Anzitutto, ha esordito, «va chiarito che Ivica non è un picchiatore. Non ha un carattere violento. L’unico fatto emer­so in tutta la sua giovinezza è quello relativo al carnevale di Maggia del 2007, la cui protagonista a verbale af­ferma “mi ha solo spinta”. Non esisto­no altri episodi. Chi lo descrive come una “testa calda” fornisce valutazioni soggettive, nessun esempio concre­to ». Sulla drammatica sera del 1° febbraio 2008, l’avv. Perucchi chiede alla cor­te «di leggere le testimonianze con prudenza». Nello specifico: «Non è ve­ro che tutti i presenti stavano dimen­ticando la zuffa scaturita in preceden­za tra i due gruppi (ndr. gli amici di Damiano da una parte e altri ragazzi dall’altra)». Perucchi cita alcune testi­monianze: «“Era una rissa”; “Ho visto in via Borghese una decina di giova­ni che litigavano e Damiano era già a terra”; “Dei giovani si picchiavano tra loro”». L’avvocato non entra nel merito dei motivi che spingono il terzetto ad ag­gredire Damiano. Si concentra sul pe­staggio. «Ivica non nega l’aggressione. Fin dal primo verbale ammette di aver sferrato un pugno e un calcio, non for­te, a Damiano a terra». Piuttosto: «Nu­merosi testimoni descrivono Damia­no in stato confusionale prima di ca­dere a terra». Queste deposizioni, a parere della di­fesa, indicherebbero uno stato ano­malo rispetto quanto ci si aspettereb­be da «una persona attiva come Da­miano, giovane, sana, un militare, sep­pure sottoposta a spintoni e ai primi pugni». Sempre dai verbali dei presen­ti interrogati: «“Era strano”; “Barcolla­va”. Oppure: “Guardava a terra”; “Ge­sticolava con le braccia”. Infine, “Ca­de a terra come un sacco di patate”». Insomma, «la rottura dell’arteria che provoca la morte di Damiano Tama­gni, avrebbe potuto essere anteceden­te i calci al capo. Non possiamo escluderlo». In dubbio pro reo, appun­to. Evento imprevedibile E le dichiarazioni di coloro che han­no visto sferrare i calci con forza? Me­no attendibili di quelle citate a difesa, perché pronunciate da persone vici­ne alla vittima o influenzate – incon­sciamente – dal clima fortemente col­pevolista dell’opinione pubblica. Ma qual era il livello di consapevolez­za di Ivica Grgic in quei momenti? Pe­rucchi ricorda alla Corte che per ac­certare il dolo eventuale occorre che l’accusato «sia cosciente delle conse­guenze dei suoi atti. Non è questo il caso. Gli stessi periti ci dicono essere un evento eccezionale, molto raro, la lacerazione dell’arteria vertebrale in­tracranica a causa di un movimento innaturale della testa. È altamente in­verosimile che Ivica potesse preveder­lo. Ammesso che sia stato il suo cal­cio a provocarla». In altri termini: «Esi­ste un ragionevole dubbio nell’accer­tamento di ulteriori responsabilità di­rette, oltre a quelle già ammesse da­gli imputati». La legale chiede anche la scemata re­sponsabilità, date la decina di birre bevute e i due spinelli fumati dall’im­putato. «È giovane, sta pagando e pa­gherà ancora. Anche per il clamore mediatico e perché difficilmente po­trà restare in Svizzera, il Paese in cui è nato». Infine: «Nessuno nega che ab­bia commesso qualcosa di molto grave. È pentito. Non chiede ancora perdono solo perché non lo ritiene il momento. Sa che prima deve essere fatta giustizia».
***
Ravi: «Marko non ha mai pronunciato la frase “chi picchiamo stasera?”»
Condanna per aggressione, lesio­ni semplici e omissione di soccorso, con una pena non superiore ai tre anni di detenzione. Parzialmente sospesi con condizionale secondo i criteri che la corte riterrà più oppor­tuni. È la proposta avanzata dell’av­vocato Yasar Ravi, al termine di un lungo quanto giuridicamente preci­so esposto, per il suo assistito, Marko Tomic, accusato di omicidio inten­zionale. «Marko è pentito, prova grande dolore per quanto ha com­messo. Chiede giustizia. E non vuo­le svincolarsi dalla sue colpe per tec­nicismi giuridici. Quindi, nel caso in cui la corte non potrà escludere con certezza che i colpi da lui stesso in­ferti abbiano concorso nella morte di Damiano, è pronto a rispondere an­che del reato di omicidio per negli­genza (ndr colposo)», ha aggiunto Ravi, sottolineando la presa di co­scienza del giovane per l’enorme danno arrecato. «In questa eventua-l­ità, chiedo comunque una pena non superiore a quattro anni. E an­che se la corte deciderà di imputar­gli il reato di omicidio per dolo eventuale, ritengo eccessiva la pena proposta dalla procuratrice pubbli­ca Rosa Item. La condanna non do­vrà comunque superare i sei anni di carcere». Presunzione d’innocenza Il principio dell’“in dubio pro reo” è uno dei punti cardine del diritto pe­nale. La presunzione d’innocenza è stata il fulcro dell’arringa dell’avvoca­to Ravi che in due ore mezzo ha ri­messo in discussione tutte le tesi del­l’accusa, smontando, dal suo punto di vista, l’attendibilità di parecchie te­stimonianze lette in aula durante il dibattimento. E anche le discordan­ze, «parziali», delle tre perizie medi­co- legali lasciano un dubbio sulle rea­li colpe di Marko Tomic, a detta del suo avvocato difensore. Testimonianze inattendibili «Tutti i testimoni sono palesemente condizionati dalla forte emotività su­scitata da questo caso». Yasar Ravi è convinto dell’inattendibilità di molte testimonianze rese a seguito della tra­gica notte del 1° febbraio 2008. E le mette in discussione sollevando degli errori palesi, riscontrati nei racconti del pestaggio. «Bisogna considerare una testimonianza nella sua interez­za. Se presenta delle inesattezze, non è dunque da ritenersi valida». Il patro­cinatore di Tomic esclude anche l’in­tenzionalità di commettere un omici­dio, come pure un aggressione. «Chi picchiamo stasera?». È la frase ripetu­ta più volte dal giudice Ermani duran­te il processo e imputata a Marko To­mic. «Ma l’unico che la riporta è Ivi­ca Grgic», ha sottolineato Ravi. «Tomic non l’ha mai pronunciata». I colpi fatali «Ivica Grgic ammette di aver inferto un calcio alla testa di Damiano», ha sottolineato Ravi. «Mentre Marko sostiene di non averlo fatto». Le tre perizie medico-legali concordano sulla causa del decesso del giovane gordolese: un’emorragia cerebrale dovuta alla lacerazione dell’arteria vertebrale intracrancia. «Il dottor Osculati, medico che ha eseguito l’autopsia, riconduce la lesione a due traumi riscontrati sul capo di Da­miano. Ma non è in grado di deter­minare la loro causa», ha evidenzia­to la difesa. «Potrebbe dunque esse­re stato il pugno sferrato da Grgic, quando Damiano era ancora in pie­di, a provocare la lacerazione. Pugno che, invece di colpire Damiano sulla mascella (dove non ci sono segni), è forse andato a segno sulla tempia. Il dottor Fiori (ndr perito della difesa) non esclude nemmeno che la lesio­ne possa essere imputata agli spinto­ni di Jurkic». Per Ravi non si può dun­que stabilire chi abbia inferto il col­po fatale: «Il dubio rimane».
***
Il processo giorno per giorno

19 gennaio - 1° GIORNO
Aria tesa, colma di dolore. Il processo si mostra emotivamente provante già nei corridoi, un’ora prima dell’inizio del dibattimento. Dibattimento che, nella sua prima giornata, il giudice Mauro Ermani consacra interamente per mettere a nudo le personalità dei tre accusati: Ivica Grgic, Marko Tomic e Ivan Jurkic.

20 gennaio - 2° GIORNO
Groppo in gola. Lacrime agli occhi. La seconda giornata di processo è forse la più toccante. In aula si ripercorre la tragica notte del 1° febbraio 2008: Damiano Tamagni è stato aggredito, violentemente, senza motivo. È vittima “per caso”. All’origine dell’omicidio un’assurda concatenazione di circostanze.

21 gennaio - 3° GIORNO
Scatta l’ora delle perizie medico- legali, cruciali per determinare le singole colpe degli accusati. Tre referti sul tavolo. Damiano è morto per la lacerazione dell’arteria vertebrale. Tutti concordano, ma sulle cause i tre esperti differiscono. La perizia della difesa non convince il giudice.

22 gennaio - 4° GIORNO
La parola passa alla procuratrice pubblica Rosa Item, che chiede la conferma integrale dell’atto d’accusa. Così chiede 10 anni e mezzo di detenzione per Tomic e 10 anni per Grgic, ai quali si contesta il reato di omicidio intenzionale. Per Jurkic, accusato di aggressione, propone invece 3 anni di prigione.

23 gennaio - 5° GIORNO
« È morto un innocente. Siamo al limite dell’assassinio». Non usa mezzi termini l’avvocato della parte civile Diego Olgiati, che ha aperto il 5° giorno di processo. L’avv. Luca Marcellini, patrocinatore di Jurkic, sostiene che Ivan non debba essere accusato di aggressione, ma di rissa. C’è un abisso sui dettagli.
.
26 gennaio - 6° GIORNO
Infine, è la volta dei difensori di Grgic e Tomic. Gli avvocati Perucchi e Ravi catalizzano tutta la giornata. Sulla stessa lunghezza d’onda le loro arringhe. Per entrambi non si può stabilire chi sferrò il colpo letale. In nome del principio dell’“in dubio pro reo”, chiedono tre anni di detenzione per aggressione.

27 gennaio 2009 - Corriere del Ticino

Processo Tamagni, la Corte si ritira
La sentenza delle Assise criminali di Locarno è attesa per questa sera
Oggi il settimo e ultimo giorno del dibattimento per l’uccisione di Damia­no – La sentenza in serata Con le arringhe degli avv. Fran­cesca Perucchi, patrocinatrice di Ivica Grgic, edell’avv. Yasar Ravi, difensore di Marko Tomic, si è conclusa ieri pomeriggio la parte dibattimentale del processo per l’uccisione di Damiano Tamagni, avvenuta lo scorso 1. febbraio du­rante il carnevale locarnese. Come noto, per i due principali imputati, Tomic e Grgic, la pp Ro­sa Item­ha chiesto rispettivamen­te 10 anni e 6 mesi e 10 anni di car­cere, domandando la conferma dell’accusa di omicidio intenzio­nale. Per il terzo prevenuto, Ivan Jurkic, invece la pena chiesta è di 3 anni da scontare riconoscendo­gli l’accusa di aggressione. Dal canto loro i difensori si sono bat­tuti per delle riduzioni di pena. Co­sì l’avv. Luca Marcellini, che difen­de Jurkic, chiede la scarcerazione immediata del suo patrocinato; il legale di Grgic 3 anni di carcere per il suo cliente, come pure quello di Tomic. Aggressione e non omici­dio intenzionale il reato da consi­derare. La Corte in serata renderà noto il suo verdetto.
***
LE PAROLE DELL’ AVV. YASAR RAVI, DIFENSORE DI MARKO TOMIC
«Una richiesta di pena eccessiva»
«Negli ultimi cento anni, non esiste nel nostro Paese un solo ca­so per il quale, di fronte a percos­se senza la presenza di armi, il Tri­bunale federale abbia ammesso l’omicidio intenzionale per dolo eventuale. In questo processo, l’ac­cusa sta cercando di creare una nuova giurisprudenza, anziché se­guire le regole di quella in vigore». Parole forti, quelle dell’avv. Yasar Ravi – difensore di Marko Tomic –, che nella sua arringa ha punta­to con decisione su concetti tec­nici e giuridici per ridimensiona­re la richiesta di pena, da 10 anni e 6 mesi, formulata dall’accusa. Nella testa degli accusati L’intera valutazione della vicen­da da parte della corte, ha spiega­to il legale, si giocherà sul piano soggettivo, «nella testa degli ac­cusati »; «Tenendo ben presente la presunzione di innocenza, e l’obbligo che ogni dubbio sia in­terpretato a favore degli imputati, dovrete valutare fino a che punto gli aggressori potessero essere co­scienti e avessero il desiderio che i loro atti conducessero alla mor­te della vittima». Più semplicemente:nell’accusare Marko Tomic di avere sferrato col­pi tali da potere uccidere Damia­no Tamagni, è lecito pensare a due scenari con un differente pe­so giuridico. Nel primo, l’aggresso­re era cosciente del pericolo e non se ne curò («Se lo colpisco così può morire? Chi se ne frega»); è questo lo stato d’animo alla base del reato di omicidio intenziona­le per dolo eventuale, ipotizzato dalla procuratrice pubblica Rosa Item a carico di Tomic. Nel secon­do caso – omicidio colposo per negligenza cosciente – l’imputato avrebbe invece sì colpito in piena coscienza, ma valutando come molto bassa («Tanto non muore») la probabilità che i suoi colpi po­tessero essere letali. Su questa se­conda ipotesi, non senza un col­po di scena, si è concentrato l’avv. Yasar Ravi. L’imputazione accettata «Al di là delle disquisizioni legali», ha infatti affermato il difensore di Marko Tomic al termine della sua arringa, «è opinione del mio assi­stito che non ci sarebbe vera giu­stizia per i genitori di Damiano Tamagni, se non fosse possibile attribuire una chiara responsabi­lità per l’accaduto». Da qui, la de­cisione di non opporsi a una con­danna per omicidio colposo per negligenza cosciente, «con una pena non superiore a 4 anni di carcere». Tomic inoltre, «già da mesi ha scritto una lettera di scu­se, che ha deciso di consegnare ai familiari di Damiano Tamagni so­lo dopo la lettura della sentenza». La teoria della probabilità Per sostanziare la richiesta di un cambiamento dell’ipotesi di rea­to, l’avv. Ravi ha – come anticipa­to – posto l’accento sulla proba­bilità che, nel particolare conte­sto di quella sera, la morte della vittima potesse verificarsi; «Si trat­ta di un criterio determinante nel­la prospettiva dell’autore del rea­to ». Un criterio, per la cui valuta­zione il difensore ricordato come i periti medici siano stati concor­di, nel giudicare come «anoma­lo », «estremamente raro» ed «ec­cezionale » il nesso tra i colpi subi­ti e il movimento del collo risul­tato poi fatale a Damiano Tama­gni. «Solo se la probabilità di uc­cidere è alta, agli occhi degli ag­gressori, possiamo imputare loro un dolo eventuale», ha spiegato Ravi: «In caso contrario, la legge ci obbliga chiaramente a sceglie­re la negligenza cosciente». «Volevano solo divertirsi» Un altro punto più volte sottoli­neato dal difensore di Marko To­mic è la famigerata frase «Chi pic­chiamo stasera?», che l’allora 18enne avrebbe pronunciato a inizio serata, prima di incammi­narsi verso la Città Vecchia. «Il presidente della corte Mauro Ermani, nel rivolgersi al mio as­sistito, ha più volte citato questa affermazione, benché il mio assi­stito abbia sempre negato di aver­la pronunciata», ha spiegato Ravi. «In realtà, i tre imputati quella se­ra non avevano nessuna intenzio­ne di aggredire nessuno. Voleva­no solamente divertirsi al Carne­vale cittadino, e ancora pochi mi­nuti prima dell’aggressione era­no nel capannone principale a ballare. I filmati che abbiamo vi­sionato, nel corso del dibattimen­to, non ci mostrano il comporta­mento di tre persone in cerca di qualcuno da picchiare». Incensurato e denigrato Questa affermazione di «norma­lità » è stata ribadita da Ravi an­che nel tratteggiare la personalità del suo assistito. «Tomic era un 18enne incensurato, che è stato pesantemente denigrato in base a testimonianze di persone che ammettono di avere cessato ogni contatto con lui dall’età di 12 an­ni. In realtà, il suo ultimo datore di lavoro si è detto disposto a rias­sumerlo, e non manca chi, anche in quest’aula, ha speso parole di elogio per la sua persona». La questione dei tempi Quanto alla dinamica di quanto avvenuto in via Borghese, l’avv. Ravi ha poi ampiamente com­mentato gli esiti delle varie perizie mediche, sottolineando come «non sia possibile capire con esat­tezza quale colpo abbia provoca­to la lesione fatale a Damiano Ta­magni. «Potrebbe essere stato il pugno sferrato da Ivica Grgic, o addirittura una delle spinte di Ivan Jurkic; in ogni caso, non è affatto certo che sia stato un calcio alla testa di Marko Tomic a causare il decesso». L’avv. Ravi ha poi discus­so la questione della tempistica per riaffermare l’impossibilità di un giudizio chiaro sulle singole responsabilità:«L’intera sequen­za di colpi è durata non più di una ventina di secondi, esattamente l’intervallo che, secondo i periti, trascorre dal momento del colpo fatale a quello dell’arresto cardio­circolatorio ». Non più di 6 anni in carcere Come detto, comunque, oltre al­la richiesta più radicale – pena non superiore a tre anni, per ag­gressione, lesioni semplici e omis­sione di soccorso – il difensore di Tomic non ha escluso l’imputa­zione per omicidio. «E anche nel caso in cui la corte dovesse accet­tare le richieste dell’atto d’accu­sa », ha poi aggiunto, «la pena non dovra essere superiore a sei anni di carcere».
***
LO CHIEDE L’ AVV. FRANCESCA PERUCCHI PER IVICA GRGIC
«È aggressione, 3 anni di carcere!»
Tre anni di carcere, assumen­do il reato di aggressione e non di omicidio intenzionale. Questa la richiesta alla Corte dell’avv. Francesca Perucchi ieri mattina al termine della sua arringa in di­fesa di Ivica Grgic, 23 anni, per il quale la pp Rosa Item ha inve­ce proposto 10 anni di reclusio­ne con la conferma dell’accusa di omicidio intenzionale. Un reato, quest’ultimo, che l’avv. Perucchi ha fermamente respin­to per il suo assistito in conside­razione di diversi aspetti. In pri­mo luogo chiedendo il riconosci­mento della scemata responsa­bilità perché Grgic aveva un tas­so alcolico superiore al 2 per mil­le e si era fatto un paio di spinel­li, cosa che non gli avrebbe per­messo di rendersi conto con suf­ficiente lucidità di quanto stava succedendo in quelle manciate di secondi in cui si sono prodot­ti i fatti. Inoltre, l’azione si è svol­ta senza armi, non era premedi­­tata, la dinamica è stata rapidissi­ma, ci si trova di fronte a una per­sona giovane e che ha avuto pro­blemi famigliari, ha già trascorso quasi un anno in carcere, come cittadino straniero dovrà verosi­milmente lasciare la Svizzera e, non da ultimo, il tam-tam media­tico e sui vari blog rappresenta già una sorta di condanna. La pena andrebbe comunque ridotta Anche nel caso in cui la Corte non optasse per la sola aggressione, ma propendesse per un’aggres­sione in concorso ideale con l’omicidio colposo la pena per Grgic, a detta del suo legale, non dovrebbe superare i 4 anni; 4 an­ni e mezzo invece se si decides­se per le lesioni intenzionali gra­vi in concorso con omicidio col­poso e, infine, se la Corte doves­se mantenere il reato ipotizzato nell’atto d'accusa, vale a dire quel­lo di omicidio intenzionale, la pe­na giusta, secondo l’avv. Peruc­chi, sarebbe di 6 anni di carcere e non 10 come chiesto dalla pp Rosa Item. Pressione popolare e mediatica «Non è certo facile – ha esordito ieri mattina l’avv. Francesca Pe­rucchi iniziando la sua arringa – lavorare in un clima di pressione popolare e mediatica come si è verificato in questo procedimen­to. La giustizia esemplare com­porta l’operare con la massima correttezza e prudenza. La giu­stizia deve assolutamente essere equa nel suo procedere e agire e lo potrà essere solo consideran­do i fatti nudi e crudi, libera e svincolata da qualsiasi altro po­tere. Non si può insomma – ha sottolineato ancora l’avvocates­sa – applicare un reato più grave solo per soddisfare la sete popo­lare o mediatica. Occorre, appun­to, attenersi rigorosamente ai fat­ti che portano a stabilire le cor­rette responsabilità di chi li ha commessi. Le leggende metropo­litane e il moltiplicarsi dei pette­golezzi non possono trovare po­sto in queste analisi», ha conclu­so l’avv. Perucchi. Testimonianze da leggere con la massima prudenza «Se si vuole che la giustizia faccia il suo corso correttamente – ha fatto presente ancora l’avv. Fran­cesca Perucchi – bisogna assolu­tamente leggere le numerose te­stimonianze raccolte in questa inchiesta con la massima pruden­za, proprio perché molti dei testi non lo sono stati e si sono sbilan­ciati in valutazioni soggettive. E’ pertanto necessario considerare l’intero contesto in cui si è svolta l’azione. Un’azione, d’altronde, per la quale ci vuole più tempo a raccontarla che a compierla tan­to è stata fulminea». Va ricordato come – ha prosegui­to il difensore – «i tre si erano re­cati al carnevale di Locarno per divertirsi:sono allegri come han­no mostrato i filmati registrati nel capannone e proiettati anche in quest’aula. Non portano armi o altri aggeggi per picchiare. D’al­tronde Ivica Grgic non ha neppu­re precedenti significativi con la giustizia, soprattutto legati a fat­ti di particolare violenza. Non è un rissoso come molti lo hanno voluto dipingere sui blog o sui giornali. E’ vero che al momento in cui è iniziato il pestaggio di Da­miano la situazione sembrava es­sere tranquilla, ma era carneva­le e c’era comunque confusione in quel luogo. Un aspetto che sog­gettivamente poteva anche be­nissimo essere interpretato come una situazione calda e di litigio». Non c’è stata volontà di uccidere «Nessuno nega che il mio cliente ha fatto qualcosa di molto grave, ma non c’era la volontà diretta di uccidere. E neppure – ha rileva­to ancora l’avv. Perucchi – pote­va presumere di farlo, secondo i parametri del dolo eventuale, in quanto il calcio sferrato, col collo del piede, in testa a Damiano non era un calcio forte. Lo stesso Grgic lo ha sempre sostenuto e questa pedata era diretta alla nuca e non al collo, tanto che non ha lascia­to il segno sulla testa della vitti­ma e, d’altronde, neppure sulle scarpe del mio cliente sono state riscontrate tracce di Dna compa­tibili. In tale frangente non pote­va quindi certo immaginare di poter uccidere, per cui non ci tro­viamo di fronte a un omicidio in­tenzionale ». Quando è avvenuta la rottura dell’arteria? Tutti i periti – ha ricordato il di­fensore – sono stati d’accordo nel­l’attribuire la causa della morte di Damiano all’emorragia prodot­ta dalla lacerazione dell’arteria vertebrale per un movimento brusco e anomalo del capo. Ma quando è avvenuto questo? «Sa­rebbe un’errore – ha fatto presen­te l’avv. Perucchi – non considera­re la possibilità, evidenziata nel­la perizia del prof. Fiori, che la rottura dell’arteria possa essersi prodotta quando Damiano era ancora in piedi. Già a quel mo­mento aveva infatti ricevuto di­versi colpi da chi lo stava aggre­dendo e anche lui, nel tentativo di difendersi, potrebbe aver com­piuto movimenti che hanno por­tato alla lacerazione. Un ragione­vole dubbio sul fatto che siano stati unicamente i calci inferti al­la vittima quando si trovava a ter­ra indifesa a provocare il danno mortale – ha concluso l’avv. Pe­rucchi – a questo punto deve sor­gere » .

27 gennaio 2009 - La Regione Ticino

‘Fu aggressione, non omicidio’
Francesca Perucchi, difensore di Ivica Grgic, chiede una condanna che non superi i tre anni Sulla stessa linea anche Yasar Ravi, avvocato di Tomic, che propone alla Corte tre varianti di pena
È stata un’aggressione, non un omicidio intenzionale. Non ha dubbi l’avvocato Francesca Perucchi, che difende Ivica Grgic, uno dei tre giovani che in questi giorni è alla sbarra di fronte alla Assise criminali di Locarno per la morte di Damia­no Tamagni. Ieri Perucchi ha parlato per più di due ore; poco prima di mezzogiorno si è rivolta alla Corte – presieduta dal giudice Mauro Ermani – chiedendo per il suo assistito una pena che non superi i tre anni di carcere (comprendendo le precedenti condanne che ancora pendono su Grgic, ma sospese dalla con­dizionale). « Se pure la Corte vuo­le condannare Grgic per aggres­sione in concorso con omicidio colposo, non si vada oltre i 4 anni. I dieci anni chiesti dalla procuratrice pubblica Rosa Item sono davvero troppi ». Per quanto riguarda i reati ipotizzati dall’accusa, l’avvoca­to del 23enne ha domandato pene comunque più lievi di quelle proposte da Item: 6 anni se verrà considerato omicidio intenzionale; 4 anni e mezzo se la Corte opterà per lesioni gravi in concorso con omicidio colpo­so. Un’ampia ‘tavolozza’ di pos­sibilità che la dice lunga sulle difficoltà di definire le respon­sabilità penali di Grgic. Perucchi ha pure elencato una serie di attenuanti che la Corte dovrà valutare; l’imputa­to quella sera non era armato, non c’è stata premeditazione, ha ammesso le sue colpe, era ubriaco e aveva fumato due spi­nelli (ciò che porta a una scema­ta responsabilità). A suo carico non ci sono precedenti con epi­sodi simili (le condanne che ha subìto sono per furto e eccesso di velocità); poi ci sono la giova­ne età, il periodo di carcerazio­ne già scontato, la difficile situa­zione familiare e il fatto che non è cittadino svizzero (verosimil­mente gli verrà revocato il per­messo di soggiorno). Perucchi, dal banco della dife­sa, ha proposto di ‘derubricare’ l’accusa da omicidio intenzio­nale ad aggressione, per diverse ragioni. A suo dire, non esiste la certezza che la lesione che ha provocato la morte di Damiano sia dovuta ai calci che ha rice­vuto da Grgic e da Marko To­mic. Nessuno dei periti ha potu­to definire l’esatta dinamica dei fatti. La rottu­ra dell’arteria cerebrale si­nistra, per un movimen­to anomalo (e ‘abnorme’) della testa, può essere av­venuta prima che la vittima cadesse al suolo. Potreb­be essere sta­to un pugno (magari quel­lo sferrato dallo stesso Grgic) o uno spintone la causa scatenante. C’è pure chi ha affermato che Damiano, prima di accasciarsi al suolo, già barcollava e si muo- Togliere quell’alone di violenza e cattiveria che incombe su Grgic in modo strano. « Si potreb­be pensare che l’emorragia cere­brale, a quel momento, fosse già in atto ». L’accusa, per ricostruire la di­namica, si è basata sulle testi­monianze. Ma Perucchi – come aveva fatto prima di lei l’avvoca­to Luca Marcellini, difensore di Ivan Jurkic – ha invitato alla prudenza nell’interpretazione delle dichiarazioni dei testi. Quella sera, in Via Borghese, era in corso un battibecco; c’era tensione fra due gruppi. Regna­va la confusione e si sentiva odore di rissa. A un certo punto Damiano è a terra e parecchi non capiscono cosa sia succes­so. Jurkic aveva spintonato Da­miano; Tomic e Grgic hanno in­terpretato male quel gesto e sono intervenuti. Ma in tutto ciò non c’è traccia di premedita­zione. « La pedata che Grgic ha da­to alla testa di Damiano, quando que­sto giaceva al suolo, non era forte – ha ag­giunto l’avvo­cato –. Tanto che il perito non ha trova­to tracce evi­denti. Di più: sulle scarpe da ginnastica del mio assi­stito non c’e­rano tracce del Dna di Da­miano. Nessu­no può pensare che un calcio di quel genere può uccidere. La sca­tola cranica che protegge il cer­vello non è stata lesa ». Cadrebbe così anche l’intenzione di ucci­dere. E quella frase pronunciata da Grgic qualche ora prima dei fat­ti (« Se stasera qualcuno mi pro­voca l’ammazzo »)? « Grgic am­mette di averla detta, ma senza un motivo particolare ». Secondo Perucchi, l’imputato prova vergogna per ciò che ha fatto; è pentito e consapevole di aver causato un immenso dolo­re alla famiglia della vittima. « Chiede di scontare la pena che merita, anche se la prigione non alleggerirà la sua coscienza. Dal carcere ha mandato alla sorella molti disegni e messaggi pieni di dolcezza. Non è un provocatore o un picchiatore incallito. Chi lo conosce, lo definisce un ragazzo tranquillo, sorridente e buono come il pane. Aiuta gli amici e con loro si diverte. Dobbiamo to­gliere quell’alone di violenza e cattiveria che incombe su di lui. È stato screditato da pettegolezzi e dicerie; da cattiverie che hanno spopolato sui ‘blog’. Resta la gra­vità dei fatti della sera del 1° feb­braio 2008; ma il suo non è stato un gesto che mirava ad uccidere, neppure per dolo eventuale. Non ha la mentalità fredda di un omicida; tanto è vero che dopo i fatti racconta a molti del pugno che ha dato a Damiano sul volto. Poi torna a casa, dove viene arre­stato. Non fugge all’estero e non si dà alla macchia ». Insomma, per l’avvocato di Grgic ci sono troppi dubbi su come siano an­date realmente le cose; né le te­stimonianze di chi era presente né le perizie degli specialisti hanno potuto chiarire ogni aspetto. E i dubbi, dal punto di vista penale, vanno a vantaggio dell’imputato. Marko Tomic, e con lui il suo avvocato Yasar Ravi, hanno aperto per la Corte un ventaglio di possibilità di con­danna. Considerando « eccessi­va » la pena richiesta dalla procuratrice Rosa Item ( 10 anni e mezzo) ed « errata la qualifica del reato » indicata ( omicidio intenzionale), Ravi ha proposto in prima istanza una condanna per aggressio­ne, lesioni semplici e omissio­ne di soccorso, per una pena non superiore a 3 anni, even­tualmente in parte sospesi. In via subordinata, « non potendo la Corte escludere che uno dei colpi inferti da Tomic abbia concausato la morte di Damia­no » , Ravi ha proposto una condanna per aggressione, le­sioni semplici, omicidio per negligenza e omissione di soc­corso, commisurata in non più di 4 anni di detenzione. E quale ultima ratio, se proprio la Corte delle Assise crimina­li volesse emettere una con­danna per omicidio per dolo eventuale, allora « che la pena non superi i 6 anni » . Quanto alle pretese di parte civile, la difesa di Tomic « non si oppone e lascia l’entità del risarcimen­to per torto morale alla valuta­zione della Corte » . È in ogni caso « lodevole » , per Ravi, « l’i­dea della famiglia di Damiano di devolvere il risarcimento alla Fondazione » . Queste richieste, espresse ieri pomeriggio dopo quasi tre ore di arringa, erano state pre­cedute da considerazioni rela­tive alla colpa ammessa da To­mic, alla presa di coscienza di quanto commesso, e alla loro influenza sulla qualifica giuri­dica del o dei reati. « Tomic – ha chiarito il suo legale – non contesta l’esistenza di un lega­me di causalità adeguato fra gli atti commessi e la morte. Perché si sente responsabile e profondamente in colpa per la morte di Damiano. Ma non ha mai voluto ucciderlo ». E in più: « Non si può sfuggire alle pro­prie responsabilità per un tec­nicismo giuridico ». Alle questioni giuridiche era stata del resto dedicata una parte preponderante del­l’arringa. In particolare ver­tendo sui due concetti di dolo eventuale e negligenza co­sciente. Il primo è una forma ridotta di intenzionalità; c’è la coscienza che l’atto po­trebbe Si faccia astrazione dalle voci che gridano vendetta provo­care la mor­te, ma ciono­nostante si agisce, accet­tando l’even­tualità della morte pur non deside­randola. La seconda è in­vece deter­minata dal­l’ammissione che il risulta­to possibile dei propri atti sia la morte, ma c’è la fer­ma convinzione che questa eventualità è fortemente im­probabile. Ed è proprio que­veva sto che, secondo il suo avvo­cato, è avvenuto in Tomic: una negli­genza co­sciente. Ravi ha anche ri­cordato che mai in Sviz­zera un omi­cidio per dolo even­tuale è stato riconosciuto per una morte cagio­nata senza l’ausilio di armi. In apertu­ra di inter­vento Ravi aveva sostanzialmente invita­to la Corte a fare astrazione dalle « voci che gridano ven­detta » , sottolineando che « le considerazioni giuridiche vanno tratte da fatti » . Poi, cercando di dimostrare la poca credibilità di diverse te­stimonianze considerate im­portanti dall’accusa, aveva cercato di restituire a Tomic un profilo meno truce rispet­to a quello tracciato dall’ac­cusa: « Non si tratta di un as­sassino senza scrupoli, ma di un ragazzo di 19 anni che non era partito con l’intenzione di picchiare qualcuno, ma ha commesso l’errore più grande della sua vita, e se lo porterà dietro per sempre » . Nel corso di tutta l’arringa Ravi ha ribadito più volte la necessità di tener conto della presunzione di innocenza, « evitando processi sommari per imputati già condannati dall’opinione pubblica una set­timana dopo i fatti ».
***
Sotto la lente le tre perizie mediche
‘Non v’è certezza sulle cause del trauma’ Con particolare attenzione l’avvocato Ravi è tornato a spulciare le tre perizie finite agli atti: quella giudiziaria di Antonio Oscu­lati, quella commissionata dalla parte civile al dottor Ennio Pe­drinis, e la terza, quella ordinata proprio dalla difesa di Tomic al professor Angelo Fiori. Ravi ha insistito sui punti di contat­to fra le diverse valutazioni, e in particolare sul fatto che quello della morte di Damiano sia stato « un caso raro e particolare » . « Tutti concordano – ha proseguito – che è estremamente difficile stabilire l’origine del trauma che ha causato la lacerazione arte­riosa determinante ai fini del decesso di Damiano. Lo stesso Oscu­lati non esclude che possa essere stato sufficiente un calcio, un pu­gno, o addirittura soltanto uno spintonamento, specialmente se dato di sorpresa ». E poi: « Lo stesso Pedrinis sostiene che non c’è certezza che l’evento determinante sia avvenuto con Damiano a terra. Certo è ragionevole, ma non è certo, ed è la certezza che deve venire richiesta dalla Corte ai fini di un certo tipo di condanna ».
***
Fiaccolata a un anno dalla tragica morte di Damiano
La proposta della omonima Fondazione che combatte la violenza giovanile Il processo con i tre aggressori di Da­miano Tamagni volge al termine. La sentenza è annunciata per questa sera. E domenica primo febbraio ri­corre l’anniversario della tragica morte del 22 enne. « Per questa com­memorazione proponiamo una fiacco­lata – si legge in una nota stampa in­viata ieri ai media dalla Fondazione che porta il nome del giovane decedu­to un anno fa al Carnevale di Locarno –. Lo scopo: ricordare Damiano e invi­tare tutti a riflettere, camminando in­sieme, quanto importante sia lottare contro la violenza giovanile ». La fiaccolata avrà inizio alle 19 alla stazione Ffs di Locarno, con partenza dal parcheggio Park& Ride per poi snodarsi verso Largo Zorzi, Piazza Grande, Via Marcacci, Via Borghese e arrivo sulla Piazza Sant’Antonio, nel nucleo storico della città. « Alle 20 – aggiunge la Fondazione – è prevista nella collegiata di Sant’An­tonio la celebrazione di una messa presieduta dal vescovo monsignor Pier Giacomo Grampa. Prima e dopo la celebrazione verranno proposti al­cuni brani musicali, interpretati dal quartetto Roxanne ( violini) e da Anais, e alcune letture di pensieri che riconducono al tema della non violen­za. Tutta la popolazione è cordial­mente invitata a unirsi alla fiaccola­ta » . Un’iniziativa lanciata da una Fondazione che si sta distinguendo per coraggio e intelligenza nel porta­re avanti un tema di grande impor­tanza.
***
Per la petizione un sito italiano
Molti siti ticinesi hanno deciso di non ospitare ‘blog’ con commenti sul processo, dopo le esperienze negative dei giorni successivi al­l’omicidio, con ingiurie che pio­vevano a raffica contro i respon­sabili del pestaggio. Ma c’è chi aggira l’ostacolo. A processo non ancora terminato su un sito ita­liano è partita una raccolta di firme (sono già più di 600) per contestare la pena proposta dal­l’accusa, ritenuta blanda.