27 gennaio 2009 - La Regione Ticino

‘Fu aggressione, non omicidio’
Francesca Perucchi, difensore di Ivica Grgic, chiede una condanna che non superi i tre anni Sulla stessa linea anche Yasar Ravi, avvocato di Tomic, che propone alla Corte tre varianti di pena
È stata un’aggressione, non un omicidio intenzionale. Non ha dubbi l’avvocato Francesca Perucchi, che difende Ivica Grgic, uno dei tre giovani che in questi giorni è alla sbarra di fronte alla Assise criminali di Locarno per la morte di Damia­no Tamagni. Ieri Perucchi ha parlato per più di due ore; poco prima di mezzogiorno si è rivolta alla Corte – presieduta dal giudice Mauro Ermani – chiedendo per il suo assistito una pena che non superi i tre anni di carcere (comprendendo le precedenti condanne che ancora pendono su Grgic, ma sospese dalla con­dizionale). « Se pure la Corte vuo­le condannare Grgic per aggres­sione in concorso con omicidio colposo, non si vada oltre i 4 anni. I dieci anni chiesti dalla procuratrice pubblica Rosa Item sono davvero troppi ». Per quanto riguarda i reati ipotizzati dall’accusa, l’avvoca­to del 23enne ha domandato pene comunque più lievi di quelle proposte da Item: 6 anni se verrà considerato omicidio intenzionale; 4 anni e mezzo se la Corte opterà per lesioni gravi in concorso con omicidio colpo­so. Un’ampia ‘tavolozza’ di pos­sibilità che la dice lunga sulle difficoltà di definire le respon­sabilità penali di Grgic. Perucchi ha pure elencato una serie di attenuanti che la Corte dovrà valutare; l’imputa­to quella sera non era armato, non c’è stata premeditazione, ha ammesso le sue colpe, era ubriaco e aveva fumato due spi­nelli (ciò che porta a una scema­ta responsabilità). A suo carico non ci sono precedenti con epi­sodi simili (le condanne che ha subìto sono per furto e eccesso di velocità); poi ci sono la giova­ne età, il periodo di carcerazio­ne già scontato, la difficile situa­zione familiare e il fatto che non è cittadino svizzero (verosimil­mente gli verrà revocato il per­messo di soggiorno). Perucchi, dal banco della dife­sa, ha proposto di ‘derubricare’ l’accusa da omicidio intenzio­nale ad aggressione, per diverse ragioni. A suo dire, non esiste la certezza che la lesione che ha provocato la morte di Damiano sia dovuta ai calci che ha rice­vuto da Grgic e da Marko To­mic. Nessuno dei periti ha potu­to definire l’esatta dinamica dei fatti. La rottu­ra dell’arteria cerebrale si­nistra, per un movimen­to anomalo (e ‘abnorme’) della testa, può essere av­venuta prima che la vittima cadesse al suolo. Potreb­be essere sta­to un pugno (magari quel­lo sferrato dallo stesso Grgic) o uno spintone la causa scatenante. C’è pure chi ha affermato che Damiano, prima di accasciarsi al suolo, già barcollava e si muo- Togliere quell’alone di violenza e cattiveria che incombe su Grgic in modo strano. « Si potreb­be pensare che l’emorragia cere­brale, a quel momento, fosse già in atto ». L’accusa, per ricostruire la di­namica, si è basata sulle testi­monianze. Ma Perucchi – come aveva fatto prima di lei l’avvoca­to Luca Marcellini, difensore di Ivan Jurkic – ha invitato alla prudenza nell’interpretazione delle dichiarazioni dei testi. Quella sera, in Via Borghese, era in corso un battibecco; c’era tensione fra due gruppi. Regna­va la confusione e si sentiva odore di rissa. A un certo punto Damiano è a terra e parecchi non capiscono cosa sia succes­so. Jurkic aveva spintonato Da­miano; Tomic e Grgic hanno in­terpretato male quel gesto e sono intervenuti. Ma in tutto ciò non c’è traccia di premedita­zione. « La pedata che Grgic ha da­to alla testa di Damiano, quando que­sto giaceva al suolo, non era forte – ha ag­giunto l’avvo­cato –. Tanto che il perito non ha trova­to tracce evi­denti. Di più: sulle scarpe da ginnastica del mio assi­stito non c’e­rano tracce del Dna di Da­miano. Nessu­no può pensare che un calcio di quel genere può uccidere. La sca­tola cranica che protegge il cer­vello non è stata lesa ». Cadrebbe così anche l’intenzione di ucci­dere. E quella frase pronunciata da Grgic qualche ora prima dei fat­ti (« Se stasera qualcuno mi pro­voca l’ammazzo »)? « Grgic am­mette di averla detta, ma senza un motivo particolare ». Secondo Perucchi, l’imputato prova vergogna per ciò che ha fatto; è pentito e consapevole di aver causato un immenso dolo­re alla famiglia della vittima. « Chiede di scontare la pena che merita, anche se la prigione non alleggerirà la sua coscienza. Dal carcere ha mandato alla sorella molti disegni e messaggi pieni di dolcezza. Non è un provocatore o un picchiatore incallito. Chi lo conosce, lo definisce un ragazzo tranquillo, sorridente e buono come il pane. Aiuta gli amici e con loro si diverte. Dobbiamo to­gliere quell’alone di violenza e cattiveria che incombe su di lui. È stato screditato da pettegolezzi e dicerie; da cattiverie che hanno spopolato sui ‘blog’. Resta la gra­vità dei fatti della sera del 1° feb­braio 2008; ma il suo non è stato un gesto che mirava ad uccidere, neppure per dolo eventuale. Non ha la mentalità fredda di un omicida; tanto è vero che dopo i fatti racconta a molti del pugno che ha dato a Damiano sul volto. Poi torna a casa, dove viene arre­stato. Non fugge all’estero e non si dà alla macchia ». Insomma, per l’avvocato di Grgic ci sono troppi dubbi su come siano an­date realmente le cose; né le te­stimonianze di chi era presente né le perizie degli specialisti hanno potuto chiarire ogni aspetto. E i dubbi, dal punto di vista penale, vanno a vantaggio dell’imputato. Marko Tomic, e con lui il suo avvocato Yasar Ravi, hanno aperto per la Corte un ventaglio di possibilità di con­danna. Considerando « eccessi­va » la pena richiesta dalla procuratrice Rosa Item ( 10 anni e mezzo) ed « errata la qualifica del reato » indicata ( omicidio intenzionale), Ravi ha proposto in prima istanza una condanna per aggressio­ne, lesioni semplici e omissio­ne di soccorso, per una pena non superiore a 3 anni, even­tualmente in parte sospesi. In via subordinata, « non potendo la Corte escludere che uno dei colpi inferti da Tomic abbia concausato la morte di Damia­no » , Ravi ha proposto una condanna per aggressione, le­sioni semplici, omicidio per negligenza e omissione di soc­corso, commisurata in non più di 4 anni di detenzione. E quale ultima ratio, se proprio la Corte delle Assise crimina­li volesse emettere una con­danna per omicidio per dolo eventuale, allora « che la pena non superi i 6 anni » . Quanto alle pretese di parte civile, la difesa di Tomic « non si oppone e lascia l’entità del risarcimen­to per torto morale alla valuta­zione della Corte » . È in ogni caso « lodevole » , per Ravi, « l’i­dea della famiglia di Damiano di devolvere il risarcimento alla Fondazione » . Queste richieste, espresse ieri pomeriggio dopo quasi tre ore di arringa, erano state pre­cedute da considerazioni rela­tive alla colpa ammessa da To­mic, alla presa di coscienza di quanto commesso, e alla loro influenza sulla qualifica giuri­dica del o dei reati. « Tomic – ha chiarito il suo legale – non contesta l’esistenza di un lega­me di causalità adeguato fra gli atti commessi e la morte. Perché si sente responsabile e profondamente in colpa per la morte di Damiano. Ma non ha mai voluto ucciderlo ». E in più: « Non si può sfuggire alle pro­prie responsabilità per un tec­nicismo giuridico ». Alle questioni giuridiche era stata del resto dedicata una parte preponderante del­l’arringa. In particolare ver­tendo sui due concetti di dolo eventuale e negligenza co­sciente. Il primo è una forma ridotta di intenzionalità; c’è la coscienza che l’atto po­trebbe Si faccia astrazione dalle voci che gridano vendetta provo­care la mor­te, ma ciono­nostante si agisce, accet­tando l’even­tualità della morte pur non deside­randola. La seconda è in­vece deter­minata dal­l’ammissione che il risulta­to possibile dei propri atti sia la morte, ma c’è la fer­ma convinzione che questa eventualità è fortemente im­probabile. Ed è proprio que­veva sto che, secondo il suo avvo­cato, è avvenuto in Tomic: una negli­genza co­sciente. Ravi ha anche ri­cordato che mai in Sviz­zera un omi­cidio per dolo even­tuale è stato riconosciuto per una morte cagio­nata senza l’ausilio di armi. In apertu­ra di inter­vento Ravi aveva sostanzialmente invita­to la Corte a fare astrazione dalle « voci che gridano ven­detta » , sottolineando che « le considerazioni giuridiche vanno tratte da fatti » . Poi, cercando di dimostrare la poca credibilità di diverse te­stimonianze considerate im­portanti dall’accusa, aveva cercato di restituire a Tomic un profilo meno truce rispet­to a quello tracciato dall’ac­cusa: « Non si tratta di un as­sassino senza scrupoli, ma di un ragazzo di 19 anni che non era partito con l’intenzione di picchiare qualcuno, ma ha commesso l’errore più grande della sua vita, e se lo porterà dietro per sempre » . Nel corso di tutta l’arringa Ravi ha ribadito più volte la necessità di tener conto della presunzione di innocenza, « evitando processi sommari per imputati già condannati dall’opinione pubblica una set­timana dopo i fatti ».
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Sotto la lente le tre perizie mediche
‘Non v’è certezza sulle cause del trauma’ Con particolare attenzione l’avvocato Ravi è tornato a spulciare le tre perizie finite agli atti: quella giudiziaria di Antonio Oscu­lati, quella commissionata dalla parte civile al dottor Ennio Pe­drinis, e la terza, quella ordinata proprio dalla difesa di Tomic al professor Angelo Fiori. Ravi ha insistito sui punti di contat­to fra le diverse valutazioni, e in particolare sul fatto che quello della morte di Damiano sia stato « un caso raro e particolare » . « Tutti concordano – ha proseguito – che è estremamente difficile stabilire l’origine del trauma che ha causato la lacerazione arte­riosa determinante ai fini del decesso di Damiano. Lo stesso Oscu­lati non esclude che possa essere stato sufficiente un calcio, un pu­gno, o addirittura soltanto uno spintonamento, specialmente se dato di sorpresa ». E poi: « Lo stesso Pedrinis sostiene che non c’è certezza che l’evento determinante sia avvenuto con Damiano a terra. Certo è ragionevole, ma non è certo, ed è la certezza che deve venire richiesta dalla Corte ai fini di un certo tipo di condanna ».
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Fiaccolata a un anno dalla tragica morte di Damiano
La proposta della omonima Fondazione che combatte la violenza giovanile Il processo con i tre aggressori di Da­miano Tamagni volge al termine. La sentenza è annunciata per questa sera. E domenica primo febbraio ri­corre l’anniversario della tragica morte del 22 enne. « Per questa com­memorazione proponiamo una fiacco­lata – si legge in una nota stampa in­viata ieri ai media dalla Fondazione che porta il nome del giovane decedu­to un anno fa al Carnevale di Locarno –. Lo scopo: ricordare Damiano e invi­tare tutti a riflettere, camminando in­sieme, quanto importante sia lottare contro la violenza giovanile ». La fiaccolata avrà inizio alle 19 alla stazione Ffs di Locarno, con partenza dal parcheggio Park& Ride per poi snodarsi verso Largo Zorzi, Piazza Grande, Via Marcacci, Via Borghese e arrivo sulla Piazza Sant’Antonio, nel nucleo storico della città. « Alle 20 – aggiunge la Fondazione – è prevista nella collegiata di Sant’An­tonio la celebrazione di una messa presieduta dal vescovo monsignor Pier Giacomo Grampa. Prima e dopo la celebrazione verranno proposti al­cuni brani musicali, interpretati dal quartetto Roxanne ( violini) e da Anais, e alcune letture di pensieri che riconducono al tema della non violen­za. Tutta la popolazione è cordial­mente invitata a unirsi alla fiaccola­ta » . Un’iniziativa lanciata da una Fondazione che si sta distinguendo per coraggio e intelligenza nel porta­re avanti un tema di grande impor­tanza.
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Per la petizione un sito italiano
Molti siti ticinesi hanno deciso di non ospitare ‘blog’ con commenti sul processo, dopo le esperienze negative dei giorni successivi al­l’omicidio, con ingiurie che pio­vevano a raffica contro i respon­sabili del pestaggio. Ma c’è chi aggira l’ostacolo. A processo non ancora terminato su un sito ita­liano è partita una raccolta di firme (sono già più di 600) per contestare la pena proposta dal­l’accusa, ritenuta blanda.

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