17 gennaio 2009 - La Regione Ticino

Un omicidio, tre perizie
Da lunedì alle Criminali di Locarno i giovanissimi autori del pestaggio in cui morì Damiano

Sette giorni per cercare una verità e dare delle risposte. Per dare, innanzitutto, una ri­sposta – quella della Giusti­zia – a uno dei fatti di sangue che più hanno colpito il Lo­carnese negli ultimi anni: la morte, il 1 ° febbraio 2008 al carnevale “ la Stranociada” di Locarno, di Damiano Tama­gni, 22 anni, studente di Gor­demo. Gli imputati Nel palazzo del Pretorio, da dopodomani lunedì 19 a mar­tedì 27 gennaio, le Assise Crimi­nali di Locarno si riuniranno per giudicare tre ragazzi figli di immigrati di origine slava: Ivi­ca Grgic, 22 anni (difeso da Francesca Perucchi- Baggi), Marko Tomic, 19 anni (difeso da Yasar Ravi), e Ivan Jurkic, 20 anni (difeso da Luca Mar­cellini). Sono loro – unitamen­te a un minorenne ticinese per­seguito separatamente per ag­gressione, subordinatamente rissa, e tutelato dall’avvocato Ignazio Maria Clemente – che quella sera, in Città Vecchia, aggredirono Damiano Tamagni lasciandolo esanime in un an­fratto di Via Borghese. L’auto­psia parla di un decesso avve­nuto per emorragia cerebrale causata dalla lacerazione del­l’arteria situata all’altezza della nuca, in seguito all’estensione e alla torsione del capo. Il che equivale a una morte presumi­bilmente causata dagli effetti di un pestaggio breve ma brutale. Soltanto Ivica e Marko do­vranno rispondere di omicidio intenzionale. A loro, secondo la procuratrice pubblica Rosa Item, titolare dell’inchiesta, vanno infatti imputate le mag­giori responsabilità. Ivan, ter­zo membro del gruppo, parte­cipò al pestaggio ma ebbe un ruolo secondario ( in qualche modo paragonabile a quello del minorenne). Ecco perché nel­l’atto d’accusa la sua presunta colpa è quella di aggressione. Ulteriori accuse, minori, sono state promosse per tutti e tre gli imputati: contravvenzione alla Legge federale sugli stupe­facenti per Jurkic e Grgic, e pornografia per Tomic. Il pestaggio Secondo quanto è trapelato dalla ricostruzione dei fatti così come laboriosamente ef­fettuata dagli inquirenti nel corso di un anno di indagine, il dramma si consumò in pochi istanti, verso le 23.40. Gli atti­mi in cui i tre ragazzi reagiro­no con la violenza alla decisio­ne di Damiano – istintiva, e forse con intento pacificatore – di intervenire in un alterco che coinvolgeva due gruppi di giovani. Forse fu un’errata in­terpretazione del gesto, ed è presumibile che ebbe un ruolo anche il modo in cui – vestito e truccato da Emo – Damiano si presentò. Fatto sta che l’in­tervento del giovane di Gordo­la, in quel particolare momen­to di tensione, mutò repentina­mente le dinamiche, focaliz­zando la violenza laddove non aveva senso che venisse sfoga­ta. Secondo quanto appurato dalla Magistratura, ed inserito nell’atto d’accusa quale descri­zione dei fatti che determina­no le varie imputazioni, il pri­mo a prendersela con Damia­no fu Jurkic, che assieme al minorenne lo spintonò a più riprese con foga. Poi interven­nero, con maggiore aggressi­vità, a calci e pugni, Tomic e Grgic, i quali se ne andarono abbandonando Damiano ago­nizzante. I referti Valutando nel dettaglio la dinamica di questi eventi verrà ovviamente costruita la verità processuale che porterà alla sentenza della Corte presieduta dal giudice Mauro Ermani. Eventi i cui effetti sono stati sviscerati in tre perizie. Quella giudizia­ria, firmata dal professor Antonio Osculati dell’Unità operativa di medicina legale dell’Azienda ospedaliera uni­versitaria di Varese, chiari­sce che il decesso è avvenuto per una lacerazione dell’arte­ria vertebrale sinistra intra­cranica. Lacerazione che nel­l’atto d’accusa viene messa in relazione con un colpo di frusta causato dai calci sfer­rati da Tomic ( alla tempia si­nistra di Damiano) e Grgic ( sulla parte destra della nuca). E sono conclusioni cui giunge sostanzialmente an­che la seconda perizia, com­missionata al patologo En­nio Pedrinis dal legale di parte civile ( la famiglia Ta­magni), avvocato Diego Ol­giati. A far discutere mag­giormente in questi giorni immediatamente precedenti il dibattimento è una terza perizia, prodotta dall’avvoca­to di Tomic, Yasar Ravi, e fir­mata dal professore dell’Uni­versità Cattolica di Roma, Angelo Fiori. Questi sostie­ne in definitiva che non è possibile attribuire a Tomic e a Grgic la responsabilità della morte di Damiano, per­ché sarebbe ancora da chiari­re chi, fra i 4 attori a vario ti­tolo del pestaggio, abbia in­ferto i colpi decisivi. Proprio a proposito della “ perizia Fiori”, secondo quanto ha riferito ieri il Quo­tidiano della Tsi, la procura­trice Item chiederà alla Corte che il perito giudiziario Oscu­lati ne possa produrre un suo rapporto scritto. Richiesta cui ha già detto di volersi op­porre l’avvocato Ravi.

***

Il pestaggio secondo il Codice penale

Art. 111 Omicidio intenzionale Chiunque intenzionalmente uccide una persona è punito con una pena detentiva non inferiore a cinque anni.
Art. 134 Aggressione Chiunque prende parte ad un’aggressio­ne, a danno di una o più persone, che ha per conseguenza la morte o la lesione di un aggredito o di un terzo, è punito con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria.
Art. 133 Rissa Chiunque prende parte ad una rissa che ha per conseguenza la morte o la lesione di una persona, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.

***

Se si può dare un senso all’inspiegabile
La Fondazione Damiano Tamagni e la prevenzione della violenza

C’è soprattutto la musica, al centro delle attività cultu­rali della Fondazione Damia­no Tamagni, presentata in ottobre al pubblico da papà Maurizio, e da chi come lui crede che da un dramma im­menso come la morte di un fi­glio sia possibile costruire qualcosa. Musica come i con­certi lirici e quelli corali, come l’esibizione natalizia organizzata a Brissago gra­zie alla locale commissione cultura e tempo libero, oppu­re ancora come il concerto gospel di Gerra Piano, in oc­casione del quale la Fonda­zione era presente per diffon­dere il suo messaggio di non violenza. Tutti eventi utili per racco­gliere i fondi necessari a por­tare avanti una moltitudine di progetti: da quello di edu­cazione emotiva nelle Scuole dell’infanzia ed elementari, condotto in collaborazione con l’Alta scuola pedagogica, alla “ pièce” teatrale sul tema della violenza portata in sce­na dai ragazzi delle Medie della Morettina a Locarno, da presentare in varie sedi di Scuola media del cantone; dalla pubblicazione di un fu­metto didattico incentrato sul tema della violenza, che verrà distribuito nelle Me­die, alla campagna di sensi­bilizzazione prevista durante il prossimo carnevale, su sca­la ticinese, utilizzando il sog­getto migliore che emergerà da un concorso di disegno per i ragazzi di Quarta Me­dia. ‘Con la testa, non con le mani’ Il motto della Fondazione è “ Con la testa, non con le mani”. Secondo quanto si può leggere sul sito , « è stata co­stituita per onorare la memo­ria di Damiano ed ha come scopo la prevenzione della violenza giovanile e l’aiuto alle famiglie coinvolte » . La perdita di un figlio, scrive papà Maurizio, « è un avveni­mento così tragico che nessun genitore riesce ad accettare, indipendentemente da come succede. Ma in questo caso è impossibile trovare un senso da dare a quanto è accaduto ed è per questo che abbiamo deciso di costituire una fonda­zione che si occupi del proble­ma della violenza; e se ciò por­terà qualcosa di buono, forse potremo pensare che la morte di Damiano non sia stata del tutto inutile » . Tutte le circo­stanze, prosegue Maurizio Tamagni, « hanno portato Da­miano, un ragazzo che era un esempio della nostra gioventù “ buona”, a trovarsi proprio in quel luogo e proprio in quel momento per essere investito dalla brutalità peggiore che si possa immaginare. Un fatto così eclatante ha creato gran­de scalpore mediatico, nonché grande emozione in tutta la popolazione » . Maurizio dice di aver ri­flettuto molto rispetto a quanto successo, « e la conclu­sione che ho potuto trarre è che il suo destino doveva pro­prio essere quello di vittima “ perfetta” per fare in modo che l’opinione pubblica si ac­corgesse del problema della violenza dilagante tra i giova­ni, e che le autorità avessero finalmente uno spunto per ri­portare la sicurezza nel nostro paese » . Una Fondazione che baserà il suo operato sull’affetto de­gli amici di Damiano, i quali si metteranno a disposizione lavorando nei diversi proget­ti che saranno sviluppati. Le attività saranno coordina­te sia con quelle svolte dal Gruppo operativo contro la violenza giovanile istituito dal Consiglio di Stato, sia con le altre istituzioni.

***

Analisi e ricette

Svizzero o straniero non fa differenza, giovane, maschio, di un’età mediamente compresa tra i 13 e i 20 anni, con un alto ri­schio di recidiva spinto dal sen­timento di onnipotenza, di­sprezzo per la vittima e accani­mento anche dopo averla già so­praffatta, scarsa coscienza delle conseguenze dei propri gesti, pronunciato narcisismo che si esprime con l’esibizione delle proprie bravate (filmati, foto con cellulari, racconti agli ami­ci). Nel caso di una provenienza straniera si tratta di giovani di condizione socio-economica precaria, spesso con problemi di scolarizzazione, di formazione professionale o di integrazione. Questo statisticamente il pro­filo del giovane violento. L’iden­tikit è stato stilato dal Gruppo ‘giovani, violenza, educazione’, gruppo che ha visto la luce al­l’indomani dell’omicidio di Da­miano Tamagni, il 22enne di Go­dremo aggredito al carnevale di Locarno lo scorso 1° febbraio. Coordinato dal procuratore pubblico Antonio Perugini, questo gruppo operativo e di coordinamento creato « per me­glio affrontare il problema della violenza giovanile » in Ticino è stato formalmente costituito dal governo su proposta del mini­stro Luigi Pedrazzini. Composta, oltre che da Peru­gini, dai rappresentanti della scuola ( Franco Lazzarotto), dell’Ufficio giovani del Dss ( Marco Galli) e della Polizia cantonale ( Pierluigi Vaerini) nonché dal magistrato dei mi­norenni Reto Medici, la task force ha ricevuto il compito dal Consiglio di Stato di « acquisire una visione più completa della situazione quale premessa per adottare strategie operative, coordinare nel modo migliore e valorizzare i puntuali interventi settoriali già operanti nel territo­rio, proporre, rispettivamente adottare in tempi brevi misure operative coordinate che permet­tano di arginare comportamenti violenti e problematici, indivi­duare e proporre al Consiglio di Stato strategie atte a promuovere e consolidare nei giovani i valori della convivenza pacifica e del ri­spetto della propria e dell’altrui integrità ». Il gruppo si è poi al­largato a rappresentanti dei me­dia, dei principali centri del cantone e delle associazioni gio­vanili. Digeribili e indigeste Alcuni dei suggerimenti sor­titi dai lavori del gruppo hanno avuto da subito un’ampia eco mediatica. « Alcune proposte ri­scatenò sulteranno digeribili, altre indi­geste », sottolineò il pp Perugini al momento della presentazione nel maggio 2008 del primo rap­porto. Tra queste ultime basti rammentare la proposta di in­trodurre il coprifuoco per i mi­norenni. Proposta però scartata dal Consiglio di Stato, il quale comunicò di non voler nemme­no « approfondire l’ipotesi di una base legale volta a stabilire un orario limite per la presenza di minorenni in luoghi pubblici ». Altro rapporto, altra proposta. Il divieto di ‘ botellon’. Si tratta del termine spagnolo relativo ad appuntamenti di massa, orga­nizzati sfruttando internet, che hanno quale scopo primario il bere alcolici in gruppo e in spa­zi pubblici come piazze e parchi cittadini. Il lancio di una mani­festazione simile a Bellinzona una ridda di commenti e pareri, messi a tacere dalla scarsa partecipazione dei tici­nesi. Attenti ai media Più volte nei ‘rapporti Peru­gini’ viene stigmatizzato il ruolo dei media in vicende come l’omicidio Tamagni. Dai comunicati stampa delle forze dell’ordine alla cronaca gior­nalistica, secondo il gruppo di lavoro occorrerebbe ripensare modalità e contenuti nel caso di atti penalmente rilevanti commessi da minorenni o di problematiche giovanili in senso più ampio. Non si tratta di una censura, bensì di una maggior consapevolezza e sen­sibilità verso i sentimenti su­scitati nella popolazione. Tre rapporti, oltre nove mesi di lavoro, all’insegna del prag­matismo, della ricerca di solu­zioni praticabili per contrastare un fenomeno progressivamente in aumento, sia nelle cifre, sia nella brutalità ed esplosività dei gesti. Si tratta di episodi di vio­lenza in genere legati a motivi futili. Spesso sguardi o parole mal intesi sono sufficienti a sca­tenare reazioni di violenza, al­trettanto spesso accecata dal consumo di alcol o droghe. « Sono soddisfatto di come il gruppo sta lavorando – dice Pe­rugini alla “RegioneTicino” –, Abbiamo consegnato un venta­glio di proposte concrete e attua­bili, la maggior parte in tempi brevi. Ora ci vuole la volontà po­litica di decidere e mettere in pra­tica ». Come dire: ora tocca al Consi­glio di Stato.

***

A Carnevale per i violenti scatterà la diffida
Il provvedimento verrà adottato da cinque società organizzatrici

S’allunga la lista di misure che le so­cietà organizzatrici dei carnevali di Tesserete (Or Penagin), Chiasso (Ne­biopoli), Sant’Antonino (Goss), Rovere­do (Lingera) e Maggia hanno confezio­nato lanciando a suo tempo la campa­gna “Carnevali in sicurezza”. Que­st’anno chi in occasione di una delle cinque imminenti manifestazioni verrà colpito da una diffida per essersi reso protagonista di atti violenti non potrà accedere nemmeno alle altre quattro rassegne carnevalesche. Di più: lo stesso provvedimento sarà vali­do anche nel 2010. La campagna “Carnevali in sicurez­za” è stata ideata nel 2007 ed è concreta­mente partita lo scorso anno, prima del tragico episodio di Locarno. L’iniziati­va coinvolge al momento cinque so­cietà organizzatrici di carnevali: l’ulti­ma in ordine di tempo a entrare nel gruppo è stata quella di Maggia. Ed è sostenuta dall’Associazione regnanti della Svizzera italiana e dalla ditta pri­vata di sicurezza Rainbow. « Si è deciso di unire le forze per elaborare delle stra­tegie uniformi affinché le manifestazio­ni possano svolgersi solo ed esclusiva­mente all’insegna del divertimento », ha spiegato il direttore della Rainbow, Al­berto Pongelli, intervenendo ieri a Sant’Antonino alla conferenza stampa indetta per illustrare l’edizione 2009 di “Carnevali in sicurezza”. Strategie uniformi che hanno portato fra l’altro alla stesura di un regolamento comu­ne. Con relativi divieti. In una nota i promotori della campagna ne ricorda­no alcuni: « Divieto di fumo nei capan­noni, divieto di introdurre materiale “a rischio” (vetro, lattine, bottiglie in Pet, coltelli ecc.) e divieto di consumo di alcol per i minorenni ». Sempre in base al re­golamento, che parla anche di controlli agli « accessi », il pubblico « può essere fotografato o filmato ». L’obiettivo non è la repressione: « si vuole fare unicamente della prevenzio­ne », ha tenuto a precisare Simone Giu­dicetti, presidente del Carnevale Lin­gera di Roveredo. La campagna come detto è partita l’anno scorso. E la prima esperienza « è stata molto positiva », ha sottolineato Livio Mazzuchelli, alla te­sta degli organizzatori del Carnevale di Tesserete aggiungendo che la sicurez­za « assorbe il 40 per cento dei nostri co­sti ». Mario Gambarini, responsabile della sicurezza per il Carnevale di Sant’Antonino: « Ogni volta ci incon­triamo, prima dell’apertura della mani­festazione, con le forze di polizia, i pom­pieri e i servizi sanitari e insieme effe­t-tuiamo i necessari sopralluoghi ». L’edizione 2009 di “Carnevali in sicu­rezza” introduce dunque in caso di dif­fida il divieto d’accesso alle cinque ras­segne carnevalesche citate, quelle in programma sia quest’anno che nel 2010. Gli aspetti giuridici, ha detto Maz­zuchelli, sono stati chiariti col procura­tore pubblico Antonio Perugini. Pon­gelli: « Se la persona raggiunta dal prov­vedimento viene riconosciuta all’interno degli spazi ai quali non avrebbe dovuto accedere, nei suoi confronti scatta la de­nuncia per violazione di domicilio ». Gli ideatori di “Carnevali in sicurez­za” sperano nell’adesione alla campa­gna di altre società organizzatrici. « Il nostro dispositivo di sicurezza ha però un’altra struttura e un’altra dimensio­ne, anche perché la superficie pubblica interessata dalla manifestazione è assai vasta – afferma il presidente del Raba­dan di Bellinzona Decio Cavallini in­terpellato dalla “RegioneTicino” –. Noi investiamo mezzo milione di franchi nella sicurezza e un simile importo non è certo alla portata di società più piccole della nostra. La diffida – aggiunge Ca­vallini – è comunque una misura che può essere dissuasiva. Vedo tuttavia un problema pratico: la maschera non faci­lita il riconoscimento di chi è stato colpi­to dal provvedimento. In ogni caso, ripe­to, la diffida può costituire un deterren­te ».

Nessun commento:

Posta un commento