LOCARNO Processo per l’omicidio di Damiano Tamagni: tanto pubblico, ma molti restano fuori
Tre giovani bulli pronti a una serata di violenza
di LUCA PELLONI
Era tesa sin da un’ora prima dell’inizio del dibattimento l’atmosfera al palazzo del Pretorio di Locarno, dove ieri si è aperto il processo a carico di Ivica Grgic, Marko Tomic e Ivan Jurkic, accusati di aver concorso nell’omicidio di Damiano Tamagni, il giovane di Gordemo (frazione di Gordola) ucciso a calci e pugni la notte del 1° febbraio 2008, durante il carnevale di Locarno. Grgic e Tomic sono accusati di omicidio intenzionale, mentre Jurkic di aggressione, poiché sembra aver smesso di infierire sul 22enne prima degli altri. Un’atmosfera tesa, scaturita sicuramente dalle forti emozioni provate da tutto il Cantone a seguito dell’assurda violenza del 1° febbraio. Moltissima gente si è accalcata davanti alla porta d’entrata dell’aula del tribunale. La stampa era presente in massa, ma tanti anche i semplici “curiosi”. Ad attendere l’inizio del processo, in corridoio, c’erano ovviamente anche la mamma, il papà, lo zio e numerosi amici di Damiano. Non mancavano neppure molti parenti e amici dei tre accusati. Non tutti hanno potuto assistere al dibattimento: l’aula è infatti troppo piccola per poter accogliere un così grande numero di persone. Subito uno screzio tra un cameraman e una persona che attendeva fuori dall’aula. Ma il tutto si è risolto con il buon senso. Facce tese, anche qualche lacrima prima e durante il processo. A testimoniare ancor di più quanto un gesto assurdo, durato pochi secondi, abbia sconvolto per sempre la vita di molti. Damiano non c’è più. E i suoi parenti lo piangono. Ma anche le famiglie dei tre accusati sono state turbate irrimediabilmente. Così, ieri il giudice Mauro Ermani ha iniziato il processo mettendo a nudo la vita dei tre ragazzi di origine balcanica. Il presidente delle Assise criminali di Locarno ha enumerato, leggendoli, parecchi passaggi di testimonianze rilasciate da amici o datori di lavoro dei tre. Ascoltati in aula anche altrettanti testi, per delineare, sentendo parole dal vivo, le personalità degli accusati. Nel pomeriggio si sono poi ricostruite le ore e gli attimi che hanno preceduto il pestaggio letale. Analizzati pure i problemi di comportamento degli imputati durante l’inchiesta, quando si trovavano in carcere. Oggi si riprenderà con la ricostruzione dell’aggressione, della fuga e dell’arresto.
***
L’incontro con il Vescovo : Momento toccante
Nei giorni successivi all’arresto, i tre imputati hanno ricevuto la visita del Vescovo di Lugano Pier Giacomo Grampa. Tutti e tre sono cattolici, come confermato ieri in aula. Un incontro profondamente commovente, che ha lasciato il segno. Ma, forse, non in tutti. «Ero molto emozionato », racconta Ivan Jurkic. «All’inizio non riuscivo a parlare di quanto accaduto. Ma con il Vescovo sono finalmente aperto. Lui mi ha detto di continuare a credere in Dio e di essere sincero». «L’ho visto per poco tempo, perché finalmente potevo incontrare anche la mia famiglia», ha invece esordito Ivica Grgic. «Mi sono commosso. Io pregavo già in carcere. Il Vescovo mi ha incitato a non perdere la fede. Così ho pregato anche per Damiano e per l’enorme sbaglio che ho commesso». Meno coinvolto, almeno a parole, Marko Tomic. «Abbiamo parlato un po’ di quanto accaduto. Il Vescovo mi ha detto di credere nel Signore e di essere onesto», si è limitato a commentare.
***
I momenti prima della tragedia
Un venerdì apparentemente normale. Tutti al lavoro e poi, alla sera, il Carnevale di Locarno. Jurkic e Grgic si ritrovano per la Stranociada. Prima però, una tappa per rifornirsi di marijuana. Alle 20.45 s’incontrano con Tomic, con una cassa di birra, sopra il “muraglione”, in Piazza Castello. Con loro, una ventina di ragazzi. Si beve e si fuma uno spinello (non Tomic). Grgic ha detto: «Il primo che mi tocca o mi rompe le scatole, stasera lo ammazzo ». Una frase agghiacciante, originata da precedente screzio al carnevale di Tesserete. «Parole davvero brutte, dette così per vantarmi. Ma non avevo l’intenzione di combinare nulla di simile», ha commentato Grgic su richiesta del giudice. Tanto che, quando Tomic gli chiese: «chi picchiamo stasera?», lui rispose: «Nessuno». Forse solo parole. Ma il sintomo di una violenza connaturata alla loro vita. Tomic, però non ricorda questa domanda. Come non ricorda molti particolari: «È passato molto tempo». Fatto che ha irritato il giudice Ermani: «Sei in carcere da quasi un anno. Dovresti avere avuto il tempo di riflettere. Spero che la memoria ti torni ora». Alla Stranociada i tre visitano diversi capannoni. Bevono ancora qualche birra. Non eccessivamente: all’arresto infatti solo Grgic presenta un tasso alcolico significativo (stimato tra 1,68 e 3,18 per mille), mentre negli altri due non c’era più traccia delle birre. Poco prima delle 23.40 si trovano nel capannone centrale. Qualcuno rompe un filo su cui erano appese delle maglie del FC Locarno. E Jurkic ne ruba una, indossandola. Il seguito della tragica vicenda sarà oggetto del dibattimento odierno. Ma in aula è già emerso che, dopo il pestaggio letale, i tre si sono fermati al capannone centrale per bere ancora una birra. Poi Jurkic è rientrato a casa, mentre gli altri due hanno proseguito la festa al carnevale di Bellinzona. Come se nulla fosse, verosimilmente ignari della gravità del loro gesto. Parallelamente anche Damiano Tamagni, ha preparato la sua sera alla Stranociada. Il giudice Mauro Ermani ha letto delle testimoniante di amici del giovane di Gordola. Truccato da “Emo”, Damiano ha iniziato la serata poco dopo le 20 nella sala del Drago Rosso, in via Borghese. Qualche bibita, anche alcolica, ma senza eccedere. Damiano non esagerava mai. Poi verso le 23.15 si sposta con degli amici verso Piazza Sant’Antonio, sede del capannone centrale. I tre imputati non conoscevano Damiano. L’hanno confermato in aula. Allora il giudice ha letto loro delle testimonianze che hanno inquadrato la vittima. Ligio al dovere, simpatico, disponibile, altruista, studioso e impegnato. Insomma, una brava persona. «Ecco, ora sapete chi era Damiano», ha detto il giudice rivolgendosi a tre imputati.
Collusione in carcere
Durante l’inchiesta, i tre imputati non avrebbero dovuto venire in contatto tra loro. Ma nei corridoi, durante gli spostamenti per l’ora d’aria o per gli interrogatori, sono riusciti a parlarsi. «Poche parole», ammette Tomic. «Con che scopo?», ha chiesto Ermani, rispondendo egli stesso: «Avevate paura di quello che sarebbe emerso». Il problema è stato sollevato in uno scambio epistolare tra la procuratrice pubblica Rosa Item e il direttore della Farera. I tre si sono incontrati fugacemente anche con il minorenne implicato nella rissa del 1° febbraio. Tant’è che Tomic è stato spostato alla Stampa, in isolamento, per impedire che “inquinasse delle prove”. Ma Tomic non ci sta. E inizia a scrivere a più riprese ai Procuratori Marco Villa e Rosa Item asserendo di avere informazioni su 11 furti avvenuti nel Locarnese e anche su alcuni colpi programmati. Proponeva informazioni in cambio del ritorno alla Farera. Voleva girare la situazione a suo favore, trasformandosi in un informatore, come nei film americani. «Ero disperato», si è giustificato Tomic. Pure Jurkic è finito in isolamento alla Stampa, ma non si è lamentato. Mentre Grgic si è fatto spostare oltre Gottardo, più vicino alla madre che nel frattempo si è trasferita in Svizzera interna.
Inchiesta parallela e veleni
«Non mi fido della polizia: voglio aprire un’inchiesta parallela». Questa una frase del padre di Marko Tomic letta in aula dal presidente. Altri veleni sulla vittima e sulla famiglia di Damiano sono invece stati sparsi dalla sorella di Tomic su un blog in internet. Solo calunnie, ha sottolineato Ermani, cancellando ogni dubbio sull’integrità della famiglia Tamagni.
I colpi fatali
Nell’atto d’accusa poche frasi, nel freddo linguaggio legale, racchiudono i momenti centrali dell’aggressione. Secondo la ricostruzione del magistrato, Ivan Jurkic aggredisce per primo Tamagni, «spintonandolo in maniera forte e a diverse riprese». Tomic e Grgic lo «affiancano subito» con pugni al viso. Poi i primi calci allo stinco, all’addome e al fianco. C’è anche il quarto giovane (il minorenne processato in separata sede), che tira un calcio alle costole e poi si allontana. Damiano cade a terra. Tutti e tre «lo colpiscono con calci al busto e agli arti» e lui si rannicchia per proteggersi. Jurkic si placa. Tomic e Grgic «gli sferrano calci in testa e al collo». Damiano perde conoscenza. Sono colpi mirati, micidiali. «Tali – sempre secondo l’atto d’accusa – da causargli la lacerazione dell’arteria vertebrale sinistra intracranica, con emorragia cerebrale che ne ha determinato il decesso».
***
Messe a nudo le personalità degli accusati
Tre giovani come molti. Con alle spalle alcune “bravate” e un paio di episodi più gravi. Sufficienti per portare queste tre vite a incrociarsi con l’esistenza di Damiano Tamagni in maniera così violenta e tragica? È quanto ha cercato di stabilire la corte, ricostruendo la vita degli imputati. Marko Tomic è nato in Bosnia 19 anni fa e ha ottenuto la cittadinanza svizzera nel 2003. Dalle testimonianze raccolte tra conoscenti, amici e colleghi emerge un carattere ambivalente. Discreto apprendista montatore («Se l’avessero liberato prima del processo l’avrei tenuto», ha detto il suo ex datore di lavoro), ma soprattutto stimato arbitro di calcio. «Era considerato tra i migliori del locarnese – ha confermato un compagno di spogliatoio – affidabile e disponibile. Capace di tenere i nervi saldi quando intorno piovono solo critiche». Un esempio di etica sportiva, ma, tolta la giacchetta nera, la sera, in giro con i due amici, si trasformava in attacca brighe arrogante. «Un gran fifone quando da solo, ma spavaldo e aggressivo in compagnia. Un bullo», secondo alcuni amici e conoscenti. Sul suo telefonino sono stati trovati diversi filmini di pestaggi presi da internet. Tomic in aula ha ridimensionato: «Non ricordavo neanche di averli. Non mi piace la violenza ». Nella nel cellulare anche un filmino di pornografia dura. Da qui l’accusa per pornografia. Ivica Grgic, 23 anni, croato, nato a Locarno nel 1986 (in attesa della cittadinanza, chiesta prima dei fatti in esame), una famiglia disgregata alle spalle. In particolare un pessimo rapporto con il padre, ma un forte legame con madre e sorella. Ha imparato a fare l’imbianchino ma sul lavoro era lento e svogliato (è stato anche licenziato). Soprannominato in compagnia “Spugna”, ha ammesso di avere avuto un problema con l’acool, ma di averlo risolto prima del febbraio 2008. Passioni vere poche. Più che altro gli amici e quel modo di fare da galletto, spalleggiandosi a vicenda con Tomic. Raccontava volentieri storie di risse. «Solo per vantarmi», si è difeso in aula. Come per Tomic gli episodi accertati sono pochi, ma ci sono. Come la zuffa al carnevale di Maggia nel 2007, quando Grgic spinse a terra una ragazza. Non sono mancate testimonianze a favore, amici e conoscenti che dipingono Tomic e Grgic come «ragazzi normali ». Non cercavano la rissa ogni sera. Tra i testi un barista del Bar Sport: «Non ho mai visto Tomic implicato nelle zuffe che capitano davanti al locale ». Infine Ivan Jurkic, 20 anni, nato in Bosnia. «Un giovane tranquillo – è stato testimoniato – che frequentando gli altri due ha iniziato a rovinarsi». Apprezzato sul lavoro (meno durante l’apprendistato, quando venne duramente richiamato perché insofferente all’attività scolastica), era dipendente alla Migros di Minusio. «Una seconda famiglia », ha definito i colleghi, dai quali era considerato «educato, non certo un violento». Dava anche una mano in macelleria. Una famiglia stabile e nessun precedente. (M.V.)
***
Il commento
Quando dietro il branco si nasconde la debolezza
di STEFANO LAPPE*
Oggi, durante il processo è emerso l’“effetto branco” che - creando un apparente “coraggio” nelle persone, le incita a colpire, sentendosi quasi invincibili. Mi sono chiesto molte volte, uscendo la sera, come mai tanti giovani si sentono così protetti dal branco, dalla banda, che molto spesso identificano come la propria famiglia. Questo atteggiamento è tipico delle persone deboli e in un certo senso sole (per motivi famigliari o di scelta propria) che, invece di isolarsi, si comportano in modo opposto, unendosi ad altri per sentirsi più forti. Penso che non esistano soggetti violenti di nascita, ma è la presenza di sedicenti amici che si spronano l’un l’altro a togliere la paura, costringendo un giovane ad emulare una condotta negativa. Dalle testimonianze giuntemi in diverse occasioni, credo di poter affermare che il branco - mostrando la vera origine animalesca che ne dimostra la brutalità - crea un 'effetto film', il ragazzo (o la ragazza!) si sente perciò come prigioniero di un copione che non vuole seguire e al contempo si sente libero, forte e coraggioso. Compie atti vandalici per gioco, non si rende conto delle conseguenze delle sue azioni, poiché - come in un filmato - si potrà sicuramente tornare indietro. Invece non è così. Solo in seguito queste persone si accorgono delle ripercussioni dei loro gesti e della gravità di certi atteggiamenti. Il branco per di più è un nascondiglio, in quanto si è “uno dei tanti” e di conseguenza, forse inconsciamente, si crede di non dover assumere tutte le responsabilità di un determinato fatto. Stiamo parlando di persone che si lasciano condizionare molto facilmente e - siccome non hanno veri e propri punti di riferimento - li cercano sulla strada. Come probabilmente anche nel caso degli imputati di questo processo, si tratta quindi di giovani facilmente “incendiabili”, soprattutto se presi in gruppo. Fino a che punto può arrivare questa adrenalina da branco? È difficile a dirsi e non spetta naturalmente a me decidere; così come non è nemmeno mio compito, bensì quello degli inquirenti, stabilire se nel caso dei tre indagati (o quattro, contando pure il minorenne) si trattasse di un branco oppure no. Concludo con una citazione del poeta e saggista statunitense Gary Snyer, che secondo me riassume in modo efficace il contenuto del presente testo: «L’uomo che ha l’anima del lupo / conosce il dominio di sé / del lupo; esecuzioni e stragi senza scopo / non sono l’opera di lupi e aquile / ma l’opera di pecore isteriche». * Studente IV Liceo Collegio Papio
Tre giovani bulli pronti a una serata di violenza
di LUCA PELLONI
Era tesa sin da un’ora prima dell’inizio del dibattimento l’atmosfera al palazzo del Pretorio di Locarno, dove ieri si è aperto il processo a carico di Ivica Grgic, Marko Tomic e Ivan Jurkic, accusati di aver concorso nell’omicidio di Damiano Tamagni, il giovane di Gordemo (frazione di Gordola) ucciso a calci e pugni la notte del 1° febbraio 2008, durante il carnevale di Locarno. Grgic e Tomic sono accusati di omicidio intenzionale, mentre Jurkic di aggressione, poiché sembra aver smesso di infierire sul 22enne prima degli altri. Un’atmosfera tesa, scaturita sicuramente dalle forti emozioni provate da tutto il Cantone a seguito dell’assurda violenza del 1° febbraio. Moltissima gente si è accalcata davanti alla porta d’entrata dell’aula del tribunale. La stampa era presente in massa, ma tanti anche i semplici “curiosi”. Ad attendere l’inizio del processo, in corridoio, c’erano ovviamente anche la mamma, il papà, lo zio e numerosi amici di Damiano. Non mancavano neppure molti parenti e amici dei tre accusati. Non tutti hanno potuto assistere al dibattimento: l’aula è infatti troppo piccola per poter accogliere un così grande numero di persone. Subito uno screzio tra un cameraman e una persona che attendeva fuori dall’aula. Ma il tutto si è risolto con il buon senso. Facce tese, anche qualche lacrima prima e durante il processo. A testimoniare ancor di più quanto un gesto assurdo, durato pochi secondi, abbia sconvolto per sempre la vita di molti. Damiano non c’è più. E i suoi parenti lo piangono. Ma anche le famiglie dei tre accusati sono state turbate irrimediabilmente. Così, ieri il giudice Mauro Ermani ha iniziato il processo mettendo a nudo la vita dei tre ragazzi di origine balcanica. Il presidente delle Assise criminali di Locarno ha enumerato, leggendoli, parecchi passaggi di testimonianze rilasciate da amici o datori di lavoro dei tre. Ascoltati in aula anche altrettanti testi, per delineare, sentendo parole dal vivo, le personalità degli accusati. Nel pomeriggio si sono poi ricostruite le ore e gli attimi che hanno preceduto il pestaggio letale. Analizzati pure i problemi di comportamento degli imputati durante l’inchiesta, quando si trovavano in carcere. Oggi si riprenderà con la ricostruzione dell’aggressione, della fuga e dell’arresto.
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L’incontro con il Vescovo : Momento toccante
Nei giorni successivi all’arresto, i tre imputati hanno ricevuto la visita del Vescovo di Lugano Pier Giacomo Grampa. Tutti e tre sono cattolici, come confermato ieri in aula. Un incontro profondamente commovente, che ha lasciato il segno. Ma, forse, non in tutti. «Ero molto emozionato », racconta Ivan Jurkic. «All’inizio non riuscivo a parlare di quanto accaduto. Ma con il Vescovo sono finalmente aperto. Lui mi ha detto di continuare a credere in Dio e di essere sincero». «L’ho visto per poco tempo, perché finalmente potevo incontrare anche la mia famiglia», ha invece esordito Ivica Grgic. «Mi sono commosso. Io pregavo già in carcere. Il Vescovo mi ha incitato a non perdere la fede. Così ho pregato anche per Damiano e per l’enorme sbaglio che ho commesso». Meno coinvolto, almeno a parole, Marko Tomic. «Abbiamo parlato un po’ di quanto accaduto. Il Vescovo mi ha detto di credere nel Signore e di essere onesto», si è limitato a commentare.
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I momenti prima della tragedia
Un venerdì apparentemente normale. Tutti al lavoro e poi, alla sera, il Carnevale di Locarno. Jurkic e Grgic si ritrovano per la Stranociada. Prima però, una tappa per rifornirsi di marijuana. Alle 20.45 s’incontrano con Tomic, con una cassa di birra, sopra il “muraglione”, in Piazza Castello. Con loro, una ventina di ragazzi. Si beve e si fuma uno spinello (non Tomic). Grgic ha detto: «Il primo che mi tocca o mi rompe le scatole, stasera lo ammazzo ». Una frase agghiacciante, originata da precedente screzio al carnevale di Tesserete. «Parole davvero brutte, dette così per vantarmi. Ma non avevo l’intenzione di combinare nulla di simile», ha commentato Grgic su richiesta del giudice. Tanto che, quando Tomic gli chiese: «chi picchiamo stasera?», lui rispose: «Nessuno». Forse solo parole. Ma il sintomo di una violenza connaturata alla loro vita. Tomic, però non ricorda questa domanda. Come non ricorda molti particolari: «È passato molto tempo». Fatto che ha irritato il giudice Ermani: «Sei in carcere da quasi un anno. Dovresti avere avuto il tempo di riflettere. Spero che la memoria ti torni ora». Alla Stranociada i tre visitano diversi capannoni. Bevono ancora qualche birra. Non eccessivamente: all’arresto infatti solo Grgic presenta un tasso alcolico significativo (stimato tra 1,68 e 3,18 per mille), mentre negli altri due non c’era più traccia delle birre. Poco prima delle 23.40 si trovano nel capannone centrale. Qualcuno rompe un filo su cui erano appese delle maglie del FC Locarno. E Jurkic ne ruba una, indossandola. Il seguito della tragica vicenda sarà oggetto del dibattimento odierno. Ma in aula è già emerso che, dopo il pestaggio letale, i tre si sono fermati al capannone centrale per bere ancora una birra. Poi Jurkic è rientrato a casa, mentre gli altri due hanno proseguito la festa al carnevale di Bellinzona. Come se nulla fosse, verosimilmente ignari della gravità del loro gesto. Parallelamente anche Damiano Tamagni, ha preparato la sua sera alla Stranociada. Il giudice Mauro Ermani ha letto delle testimoniante di amici del giovane di Gordola. Truccato da “Emo”, Damiano ha iniziato la serata poco dopo le 20 nella sala del Drago Rosso, in via Borghese. Qualche bibita, anche alcolica, ma senza eccedere. Damiano non esagerava mai. Poi verso le 23.15 si sposta con degli amici verso Piazza Sant’Antonio, sede del capannone centrale. I tre imputati non conoscevano Damiano. L’hanno confermato in aula. Allora il giudice ha letto loro delle testimonianze che hanno inquadrato la vittima. Ligio al dovere, simpatico, disponibile, altruista, studioso e impegnato. Insomma, una brava persona. «Ecco, ora sapete chi era Damiano», ha detto il giudice rivolgendosi a tre imputati.
Collusione in carcere
Durante l’inchiesta, i tre imputati non avrebbero dovuto venire in contatto tra loro. Ma nei corridoi, durante gli spostamenti per l’ora d’aria o per gli interrogatori, sono riusciti a parlarsi. «Poche parole», ammette Tomic. «Con che scopo?», ha chiesto Ermani, rispondendo egli stesso: «Avevate paura di quello che sarebbe emerso». Il problema è stato sollevato in uno scambio epistolare tra la procuratrice pubblica Rosa Item e il direttore della Farera. I tre si sono incontrati fugacemente anche con il minorenne implicato nella rissa del 1° febbraio. Tant’è che Tomic è stato spostato alla Stampa, in isolamento, per impedire che “inquinasse delle prove”. Ma Tomic non ci sta. E inizia a scrivere a più riprese ai Procuratori Marco Villa e Rosa Item asserendo di avere informazioni su 11 furti avvenuti nel Locarnese e anche su alcuni colpi programmati. Proponeva informazioni in cambio del ritorno alla Farera. Voleva girare la situazione a suo favore, trasformandosi in un informatore, come nei film americani. «Ero disperato», si è giustificato Tomic. Pure Jurkic è finito in isolamento alla Stampa, ma non si è lamentato. Mentre Grgic si è fatto spostare oltre Gottardo, più vicino alla madre che nel frattempo si è trasferita in Svizzera interna.
Inchiesta parallela e veleni
«Non mi fido della polizia: voglio aprire un’inchiesta parallela». Questa una frase del padre di Marko Tomic letta in aula dal presidente. Altri veleni sulla vittima e sulla famiglia di Damiano sono invece stati sparsi dalla sorella di Tomic su un blog in internet. Solo calunnie, ha sottolineato Ermani, cancellando ogni dubbio sull’integrità della famiglia Tamagni.
I colpi fatali
Nell’atto d’accusa poche frasi, nel freddo linguaggio legale, racchiudono i momenti centrali dell’aggressione. Secondo la ricostruzione del magistrato, Ivan Jurkic aggredisce per primo Tamagni, «spintonandolo in maniera forte e a diverse riprese». Tomic e Grgic lo «affiancano subito» con pugni al viso. Poi i primi calci allo stinco, all’addome e al fianco. C’è anche il quarto giovane (il minorenne processato in separata sede), che tira un calcio alle costole e poi si allontana. Damiano cade a terra. Tutti e tre «lo colpiscono con calci al busto e agli arti» e lui si rannicchia per proteggersi. Jurkic si placa. Tomic e Grgic «gli sferrano calci in testa e al collo». Damiano perde conoscenza. Sono colpi mirati, micidiali. «Tali – sempre secondo l’atto d’accusa – da causargli la lacerazione dell’arteria vertebrale sinistra intracranica, con emorragia cerebrale che ne ha determinato il decesso».
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Messe a nudo le personalità degli accusati
Tre giovani come molti. Con alle spalle alcune “bravate” e un paio di episodi più gravi. Sufficienti per portare queste tre vite a incrociarsi con l’esistenza di Damiano Tamagni in maniera così violenta e tragica? È quanto ha cercato di stabilire la corte, ricostruendo la vita degli imputati. Marko Tomic è nato in Bosnia 19 anni fa e ha ottenuto la cittadinanza svizzera nel 2003. Dalle testimonianze raccolte tra conoscenti, amici e colleghi emerge un carattere ambivalente. Discreto apprendista montatore («Se l’avessero liberato prima del processo l’avrei tenuto», ha detto il suo ex datore di lavoro), ma soprattutto stimato arbitro di calcio. «Era considerato tra i migliori del locarnese – ha confermato un compagno di spogliatoio – affidabile e disponibile. Capace di tenere i nervi saldi quando intorno piovono solo critiche». Un esempio di etica sportiva, ma, tolta la giacchetta nera, la sera, in giro con i due amici, si trasformava in attacca brighe arrogante. «Un gran fifone quando da solo, ma spavaldo e aggressivo in compagnia. Un bullo», secondo alcuni amici e conoscenti. Sul suo telefonino sono stati trovati diversi filmini di pestaggi presi da internet. Tomic in aula ha ridimensionato: «Non ricordavo neanche di averli. Non mi piace la violenza ». Nella nel cellulare anche un filmino di pornografia dura. Da qui l’accusa per pornografia. Ivica Grgic, 23 anni, croato, nato a Locarno nel 1986 (in attesa della cittadinanza, chiesta prima dei fatti in esame), una famiglia disgregata alle spalle. In particolare un pessimo rapporto con il padre, ma un forte legame con madre e sorella. Ha imparato a fare l’imbianchino ma sul lavoro era lento e svogliato (è stato anche licenziato). Soprannominato in compagnia “Spugna”, ha ammesso di avere avuto un problema con l’acool, ma di averlo risolto prima del febbraio 2008. Passioni vere poche. Più che altro gli amici e quel modo di fare da galletto, spalleggiandosi a vicenda con Tomic. Raccontava volentieri storie di risse. «Solo per vantarmi», si è difeso in aula. Come per Tomic gli episodi accertati sono pochi, ma ci sono. Come la zuffa al carnevale di Maggia nel 2007, quando Grgic spinse a terra una ragazza. Non sono mancate testimonianze a favore, amici e conoscenti che dipingono Tomic e Grgic come «ragazzi normali ». Non cercavano la rissa ogni sera. Tra i testi un barista del Bar Sport: «Non ho mai visto Tomic implicato nelle zuffe che capitano davanti al locale ». Infine Ivan Jurkic, 20 anni, nato in Bosnia. «Un giovane tranquillo – è stato testimoniato – che frequentando gli altri due ha iniziato a rovinarsi». Apprezzato sul lavoro (meno durante l’apprendistato, quando venne duramente richiamato perché insofferente all’attività scolastica), era dipendente alla Migros di Minusio. «Una seconda famiglia », ha definito i colleghi, dai quali era considerato «educato, non certo un violento». Dava anche una mano in macelleria. Una famiglia stabile e nessun precedente. (M.V.)
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Il commento
Quando dietro il branco si nasconde la debolezza
di STEFANO LAPPE*
Oggi, durante il processo è emerso l’“effetto branco” che - creando un apparente “coraggio” nelle persone, le incita a colpire, sentendosi quasi invincibili. Mi sono chiesto molte volte, uscendo la sera, come mai tanti giovani si sentono così protetti dal branco, dalla banda, che molto spesso identificano come la propria famiglia. Questo atteggiamento è tipico delle persone deboli e in un certo senso sole (per motivi famigliari o di scelta propria) che, invece di isolarsi, si comportano in modo opposto, unendosi ad altri per sentirsi più forti. Penso che non esistano soggetti violenti di nascita, ma è la presenza di sedicenti amici che si spronano l’un l’altro a togliere la paura, costringendo un giovane ad emulare una condotta negativa. Dalle testimonianze giuntemi in diverse occasioni, credo di poter affermare che il branco - mostrando la vera origine animalesca che ne dimostra la brutalità - crea un 'effetto film', il ragazzo (o la ragazza!) si sente perciò come prigioniero di un copione che non vuole seguire e al contempo si sente libero, forte e coraggioso. Compie atti vandalici per gioco, non si rende conto delle conseguenze delle sue azioni, poiché - come in un filmato - si potrà sicuramente tornare indietro. Invece non è così. Solo in seguito queste persone si accorgono delle ripercussioni dei loro gesti e della gravità di certi atteggiamenti. Il branco per di più è un nascondiglio, in quanto si è “uno dei tanti” e di conseguenza, forse inconsciamente, si crede di non dover assumere tutte le responsabilità di un determinato fatto. Stiamo parlando di persone che si lasciano condizionare molto facilmente e - siccome non hanno veri e propri punti di riferimento - li cercano sulla strada. Come probabilmente anche nel caso degli imputati di questo processo, si tratta quindi di giovani facilmente “incendiabili”, soprattutto se presi in gruppo. Fino a che punto può arrivare questa adrenalina da branco? È difficile a dirsi e non spetta naturalmente a me decidere; così come non è nemmeno mio compito, bensì quello degli inquirenti, stabilire se nel caso dei tre indagati (o quattro, contando pure il minorenne) si trattasse di un branco oppure no. Concludo con una citazione del poeta e saggista statunitense Gary Snyer, che secondo me riassume in modo efficace il contenuto del presente testo: «L’uomo che ha l’anima del lupo / conosce il dominio di sé / del lupo; esecuzioni e stragi senza scopo / non sono l’opera di lupi e aquile / ma l’opera di pecore isteriche». * Studente IV Liceo Collegio Papio
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