20 gennaio 2009 - Giornale del Popolo

LOCARNO Processo per l’omicidio di Damiano Tamagni: tanto pubblico, ma molti restano fuori
Tre giovani bulli pronti a una serata di violenza
di LUCA PELLONI

Era tesa sin da un’ora prima dell’inizio del dibat­timento l’atmosfera al palazzo del Pretorio di Lo­carno, dove ieri si è aperto il processo a carico di Ivica Grgic, Marko Tomic e Ivan Jurkic, accusati di aver concorso nell’omicidio di Damiano Tamagni, il giovane di Gordemo (frazione di Gordola) ucci­so a calci e pugni la notte del 1° febbraio 2008, du­rante il carnevale di Locarno. Grgic e Tomic sono accusati di omicidio intenzionale, mentre Jurkic di aggressione, poiché sembra aver smesso di infie­rire sul 22enne prima degli altri. Un’atmosfera te­sa, scaturita sicuramente dalle forti emozioni pro­vate da tutto il Cantone a seguito dell’assurda vio­lenza del 1° febbraio. Moltissima gente si è accal­cata davanti alla porta d’entrata dell’aula del tri­bunale. La stampa era presente in massa, ma tan­ti anche i semplici “curiosi”. Ad attendere l’inizio del processo, in corridoio, c’erano ovviamente an­che la mamma, il papà, lo zio e numerosi amici di Damiano. Non mancavano neppure molti paren­ti e amici dei tre accusati. Non tutti hanno potuto assistere al dibattimento: l’aula è infatti troppo pic­cola per poter accogliere un così grande numero di persone. Subito uno screzio tra un cameraman e una persona che attendeva fuori dall’aula. Ma il tutto si è risolto con il buon senso. Facce tese, an­che qualche lacrima prima e durante il processo. A testimoniare ancor di più quanto un gesto assur­do, durato pochi secondi, abbia sconvolto per sem­pre la vita di molti. Damiano non c’è più. E i suoi parenti lo piangono. Ma anche le famiglie dei tre accusati sono state turbate irrimediabilmente. Co­sì, ieri il giudice Mauro Ermani ha iniziato il pro­cesso mettendo a nudo la vita dei tre ragazzi di ori­gine balcanica. Il presidente delle Assise crimina­li di Locarno ha enumerato, leggendoli, parecchi passaggi di testimonianze rilasciate da amici o da­tori di lavoro dei tre. Ascoltati in aula anche altret­tanti testi, per delineare, sentendo parole dal vivo, le personalità degli accusati. Nel pomeriggio si so­no poi ricostruite le ore e gli attimi che hanno pre­ceduto il pestaggio letale. Analizzati pure i proble­mi di comportamento degli imputati durante l’inchiesta, quando si trovavano in carcere. Oggi si riprenderà con la ricostruzione dell’aggressione, della fuga e dell’arresto.

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L’incontro con il Vescovo : Momento toccante

Nei giorni successivi all’arresto, i tre im­putati hanno ricevuto la visita del Vesco­vo di Lugano Pier Giacomo Grampa. Tutti e tre sono cattolici, come confermato ie­ri in aula. Un incontro profondamente commovente, che ha lasciato il segno. Ma, forse, non in tutti. «Ero molto emoziona­to », racconta Ivan Jurkic. «All’inizio non riuscivo a parlare di quanto accaduto. Ma con il Vescovo sono finalmente aperto. Lui mi ha detto di continuare a credere in Dio e di essere sincero». «L’ho visto per po­co tempo, perché finalmente potevo in­contrare anche la mia famiglia», ha inve­ce esordito Ivica Grgic. «Mi sono commos­so. Io pregavo già in carcere. Il Vescovo mi ha incitato a non perdere la fede. Così ho pregato anche per Damiano e per l’enor­me sbaglio che ho commesso». Meno coinvolto, almeno a parole, Marko Tomic. «Abbiamo parlato un po’ di quanto acca­duto. Il Vescovo mi ha detto di credere nel Signore e di essere onesto», si è limitato a commentare.

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I momenti prima della tragedia

Un venerdì apparentemente nor­male. Tutti al lavoro e poi, alla sera, il Carnevale di Locarno. Jurkic e Grgic si ritrovano per la Stranociada. Prima però, una tappa per rifornirsi di ma­rijuana. Alle 20.45 s’incontrano con To­mic, con una cassa di birra, sopra il “muraglione”, in Piazza Castello. Con loro, una ventina di ragazzi. Si beve e si fuma uno spinello (non Tomic). Gr­gic ha detto: «Il primo che mi tocca o mi rompe le scatole, stasera lo ammaz­zo ». Una frase agghiacciante, origina­ta da precedente screzio al carnevale di Tesserete. «Parole davvero brutte, dette così per vantarmi. Ma non ave­vo l’intenzione di combinare nulla di simile», ha commentato Grgic su ri­chiesta del giudice. Tanto che, quan­do Tomic gli chiese: «chi picchiamo stasera?», lui rispose: «Nessuno». For­se solo parole. Ma il sintomo di una violenza connaturata alla loro vita. To­mic, però non ricorda questa doman­da. Come non ricorda molti particola­ri: «È passato molto tempo». Fatto che ha irritato il giudice Ermani: «Sei in car­cere da quasi un anno. Dovresti avere avuto il tempo di riflettere. Spero che la memoria ti torni ora». Alla Stranociada i tre visitano diversi capannoni. Bevono ancora qualche birra. Non eccessivamente: all’arresto infatti solo Grgic presenta un tasso al­colico significativo (stimato tra 1,68 e 3,18 per mille), mentre negli altri due non c’era più traccia delle birre. Poco prima delle 23.40 si trovano nel capan­none centrale. Qualcuno rompe un fi­lo su cui erano appese delle maglie del FC Locarno. E Jurkic ne ruba una, in­dossandola. Il seguito della tragica vi­cenda sarà oggetto del dibattimento odierno. Ma in aula è già emerso che, dopo il pestaggio letale, i tre si sono fer­mati al capannone centrale per bere ancora una birra. Poi Jurkic è rientra­to a casa, mentre gli altri due hanno proseguito la festa al carnevale di Bel­linzona. Come se nulla fosse, verosi­milmente ignari della gravità del loro gesto. Parallelamente anche Damiano Tama­gni, ha preparato la sua sera alla Stra­nociada. Il giudice Mauro Ermani ha letto delle testimoniante di amici del giovane di Gordola. Truccato da “Emo”, Damiano ha iniziato la serata poco do­po le 20 nella sala del Drago Rosso, in via Borghese. Qualche bibita, anche al­colica, ma senza eccedere. Damiano non esagerava mai. Poi verso le 23.15 si sposta con degli amici verso Piazza Sant’Antonio, sede del capannone centrale. I tre imputati non conoscevano Da­miano. L’hanno confermato in aula. Al­lora il giudice ha letto loro delle testi­monianze che hanno inquadrato la vit­tima. Ligio al dovere, simpatico, dispo­nibile, altruista, studioso e impegnato. Insomma, una brava persona. «Ecco, ora sapete chi era Damiano», ha det­to il giudice rivolgendosi a tre imputati.
Collusione in carcere
Durante l’inchiesta, i tre imputati non avrebbero dovuto venire in contatto tra loro. Ma nei corridoi, durante gli spo­stamenti per l’ora d’aria o per gli inter­rogatori, sono riusciti a parlarsi. «Po­che parole», ammette Tomic. «Con che scopo?», ha chiesto Ermani, rispon­dendo egli stesso: «Avevate paura di quello che sarebbe emerso». Il proble­ma è stato sollevato in uno scambio epistolare tra la procuratrice pubblica Rosa Item e il direttore della Farera. I tre si sono incontrati fugacemente an­che con il minorenne implicato nella rissa del 1° febbraio. Tant’è che Tomic è stato spostato alla Stampa, in isola­mento, per impedire che “inquinasse delle prove”. Ma Tomic non ci sta. E ini­zia a scrivere a più riprese ai Procura­tori Marco Villa e Rosa Item asseren­do di avere informazioni su 11 furti av­venuti nel Locarnese e anche su alcu­ni colpi programmati. Proponeva informazioni in cambio del ritorno al­la Farera. Voleva girare la situazione a suo favore, trasformandosi in un infor­matore, come nei film americani. «Ero disperato», si è giustificato Tomic. Pu­re Jurkic è finito in isolamento alla Stampa, ma non si è lamentato. Men­tre Grgic si è fatto spostare oltre Got­tardo, più vicino alla madre che nel frattempo si è trasferita in Svizzera in­terna.
Inchiesta parallela e veleni
«Non mi fido della polizia: voglio apri­re un’inchiesta parallela». Questa una frase del padre di Marko Tomic letta in aula dal presidente. Altri veleni sulla vit­tima e sulla famiglia di Damiano sono invece stati sparsi dalla sorella di Tomic su un blog in internet. Solo calunnie, ha sottolineato Ermani, cancellando ogni dubbio sull’integrità della famiglia Tamagni.
I colpi fatali
Nell’atto d’accusa poche frasi, nel freddo linguaggio legale, racchiudono i momenti centrali dell’aggressione. Se­condo la ricostruzione del magistrato, Ivan Jurkic aggredisce per primo Tama­gni, «spintonandolo in maniera forte e a diverse riprese». Tomic e Grgic lo «affiancano subito» con pugni al viso. Poi i primi calci allo stinco, all’addome e al fianco. C’è anche il quarto giova­ne (il minorenne processato in sepa­rata sede), che tira un calcio alle costo­le e poi si allontana. Damiano cade a terra. Tutti e tre «lo col­piscono con calci al busto e agli arti» e lui si rannicchia per proteggersi. Jurkic si placa. Tomic e Grgic «gli sfer­rano calci in testa e al collo». Damia­no perde conoscenza. Sono colpi mi­rati, micidiali. «Tali – sempre secondo l’atto d’accusa – da causargli la lacera­zione dell’arteria vertebrale sinistra in­tracranica, con emorragia cerebrale che ne ha determinato il decesso».

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Messe a nudo le personalità degli accusati

Tre giovani come molti. Con alle spalle alcune “bravate” e un paio di epi­sodi più gravi. Sufficienti per portare queste tre vite a incrociarsi con l’esi­stenza di Damiano Tamagni in manie­ra così violenta e tragica? È quanto ha cercato di stabilire la corte, ricostruen­do la vita degli imputati. Marko Tomic è nato in Bosnia 19 anni fa e ha otte­nuto la cittadinanza svizzera nel 2003. Dalle testimonianze raccolte tra cono­scenti, amici e colleghi emerge un ca­rattere ambivalente. Discreto appren­dista montatore («Se l’avessero libera­to prima del processo l’avrei tenuto», ha detto il suo ex datore di lavoro), ma soprattutto stimato arbitro di calcio. «Era considerato tra i migliori del locar­nese – ha confermato un compagno di spogliatoio – affidabile e disponibile. Capace di tenere i nervi saldi quando intorno piovono solo critiche». Un esempio di etica sportiva, ma, tolta la giacchetta nera, la sera, in giro con i due amici, si trasformava in attacca bri­ghe arrogante. «Un gran fifone quan­do da solo, ma spavaldo e aggressivo in compagnia. Un bullo», secondo al­cuni amici e conoscenti. Sul suo telefo­nino sono stati trovati diversi filmini di pestaggi presi da internet. Tomic in au­la ha ridimensionato: «Non ricordavo neanche di averli. Non mi piace la vio­lenza ». Nella nel cellulare anche un fil­mino di pornografia dura. Da qui l’ac­cusa per pornografia. Ivica Grgic, 23 anni, croato, nato a Lo­carno nel 1986 (in attesa della cittadi­nanza, chiesta prima dei fatti in esa­me), una famiglia disgregata alle spal­le. In particolare un pessimo rappor­to con il padre, ma un forte legame con madre e sorella. Ha imparato a fare l’imbianchino ma sul lavoro era lento e svogliato (è stato anche licenziato). Soprannominato in compagnia “Spu­gna”, ha ammesso di avere avuto un problema con l’acool, ma di averlo ri­solto prima del febbraio 2008. Passio­ni vere poche. Più che altro gli amici e quel modo di fare da galletto, spalleg­giandosi a vicenda con Tomic. Raccon­tava volentieri storie di risse. «Solo per vantarmi», si è difeso in aula. Come per Tomic gli episodi accertati sono pochi, ma ci sono. Come la zuffa al carneva­le di Maggia nel 2007, quando Grgic spinse a terra una ragazza. Non sono mancate testimonianze a fa­vore, amici e conoscenti che dipingo­no Tomic e Grgic come «ragazzi nor­mali ». Non cercavano la rissa ogni se­ra. Tra i testi un barista del Bar Sport: «Non ho mai visto Tomic implicato nel­le zuffe che capitano davanti al loca­le ». Infine Ivan Jurkic, 20 anni, nato in Bo­snia. «Un giovane tranquillo – è stato testimoniato – che frequentando gli al­tri due ha iniziato a rovinarsi». Apprez­zato sul lavoro (meno durante l’ap­prendistato, quando venne duramen­te richiamato perché insofferente all’at­tività scolastica), era dipendente alla Migros di Minusio. «Una seconda fa­miglia », ha definito i colleghi, dai qua­li era considerato «educato, non certo un violento». Dava anche una mano in macelleria. Una famiglia stabile e nes­sun precedente. (M.V.)

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Il commento
Quando dietro il branco si nasconde la debolezza
di STEFANO LAPPE*

Oggi, durante il processo è emerso l’“ef­fetto branco” che - creando un apparente “coraggio” nelle persone, le incita a colpire, sentendosi quasi invincibili. Mi sono chie­sto molte volte, uscendo la sera, come mai tanti giovani si sentono così protetti dal branco, dalla banda, che molto spesso identificano come la propria famiglia. Questo atteggiamento è tipico delle perso­ne deboli e in un certo senso sole (per mo­tivi famigliari o di scelta propria) che, inve­ce di isolarsi, si comportano in modo oppo­sto, unendosi ad altri per sentirsi più forti. Penso che non esistano soggetti violenti di nascita, ma è la presenza di sedicenti ami­ci che si spronano l’un l’altro a togliere la paura, costringendo un giovane ad emula­re una condotta negativa. Dalle testimonianze giuntemi in diverse oc­casioni, credo di poter affermare che il bran­co - mostrando la vera origine animalesca che ne dimostra la brutalità - crea un 'ef­fetto film', il ragazzo (o la ragazza!) si sen­te perciò come prigioniero di un copione che non vuole seguire e al contempo si sen­te libero, forte e coraggioso. Compie atti vandalici per gioco, non si ren­de conto delle conseguenze delle sue azio­ni, poiché - come in un filmato - si potrà si­curamente tornare indietro. Invece non è così. Solo in seguito queste persone si ac­corgono delle ripercussioni dei loro gesti e della gravità di certi atteggiamenti. Il branco per di più è un nascondiglio, in quanto si è “uno dei tanti” e di conseguen­za, forse inconsciamente, si crede di non do­ver assumere tutte le responsabilità di un determinato fatto. Stiamo parlando di persone che si lasciano condizionare molto facilmente e - siccome non hanno veri e propri punti di riferimen­to - li cercano sulla strada. Come probabilmente anche nel caso degli imputati di questo processo, si tratta quin­di di giovani facilmente “incendiabili”, so­prattutto se presi in gruppo. Fino a che pun­to può arrivare questa adrenalina da bran­co? È difficile a dirsi e non spetta natural­mente a me decidere; così come non è nem­meno mio compito, bensì quello degli in­quirenti, stabilire se nel caso dei tre indaga­ti (o quattro, contando pure il minorenne) si trattasse di un branco oppure no. Concludo con una citazione del poeta e sag­gista statunitense Gary Snyer, che secondo me riassume in modo efficace il contenu­to del presente testo: «L’uomo che ha l’ani­ma del lupo / conosce il dominio di sé / del lupo; esecuzioni e stragi senza scopo / non sono l’opera di lupi e aquile / ma l’opera di pecore isteriche». * Studente IV Liceo Collegio Papio

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