L’accusa in campo: colpe gravissime!
La pp chiede 10 anni e 6 mesi per Tomic, 10 anni per Grgic e 3 anni per Jurkic
Dopo quasi quattro ore di requisitoria ieri in serata la procuratrice pubblica Rosa Item ha formulato le sue richieste di pena per i tre imputati al processo per l’uccisione di Damiano Tamagni – Oggi la parola ai difensori
PAGINA A CURA DI LUCA CONTI E OLIVER BROGGINI
Per Marko Tomic, 19.enne all’epoca dei fatti, una pena di 10 anni e 6 mesi di carcere; per il 23.enne Ivica Grgic invece 10 anni da scontare, mentre per il 21.enne Ivan Jurkic la pp Rosa Item, chiedendo per tutti la conferma completa dell’atto d’accusa, ha domandato 3 anni di reclusione. I primi due imputati devono rispondere di omicidio intenzionale, il terzo di aggressione. Marko Tomic e Ivica Grgic– ha rilevato la pp – hanno agito in correità e quindi hanno responsabilità analoghe. La lieve differenza di pena fra l’uno e l’altro, appunto 6 mesi, si spiega col fatto che Grgic, pur se già noto alla giustizia per alcune condanne minori, ha assunto sia durante l'inchiesta che nel corso della fase istruttoria del processo una atteggiamento più collaborativo. Inoltre, ha alle spalle una situazione familiare difficile, cosa che invece non tocca a Tomic. Per quanto attiene a Jurkic, la sua colpa è stata pure ritenuta grave in quanto è stato lui ad avviare la rissa aggredendo per primo Damiano Tamagni che non aveva manifestato la benché minima provocazione. Un modo di agire, questo, che denota un palese comportamento privo di valori, di rispetto della vita umana. Jurkic non ha comunque colpito la vittima con calci alla testa e durante l’inchiesta si è dimostrato collaborativo. Hanno provocato un dolore immenso «Quella di questi tre giovani è una colpa gravissima – ha rilevato la pp nella sua requisitoria – anche perché hanno agito in modo assolutamente insulso e gratuito. Il movente alla base di quanto successo può infatti essere cercato solo nella violenza fine a se stessa, nella voglia di fare a botte, di picchiare, di sentirsi qualcuno manifestando arroganza e disprezzo della vita altrui. Un comportamento che ha provocato un dolore immenso, insanabile. Non siamo purtroppo in grado di riportare in vita Damiano, ma possiamo e dobbiamo fare giustizia. E’ questo oggi il nostro compito ed è quanto dobbiamo a chi è stato colpito in modo così tragico nei propri affetti». Due calci mortali La ricostruzione di quanto avvenuto quella tragica notte del Carnevale locarnese dello scorso anno non è stata impresa facile. La pp ha fatto presente come i tre imputati abbiano spesso fornito versioni discordanti e si è dovuto far capo ad oltre un centinaio di testimoni nell’intento di ricostruire la dinamica della violenza usata contro Damiano. A ciò si sono aggiunti gli accertamenti eseguiti dai medici legali. « Il tutto ha permesso di poter stabilire – ha più volte sottolineato la pp – che sono stati i due calci sferrati da Tomic e Grgic congiuntamente quando Damiano era a terra, ormai inerme e indifeso, a provocare la torsione abnorme del capo che ha determinato la lacerazione dell’arteria vertebrale intracranica e la conseguente emorragia cerebrale all’origine del decesso. E poco importa a questo punto stabilire quale sia stato il calcio mortale, chi insomma ha sferrato il colpo risultato fatale. Sia Tomic sia Grgic dovevano infatti rendersi conto che, colpendo con tale violenza al capo una persona stesa a terra indifesa, le conseguenze potevano risultare letali. E allo stesso modo poco importa – ha sottolineato ancora l’accusa – se l’azione si è svolta in pochissimo tempo. Sia l’uno sia l’altro vedevano cosa stavano facendo e sia l’uno che l’altro potevano, anzi dovevano, rendersi conto, in quanto è cosa evidentea tutti, che sferrando calci violenti alla testa il rischio di provocare danni irreversibili e la morte della persona che li subisce è non solo alto, ma certo. Calci che – ha rilevatosempre Rosa Item– alcuni dei testimoni hanno paragonato a quelli di punizione utilizzando la terminologia calcistica. Calci, in particolare quello sferrato da Tomic, che hanno originato anche una reazione di disperazione in una delle persone che ha assistito alla scena. Tanto che ha lanciato un urlo straziante, come si desume dalle sue dichiarazionia verbale, al momento in cui ha visto cosa succedeva e ha sentito il rumore sordo che questo sconsiderato gesto ha originato al momento in cui il piede ha raggiunto il capo di Damiano».
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IN AULA
Atmosfera pesante e lacrime rivivendo una morte assurda
C’era una certa tensione ieri in aula penale. Non che nei giorni precedenti non ce ne fosse stata, ma ieri la si sentiva ancora di più. Una tensione non di quelle originate da situazioni conflittuali o di attrito, ma invece dal disagio, dall’incredulità generale che affiorava a più riprese per l’assurdità di quanto accaduto, per la mancanza totale di rispetto della vita umana che quella morte avvenuta quasi un anno fa ancora evidenzia. E a mettere bene in rilievo quanto potesse essere sconsiderato, senza spiegazioni possibili, l’agire dei tre imputati alla sbarra ci ha pensato la procuratrice pubblica Rosa Item nel corso della sua requisitoria. Una requisitoria durante la quale sono stati ripercorsi tutti i momenti che hanno segnato in modo così tragico quella triste sera del primo febbraio dello scorso anno quando quella che doveva essere una festa spensierata e allegra, come tocca al Carnevale, si è trasformata in una tragedia immane, condivisa da tutto il Cantone e anche al di fuori. La pp ha puntualmente ripercorso tutti gli spostamenti fatti dai tre imputati, evidenziato la loro arroganza, il loro cinismo, il fatto di mettere la violenza fine a se stessa in primo piano, anziché il sano divertimento. Un susseguirsi e un crescendo di azioni che hanno portato a rivivere in aula la tragicità di quei fatti, sottolineata più volte dal pianto di chi, da una parte e dall’altra, è rimasto coinvolto più direttamente in questa triste vicenda, vuoi ritrovandosi con un figlio che non c’è più – «il figlio che tutti vorrebbero avere», ha fatto presente la procuratrice– vuoi vedendo invece i propri figli dover rispondere di un’azione che nulla, ma proprio nulla, ha a che vedere con il vivere civile. Cosa vi aspettate ora? Ha chiesto il presidente della Corte Mauro Ermani ai tre imputati chiudendo la fase istruttoria del dibattimento. «Giustizia in primo luogo, intendo pagare per quello che ho fatto, perché ho partecipato a una rissa dove è morto un ragazzo », ha risposto Ivica Grgic. «Anch’io voglio pagare per quello che ho fatto – gli ha fatto eco Marko Tomic – affinché la famiglia Tamagni possa ottenere giustizia per la perdita del loro figlio». E giustizia e la verità su quanto successo le ha domandate anche Ivan Jurkic rispondendo alla domanda posta dal giudice.
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LE REAZIONI
La collera popolare (dimenticati i «blog») approda su Facebook
I giorni successivi al delitto di via Borghese videro la comunità virtuale ticinese trasformare alcuni siti Internet – in particolare ticinonews.ch e tio.ch – in piazze di discussione pubblica sull’accaduto. Per settimane, i «blog» messi a disposizione dai due portali – una modalità di comunicazione che, all’inizio del 2008, costituiva la nuova moda del panorama web ticinese – vennero letteralmente presi d’assalto e inondati con centinaia di messaggi, talvolta così sopra le righe da provocare oscuramenti e minacce di denuncia penale da parte dei webmaster, i gestori dei siti. A dodici mesi di distanza, osservando gli ultimi sviluppi della rete, sembra ora che la collera esplosa sui blog – e poi faticosamente contenuta – abbia trovato una nuova forma di espressione. È infatti risaputo che il nuovo catalizzatore per l’attenzione dei navigatori si chiama Facebook; così, in concomitanza con il processo di Locarno, all’interno di questo sito è nata mercoledì un’iniziativa spontanea – e non proprio pacifica nei toni – dedicata ai tre aggressori di Damiano Tamagni. Il gruppo, che porta l’eloquente titolo «Chi dice che la pena x i 3 “ragazzi” assassini sia l’ergastolo » veleggiava ieri sera verso le settecento adesioni – rapidamente in crescita – e negli interventi firmati dai suoi affiliati era possibile leggere una lunga serie di commenti e inviti alla massima severità; dai più moderati e pacati sino a quelli impossibili da ripetere in pubblico, senza il filtro della tastiera. Una differenza di rilievo rispetto ai blog, tuttavia, è che il formato di Facebook obbliga ogni utente a «mettere la faccia» su quanto afferma, non potendosi celare dietro a uno pseudonimo. o.b.
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LETTI I VERBALI IN CHIUSURA DELLA FASE ISTRUTTORIA
Lo sconforto dei soccorritori: «Ma quel ragazzo è già morto!»
Damiano Tamagni è steso a terra, ormai non dà più segni di vita e attorno a lui si è nel frattempo raccolto un nugolo di gente, chi per vedere cosa è accaduto chi per cercare di prestare i primi aiuti al poveretto. Alcuni agenti di una polizia privata incaricati di sorvegliare il Carnevale cercano di disciplinare la situazione. Intanto, facendosi strada a fatica fra la folla, in via Borghese arriva l’ambulanza. Appena vista la persona stesa a terra il conducente dell’autolettiga viene preso da un momentaneo sconforto che lo porta a esclamare: «Ma quello lì è già morto! ».
I soccorritori professionali scendono dal veicolo e si affrettano a intervenire, allontanando le persone che fino a quel momento avevano cercato alla meglio di portare aiuto al poveretto steso a terra. I sanitari del Salva – come risultato dai verbali letti ieri in aula – si rendono subito conto che la situazione è grave, quasi disperata.
La corsa all’ospedale
Damiano è disteso con la testa rivolta dritta al cielo, la bocca aperta, gli occhi sbarrati e non respira. Una soccorritrice verifica lo stato delle pupille con la pila e rileva subito che sono velate, sintomo di un serio problema cerebrale. Anche le labbra sono già diventate cianotiche e il cuore non batte. In quei concitati momenti non si perde comunque il sangue freddo e i vari soccorritori mettono in atto tutte le conoscenze di cui dispongono per poter salvare il poveretto. I massaggi cardiaci e le ventilazioni danno i primi risultati, il cuore riprende a battere. Intanto è già partito anche l’allarme al medico, che arriva in pochissimo tempo sul posto. Anche lui si rende subito conto che le condizioni di Damiano sono ormai pressoché disperate e predispone il trasporto immediato al vicino ospedale La Carità, dove il Pronto soccorso è già stato allertato.
Condizioni disperate
All’arrivo di Damiano i medici in quel momento presenti si prodigano per fare tutto il possibile. Si sa che il poveretto è stato vittima di un’aggressione e si cercano pertanto tracce sul corpo, nell’intento di capire come procedere. Non risultano però particolari ematomi, ma si intuisce che qualcosa di grave c’è a livello cerebrale. Viene così predisposta un’immediata TAC che evidenzierà i sospetti, ulteriormente confermati anche dal centro neurologico di Lugano al quale le immagini della TAC vengono subito trasmesse. L’emorragia è importante e le condizioni del paziente oramai disperate, tanto che alla 1.05 viene stabilita la morte cerebrale.
Il dono degli organi
Seguirà il trasferimento di Damiano a Lugano per poter procedere con l’espianto degli organi: questi, come noto, sono stati donati affinché la sua morte, assurda e tremenda come sappiamo essere stata, non sia avvenuta invano. Una scelta che, con grande altruismo, i famigliari del giovane hanno fatto, dimostrando come, pur se colpiti da una tragedia immane, si possa ancora avere la forza di rivolgere il pensiero al prossimo.
La forza dei familiari
Una forza, questa dei familiari, che si è confermata ancora in questi giorni con la presenza costante, soprattutto del padre e della madre di Damiano, a tutte le fasi del dibattimento: anche nei momenti più difficili, duri e pesanti, come è stato il caso ieri mattina, quando il giudice Mauro Ermani ha ripercorso attraverso i verbali il calvario subito da «Dam» steso sulla strada in quella gelida notte di febbraio in attesa di essere soccorso dagli operatori sanitari. Un tentativo di strapparlo alla morte che, purtroppo, nonostante il prodigarsi dei medici, l’inaudita e gratuita violenza subìta ha reso vano.
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