23 gennaio 2009 - Corriere del Ticino

L’accusa in campo: colpe gravissime!
La pp chiede 10 anni e 6 mesi per Tomic, 10 anni per Grgic e 3 anni per Jurkic
Dopo quasi quattro ore di requisitoria ieri in serata la procuratrice pubblica Rosa Item ha formulato le sue ri­chieste di pena per i tre imputati al processo per l’ucci­sione di Damiano Tamagni – Oggi la parola ai difensori
PAGINA A CURA DI LUCA CONTI E OLIVER BROGGINI
Per Marko Tomic, 19.enne al­l’epoca dei fatti, una pena di 10 anni e 6 mesi di carcere; per il 23.enne Ivica Grgic invece 10 an­ni da scontare, mentre per il 21.enne Ivan Jurkic la pp Rosa Item, chiedendo per tutti la con­ferma completa dell’atto d’accu­sa, ha domandato 3 anni di reclu­sione. I primi due imputati devo­no rispondere di omicidio inten­zionale, il terzo di aggressione. Marko Tomic e Ivica Grgic– ha ri­levato la pp – hanno agito in cor­reità e quindi hanno responsabi­lità analoghe. La lieve differenza di pena fra l’uno e l’altro, appun­to 6 mesi, si spiega col fatto che Grgic, pur se già noto alla giusti­zia per alcune condanne minori, ha assunto sia durante l'inchie­sta che nel corso della fase istrut­toria del processo una atteggia­mento più collaborativo. Inoltre, ha alle spalle una situazione fa­miliare difficile, cosa che invece non tocca a Tomic. Per quanto at­tiene a Jurkic, la sua colpa è stata pure ritenuta grave in quanto è stato lui ad avviare la rissa aggre­dendo per primo Damiano Ta­magni che non aveva manifesta­to la benché minima provocazio­ne. Un modo di agire, questo, che denota un palese comportamen­to privo di valori, di rispetto del­la vita umana. Jurkic non ha co­munque colpito la vittima con calci alla testa e durante l’inchie­sta si è dimostrato collaborativo. Hanno provocato un dolore immenso «Quella di questi tre giovani è una colpa gravissima – ha rilevato la pp nella sua requisitoria – anche perché hanno agito in modo as­solutamente insulso e gratuito. Il movente alla base di quanto suc­cesso può infatti essere cercato solo nella violenza fine a se stes­sa, nella voglia di fare a botte, di picchiare, di sentirsi qualcuno manifestando arroganza e di­sprezzo della vita altrui. Un com­portamento che ha provocato un dolore immenso, insanabile. Non siamo purtroppo in grado di ri­portare in vita Damiano, ma pos­siamo e dobbiamo fare giustizia. E’ questo oggi il nostro compito ed è quanto dobbiamo a chi è sta­to colpito in modo così tragico nei propri affetti». Due calci mortali La ricostruzione di quanto avve­nuto quella tragica notte del Car­nevale locarnese dello scorso an­no non è stata impresa facile. La pp ha fatto presente come i tre im­putati abbiano spesso fornito ver­sioni discordanti e si è dovuto far capo ad oltre un centinaio di testi­moni nell’intento di ricostruire la dinamica della violenza usata contro Damiano. A ciò si sono ag­giunti gli accertamenti eseguiti dai medici legali. « Il tutto ha permes­so di poter stabilire – ha più volte sottolineato la pp – che sono stati i due calci sferrati da Tomic e Grgic congiuntamente quando Damia­no era a terra, ormai inerme e in­difeso, a provocare la torsione ab­norme del capo che ha determi­na­to la lacerazione dell’arteria ver­tebrale intracranica e la conse­guente emorragia cerebrale al­l’origine del decesso. E poco im­po­rta a questo punto stabilire qua­le sia stato il calcio mortale, chi in­somma ha sferrato il colpo risul­tato fatale. Sia Tomic sia Grgic do­vevano infatti rendersi conto che, colpendo con tale violenza al ca­po una persona stesa a terra indi­fesa, le conseguenze potevano ri­sultare letali. E allo stesso modo poco importa – ha sottolineato an­cora l’accusa – se l’azione si è svol­ta in pochissimo tempo. Sia l’uno sia l’altro vedevano cosa stavano facendo e sia l’uno che l’altro po­tevano, anzi dovevano, rendersi conto, in quanto è cosa evidentea tutti, che sferrando calci violenti alla testa il rischio di provocare danni irreversibili e la morte del­la persona che li subisce è non so­lo alto, ma certo. Calci che – ha ri­levatosempre Rosa Item– alcuni dei testimoni hanno paragonato a quelli di punizione utilizzando la terminologia calcistica. Calci, in particolare quello sferrato da Tomic, che hanno originato an­che una reazione di disperazione in una delle persone che ha assi­stito alla scena. Tanto che ha lan­ciato un urlo straziante, come si desume dalle sue dichiarazionia verbale, al momento in cui ha vi­sto cosa succedeva e ha sentito il rumore sordo che questo sconsi­derato gesto ha originato al mo­mento in cui il piede ha raggiun­to il capo di Damiano».
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IN AULA
Atmosfera pesante e lacrime rivivendo una morte assurda
C’era una certa tensione ieri in aula penale. Non che nei giorni precedenti non ce ne fosse stata, ma ieri la si sentiva ancora di più. Una tensione non di quelle ori­ginate da situazioni conflittuali o di attrito, ma invece dal disagio, dall’incredulità generale che af­fiorava a più riprese per l’assur­dità di quanto accaduto, per la mancanza totale di rispetto della vita umana che quella morte av­venuta quasi un anno fa ancora evidenzia. E a mettere bene in ri­lievo quanto potesse essere scon­siderato, senza spiegazioni pos­sibili, l’agire dei tre imputati alla sbarra ci ha pensato la procura­trice pubblica Rosa Item nel cor­so della sua requisitoria. Una re­quisitoria durante la quale sono stati ripercorsi tutti i momenti che hanno segnato in modo così tra­gico quella triste sera del primo febbraio dello scorso anno quan­do quella che doveva essere una festa spensierata e allegra, come tocca al Carnevale, si è trasforma­ta in una tragedia immane, con­divisa da tutto il Cantone e anche al di fuori. La pp ha puntualmen­te ripercorso tutti gli spostamen­ti fatti dai tre imputati, evidenzia­to la loro arroganza, il loro cini­smo, il fatto di mettere la violen­za fine a se stessa in primo piano, anziché il sano divertimento. Un susseguirsi e un crescendo di azioni che hanno portato a rivi­vere in aula la tragicità di quei fat­ti, sottolineata più volte dal pian­to di chi, da una parte e dall’altra, è rimasto coinvolto più diretta­mente in questa triste vicenda, vuoi ritrovandosi con un figlio che non c’è più – «il figlio che tutti vor­rebbero avere», ha fatto presen­te la procuratrice– vuoi vedendo invece i propri figli dover rispon­dere di un’azione che nulla, ma proprio nulla, ha a che vedere con il vivere civile. Cosa vi aspettate ora? Ha chiesto il presidente della Corte Mauro Ermani ai tre imputati chiuden­do la fase istruttoria del dibatti­mento. «Giustizia in primo luo­go, intendo pagare per quello che ho fatto, perché ho partecipato a una rissa dove è morto un ragaz­zo », ha risposto Ivica Grgic. «An­ch’io voglio pagare per quello che ho fatto – gli ha fatto eco Marko Tomic – affinché la famiglia Ta­magni possa ottenere giustizia per la perdita del loro figlio». E giustizia e la verità su quanto suc­cesso le ha domandate anche Ivan Jurkic rispondendo alla do­manda posta dal giudice.
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LE REAZIONI
La collera popolare (dimenticati i «blog») approda su Facebook
I giorni successivi al delitto di via Borghese videro la comunità virtuale ticinese trasformare al­cuni siti Internet – in particolare ticinonews.ch e tio.ch – in piaz­ze di discussione pubblica sul­l’accaduto. Per settimane, i «blog» messi a disposizione dai due por­tali – una modalità di comunica­zione che, all’inizio del 2008, co­stituiva la nuova moda del pano­rama web ticinese – vennero let­teralmente presi d’assalto e inon­dati con centinaia di messaggi, talvolta così sopra le righe da pro­vocare oscuramenti e minacce di denuncia penale da parte dei webmaster, i gestori dei siti. A do­dici mesi di distanza, osservan­do gli ultimi sviluppi della rete, sembra ora che la collera esplo­sa sui blog – e poi faticosamen­te contenuta – abbia trovato una nuova forma di espressione. È in­fatti risaputo che il nuovo cataliz­zatore per l’attenzione dei navi­gatori si chiama Facebook; così, in concomitanza con il processo di Locarno, all’interno di questo sito è nata mercoledì un’iniziativa spontanea – e non proprio pacifi­ca nei toni – dedicata ai tre ag­gressori di Damiano Tamagni. Il gruppo, che porta l’eloquente ti­tolo «Chi dice che la pena x i 3 “ragazzi” assassini sia l’ergasto­lo » veleggiava ieri sera verso le settecento adesioni – rapidamen­te in crescita – e negli interventi firmati dai suoi affiliati era pos­sibile leggere una lunga serie di commenti e inviti alla massima severità; dai più moderati e pa­cati sino a quelli impossibili da ripetere in pubblico, senza il fil­tro della tastiera. Una differenza di rilievo rispetto ai blog, tuttavia, è che il formato di Facebook ob­bliga ogni utente a «mettere la faccia» su quanto afferma, non potendosi celare dietro a uno pseudonimo. o.b.
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LETTI I VERBALI IN CHIUSURA DELLA FASE ISTRUTTORIA
Lo sconforto dei soccorritori: «Ma quel ragazzo è già morto!»
Damiano Tamagni è steso a terra, ormai non dà più segni di vita e attorno a lui si è nel frat­tempo raccolto un nugolo di gente, chi per vedere cosa è acca­duto chi per cercare di prestare i primi aiuti al poveretto. Alcuni agenti di una polizia privata in­caricati di sorvegliare il Carne­vale cercano di disciplinare la si­tuazione. Intanto, facendosi stra­da a fatica fra la folla, in via Bor­ghese arriva l’ambulanza. Appe­na vista la persona stesa a terra il conducente dell’autolettiga vie­ne preso da un momentaneo sconforto che lo porta a escla­mare: «Ma quello lì è già mor­to! ».
I soccorritori professionali scen­dono dal veicolo e si affrettano a intervenire, allontanando le persone che fino a quel momen­to avevano cercato alla meglio di portare aiuto al poveretto steso a terra. I sanitari del Salva – come risultato dai verbali letti ieri in aula – si rendono subito conto che la situazione è grave, quasi disperata.
La corsa all’ospedale
Damiano è disteso con la testa ri­volta dritta al cielo, la bocca aper­ta, gli occhi sbarrati e non respi­ra. Una soccorritrice verifica lo stato delle pupille con la pila e ri­leva subito che sono velate, sin­tomo di un serio problema cere­brale. Anche le labbra sono già diventate cianotiche e il cuore non batte. In quei concitati mo­menti non si perde comunque il sangue freddo e i vari soccorrito­ri mettono in atto tutte le cono­scenze di cui dispongono per po­ter salvare il poveretto. I massag­gi cardiaci e le ventilazioni dan­no i primi risultati, il cuore ripren­de a battere. Intanto è già partito anche l’allarme al medico, che ar­riva in pochissimo tempo sul po­sto. Anche lui si rende subito con­to che le condizioni di Damiano sono ormai pressoché disperate e predispone il trasporto immedia­to al vicino ospedale La Carità, dove il Pronto soccorso è già sta­to allertato.
Condizioni disperate
All’arrivo di Damiano i medici in quel momento presenti si prodi­gano per fare tutto il possibile. Si sa che il poveretto è stato vittima di un’aggressione e si cercano pertanto tracce sul corpo, nell’in­tento di capire come procedere. Non risultano però particolari ematomi, ma si intuisce che qual­cosa di grave c’è a livello cerebra­le. Viene così predisposta un’im­mediata TAC che evidenzierà i sospetti, ulteriormente confer­mati anche dal centro neurolo­gico di Lugano al quale le imma­gini della TAC vengono subito trasmesse. L’emorragia è impor­tante e le condizioni del pazien­te oramai disperate, tanto che al­la 1.05 viene stabilita la morte cerebrale.
Il dono degli organi
Seguirà il trasferimento di Da­miano a Lugano per poter pro­cedere con l’espianto degli orga­ni: questi, come noto, sono stati donati affinché la sua morte, as­surda e tremenda come sappia­mo essere stata, non sia avvenu­ta invano. Una scelta che, con grande altruismo, i famigliari del giovane hanno fatto, dimostran­do come, pur se colpiti da una tragedia immane, si possa anco­ra avere la forza di rivolgere il pensiero al prossimo.
La forza dei familiari
Una forza, questa dei familiari, che si è confermata ancora in questi giorni con la presenza co­stante, soprattutto del padre e della madre di Damiano, a tutte le fasi del dibattimento: anche nei momenti più difficili, duri e pesanti, come è stato il caso ieri mattina, quando il giudice Mau­ro Ermani ha ripercorso attra­verso i verbali il calvario subito da «Dam» steso sulla strada in quella gelida notte di febbraio in attesa di essere soccorso dagli operatori sanitari. Un tentativo di strapparlo alla morte che, pur­troppo, nonostante il prodigarsi dei medici, l’inaudita e gratuita violenza subìta ha reso vano.

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