PROCESSO TAMAGNI
A confronto l’avvocato dei genitori di Damiano e quello del 20enne Jurkic
C’è un abisso sui dettagli È stato assassinio o rissa?
di LUCA PELLONI e PATRICK MANCINI
La sabbia nella clessidra sta per finire. Mancano solo due giorni. Poi sul processo Tamagni, calerà il sipario. Ieri nell’aula delle assise criminali di Locarno si sono confrontati Diego Olgiati, legale della famiglia Tamagni, e Luca Marcellini, avvocato di Ivan Jurkic, il 20enne che lo scorso primo febbraio al carnevale in Città Vecchia con alcune spinte diede il “la” al pestaggio letale di Damiano, il 22enne di Gordola morto il giorno dopo in ospedale. Con lui, alla sbarra, gli altri due “complici”: Marko Tomic (19) e Ivica Grgic (23), accusati di omicidio intenzionale. Da una parte Olgiati non usa mezze misure per definire come gli atti del trio si situino al limite dell’assassinio. Dall’altra Marcellini invita la Corte a non farsi trascinare dal rancore popolare che questo genere di episodi fa scaturire. Olgiati oltre alle pene chiede 263mila franchi per risarcire – anche se Damiano non sarà mai restituito ai suoi cari – la famiglia Tamagni di tutti i disagi subiti. Marcellini, invece, sostiene che l’accusa di aggressione nei confronti di Jurkic debba essere convertita in accusa di rissa. Mentre gli scontri in aula proseguono (c’è stato pure un battibecco tra una parente di Tomic e un parente di Damiano), il processo si sposta sempre di più anche all’esterno. La pena proposta dalla procuratrice pubblica Rosa Item, 10 anni e mezzo e 10 anni rispettivamente per Tomic e Grgic e 3 anni per Jurkic, non fa l’unanimità. Anzi. Su facebook, il popolare sito internet di incontri, è nato un gruppo che chiede l’ergastolo. Un’iniziativa da record, che in poche ore ha raccolto centinaia di adesioni. Su un altro sito “www.firmiamo.it” è stata lanciata una raccolta di firme che chiede alle autorità di rivedere la pena proposta. Al di là di quella che sarà la sentenza definitiva, prevista per martedì, la gente sta vivendo il processo con un coinvolgimento senza precedenti.
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La domanda
I testimoni dove erano?
È una domanda che in molti si sono posti dopo quanto accaduto la sera del primo febbraio 2008: «Perché i testimoni non sono intervenuti per difendere Damiano?» Diego Olgiati, avvocato della famiglia Tamagni, ha provato a dare una risposta. Perché il tutto si è verificato velocemente. Ma ci sono altri motivi, più profondi e preoccupanti. Olgiati ha letto alcuni passaggi delle testimonianze: «C’è chi si è girato dall’altra parte, per paura di essere picchiato a sua volta». Si trattava di una ragazza. «Anche chi ha avvertito il tremendo rumore del calcio al capo – riprende – si è voltato, impressionato». Un terzo testimone ha invece girato la faccia poiché aveva paura di essere visto mentre osservava quanto succedeva: «Si tratta di gente bloccata dalla paura ». Luca Marcellini, legale di Jurkic, ha tuttavia precisato che molti non hanno visto, perché c’era tensione a causa della discussione in corso tra gruppi di giovani.
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Diego Olgiati: «È morto un innocente. Siamo al limite dell’assassinio»
«I terribili atti commessi dai tre imputati si situano al limite tra l’omicidio e l’assassinio. Il modus operandi utilizzato esula infatti dalla classificazione utilizzata storicamente per l’omicidio, che viene motivato con la gelosia, la paura o la sete di vendetta. In questo caso non c’è alcun rapporto preesistente tra la vittima e gli impu-tati, che soddisfano solo la propensione alla violenza». Sono parole pesanti quelle rivolte ieri mattina soprattutto a Marko Tomic e a Ivica Grgic dall’avvocato Diego Olgiati. Il legale della famiglia Tamagni ha dunque chiesto alla Corte di prendere in considerazione anche l’eventualità del dolo diretto. Andando oltre le richieste della procuratrice pubblica Rosa Item. Una macchina da guerra «È gravissima anche la colpa di Ivan Jurkic, colui che ha dato inizio alla tragica vicenda e che ha continuato a infierire quasi fino all’ultimo. Jurkic si salva dall’accusa di omicidio solo per la ponderatezza della procuratrice pubblica, alla quale la parte civile rende omaggio, poiché non si vuole un processo di piazza, ma un giudizio equo». Non ha usato mezzi termini l’avvocato Diego Olgiati, che, durante tutto il suo esposto, ha rimarcato la totale gratuità del tragico evento. «Una macchina da guerra perfettamente oliata e infallibile», ha sottolineato riferendosi al trio. «I tre imputati sono coscienti di avere ucciso un innocente. Sciocca constatare che non c’era alcun movente, alcun collegamento emozionale tra gli imputati e Damiano ». Un modus operandi che lascia presagire un’azione concordata e sincronizzata. «I tre sono allenati, – dice Olgiati – organizzati, esprimono una rabbia e una ferocia intrinseca. E durante l’inchiesta non hanno mai dimostrato pentimento. Non hanno mai chiesto perdono. Hanno solo chiesto giustizia». Olgiati ha poi messo l’accento sulla gravità degli atti commessi e, proprio per questo, coperti durante tutta l’inchiesta: «Difficili da analizzare, ma non da scovare». La perizia Fiori Diego Olgiati si è soffermato anche sulla perizia della difesa, elaborata dal dottor Angelo Fiori. «La procuratrice non l’ha nemmeno commentata», ha detto. «Ma bisogna innanzitutto sottolineare che il mandato stesso della perizia è sbagliato. Non bisogna chiedere di creare dubbi fini a sé stessi. Ogni rapporto peritale deve giungere a delle conclusioni, facendo anche proposte alternative. Fiori non può fare un elenco di articoli con casi che parlano di lacerazioni spontanee dell’arteria vertebrale e così via, mentre poi spiega che non sono correlati alla morte di Damiano. È una questione di metodo». Le richieste di risarcimento Settantacinquemila franchi per il papà di Damiano, altrettanti per la mamma e 25mila per la sorella. È la richiesta di risarcimento per torto morale, pronunciata dall’avvocato di parte civile al termine del suo intervento. «E questo – precisa – perché si tratta di un episodio di una gravità senza precedenti. È stato distrutto irrimediabilmente un rapporto familiare. Bisogna anche tenere conto della sofferenza dei familiari durante la fase istruttoria, i quali si sono persino dovuti confrontare con denigrazioni, voci messe falsamente in circolazione, su una presunta correlazione tra Damiano e il mondo della droga. Affermazioni puntualmente smentite in aula dal presidente». La somma finirà nelle casse della Fondazione Damiano Tamagni, creata proprio dopo la morte del giovane gordolese per combattere il dilagarsi della violenza giovanile. Olgiati ha inoltre chiesto altri 70mila franchi di risarcimento per le spese legali, sottolineando che la perizia del professor Ennio Pedrinis, perito dei Tamagni, è stata effettuata gratuitamente «per poter essere libero da condizionamenti». Infine, sono stati richiesti 18mila franchi per le spese mediche e per il funerale di Damiano.
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Luca Marcellini: «Ivan non deve essere incolpato di aggressione ma di rissa»
Limitare la condanna all’ipotesi di rissa, commessa per dolo eventuale. È la prima richiesta dell’avvocato Luca Marcellini, difensore di Ivan Jurkic, al termine di un pacato esposto. «Subordinatamente chiedo l’aggressione per dolo eventuale», ha detto. «In ogni caso ritengo adeguata una pena detentiva non superiore al carcere preventivo sofferto». Marcellini è andato oltre: «Se la corte dovesse accettare l’ipotesi contenuta nell’atto d’accusa, non ritengo giustificata una condanna superiore ai 18 mesi di reclusione. Sempre sospesa parzialmente con la condizionale, anche nell’ipotesi di una pena superiore ai due anni». E pure in questa eventualità, la pena da scontare in carcere non dovrebbe superare il tempo già passato in prigione. Colpevole, ma... Tre i punti sui quali Marcellini ha voluto fare chiarezza, prima di pronunciare la sua proposta di pena ridotta. «Innanzitutto bisogna chiarire i fatti addebitati a Jurkic. Si può suddividere in tre fasi il drammatico episodio di Locarno. La prima, quando Damiano si trovava ancora in piedi, la seconda, con i colpi sferrati a terra e la terza, limitata ai calci inferti», ha spiegato. Secondo l’accusa, sulla base delle testimonianze raccolte, Ivan avrebbe partecipato anche alla seconda fase. Mentre per Marcellini, Jurkic è intervenuto solo nei primi momenti. «Non è facile raccontare ciò che si è visto durante un’aggressione», ha detto sottolineando che le testimonianze sono da valutare con le giuste misure. «La trentina di testimonianze raccolte parlano genericamente dei tre imputati, che avrebbero colpito Damiano quando si trovava a terra. Ma non ce n’è nemmeno una che indica un gesto preciso di Jurkic, oltre ai tre spintoni iniziali. Anche Tomic e Grgic dicono che Ivan non ha partecipato alla seconda fase del pestaggio». Nessuna reticenza Il secondo punto esplorato da Marcellini verte invece sull’interpretazione dell’atteggiamento avuto da Jurkic durante il processo. «Ivan viene presentato come reticente, partecipe di una sorta di linea difensiva concordata con gli altri due imputati. Bisogna invece realizzare che alcune affermazioni rilasciate subito dopo l’uccisione di Damiano non potevano rappresentare una strategia. Molti elementi sono diventati importanti solo dopo le risultanze dell’esame autoptico. L’importanza del pugno sferrato o meno da Grgic è infatti emersa solo in un secondo tempo». L’avvocato difensore ha così fornito anche una descrizione della personalità del suo assistito: «Un bambinone, un ragazzone tranquillo», ha spiegato. «Non è uno che fa il “mestiere della rissa”. Non si è mai vantato di avere picchiato. Anzi. Mai si è sentito dire che avesse picchiato». Accuse da rivedere «Se la motivazione data da Jurkic per giustificare il primo spintone inferto a Damiano, peraltro non in maniera frontale, è tutto sommato comprensibile, le altre due spinte assumono una rilevanza giuridica». Non si nasconde, l’avvocato Marcellini. «Ivan doveva sapere, e quindi accettare, che la seconda e la terza spinta, sferrate in quel contesto, come minimo avrebbero scatenato una rissa», ha ammesso. «Una rissa, dunque, per dolo eventuale. Ma nulla di più». Il terzo punto scandagliato da Marcellini, ovviamente, riguarda la commisurazione della pena. «L’aggressione, in diritto penale, comprende l’eventualità che la vittima subisca lesioni gravi o, addirittura, muoia». Il decesso di Damiano, secondo la dottrina, non può dunque essere considerato un aggravante nel quantificare la pena che sarà inflitta a Ivan Jurkic. Marcellini, nel suo incipit, aveva inoltre messo in guardia la corte dal «desiderio collettivo di una “pena esemplare”». «Il rischio è che, per far fronte al disagio, si accresca automaticamente la colpa del responsabile. Solo per darci una spiegazione più accettabile».
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GLI ULTIMI DUE GIORNI Verdetto attesissimo
Martedì la decisione
Il processo Tamagni si è già lasciato alle spalle cinque giorni. Dopo la pausa di sabato e domenica si torna in aula lunedì mattina 26 gennaio alle 9.30. A prendere la parola saranno gli avvocati dei due ragazzi accusati di omicidio intenzionale che avranno l’occasione di esporre alla Corte, presieduta da Mauro Ermani, le loro arringhe. Yasar Ravi difenderà Marko Tomic per il quale la procuratrice pubblica Rosa Item ha proposto dieci anni e mezzo di prigione. Francesca Perucchi- Baggi farà altrettanto con Ivica Grgic che rischia 10 anni di carcere. Martedì 27, salvo imprevisti (la lunghezza delle arringhe di Ravi e di Perrucchi-Baggi resta una variabile importante), la camera di consiglio, composta dai giudici e dalla giuria, si riunirà. In serata, probabilmente, verrà emanata l’attesa sentenza. Verrà processato a parte, invece, il quarto imputato, un minorenne ticinese che avrebbe avuto un ruolo nel pestaggio di Damiano. Proprio perché al momento dei fatti non aveva ancora raggiunto i 18 anni, il ragazzo, difeso dall’avvocato Ignazio Maria Clemente, verrà giudicato in altra sede.
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PROCESSO TAMAGNI
Non siamo fatti per distruggere
di CLAUDIO CHIAPPARINO
(Direttore Dicastero Giovani ed Eventi della Città di Lugano)
Il male è terribile. Pochi lo negherebbero. Almeno, lo spero. Ma ancora più terribile è la sconcertante assurdità con cui si fa strada. Vedere consumarsi un processo con tutte le comprensibili tensioni umane riapre allo stesso tempo grandi ferite per chi ha subito, grandi timori per chi guarda e spera che ciò non riaccada mai più, grandi grida di giustizia.
Viene un desiderio infinito di ricucire tutto, di tornare indietro in quella terribile sera e gridare «non fatelo, rovinerete tante vite, incluse le vostre». Per che cosa? Ma per che cosa? È assurdo! Eppure accade. È accaduto anche alle nostre latitudini. Ho incontrato e incontro migliaia di giovani in tante situazioni diverse, e molte persone mi chiedono se la violenza è aumentata, se il modo di conoscere e di vivere dei giovani è cambiato. Certamente c’è un’emergenza educativa e lo avvertono in molti. Ma di fronte all’evidenza di questi fatti è difficile accontentarsi di pur utili e interessanti analisi. Perché l’emergenza è proprio quella che ci siano, oltre alle giuste misure di prevenzione e di protezione, sempre più persone capaci di rapporti autentici con gli altri e soprattutto con i giovani. Per questo ammiro tantissimo i genitori e i parenti di Damiano e li ringrazio per la limpida testimonianza di dignità umana. Le sfide sono veramente grandi e l’impegno richiesto non è da meno. Vedo anche però che tanti adulti mollano, perché ritengono che i giovani sono così diversi da loro che non sanno più cosa fare per comunicare. Invece bisogna guardare a quello che ci unisce, non abbiamo forse gli stessi desideri, gli stessi sogni? A volte sembra una lotta impari, soprattutto quando ti accorgi che qualcosa o qualcuno rema contro. Mi è capitato, ad esempio, di sentire perfino il lamento di genitori che non capivano perché avevamo sequestrato il coltellino al figlio, prima di entrare ad una festa, in quanto, secondo loro, aveva pur diritto a difendersi. Mi capita anche di vedere giovani alla deriva e che avendo l’opportunità di dimostrare la loro validità in un lavoro trovano un motivo per ricominciare e si mettono responsabilmente ad aiutare anche gli altri. È quanto auguro anche ai tre giovani processati, che durante la prigione e dopo la giusta pena possano capire cosa significa costruire, perché noi non siamo fatti per la distruzione.
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