28 gennaio 2009 - Giornale del Popolo

PROCESSO TAMAGNI
10 anni per Tomic e Grgic; 2 anni e 6 mesi a Jurkic
La Corte non ha dubbi: «È omicidio intenzionale»

«La giustizia può solo accertare i fatti e non lenire le sofferenze», ha detto il giudice Ermani pronunciando la sentenza dopo 13 ore di camera di consiglio. «È stato un gesto vigliacco ed egoista per soddisfare la voglia di menare le mani. Non potevano non sapere che avrebbero provocato la morte di una persona». Il pianto di alcuni familiari degli imputati alla lettura del dispositivo.

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«Gesti vili» Giudizio esemplare

di LUCA PELLONI

Lo sguardo severo, il tono fermo. Pa­role durissime, «per una colpa gravis­sima ». Il giudice Mauro Ermani non ha usato mezzi termini rivolgendosi ai tre imputati Ivica Grgic, Marko Tomic e Ivan Jurkic. La tensione in sala era al­tissima. Lo era già prima della senten­za, rimandata più volte fin verso le 22.45. Ma poi, finalmente, il verdetto. Che non lenirà il dolore dei familiari di Damiano. Ma che permetterà loro di avviarsi su questo cammino. Dolo­re anche tra i parenti dei tre imputati, che durante la sentenza sono scoppiati in lacrime. Lacrime comunque giuste, perché ciò che hanno commesso i tre imputati ha irrimediabilmente sconvolto anche le vite dei loro cari. «Gesti vigliacchi, commessi solo per soddisfare la voglia di menare le mani», ha commentato il giudice. Gesti che hanno colpito un innocente. Gesti che i tre imputati non sono riusciti a motivare minimamente. E che vanno dunque condannati con la necessaria severità. Non perché lo chiede il popolo, che ha da subito dimostrato un interesse viscerale per la vicenda. Ma perché è giusto che chiunque paghi per ciò che ha commesso. Non si tratta dunque di una pena esemplare, come sottolineato dallo stesso Ermani. «Questo giudizio spetterà semmai a un’istanza superiore», ha spiegato. Ma di un giudizio esemplare, emanato dopo una scrupolosa ricostruzione di tutti i fatti. Accertati con grande fermezza dalla corte, che ha così raggiunto la certezza che Grgic e Tomic si sono macchiati di omicidio intenzionale, per dolo eventuale. «Non potevano non sapere che il loro agire avrebbe provocato la morte». Grave anche la colpa di Jurkic, che ha agito senza motivo, aggredendo un innocente. E non è mai intervenuto per fermare i suoi amici. Così la giuria ha deciso di condannare i primi due a dieci anni di detenzione. E il terzo a due anni e sei mesi, sospesi parzialmente con la condizionale. La corte ha infine sancito che Grgic, Tomic e Jurkic dovranno pagare 175mila franchi per torto morale alla famiglia Tamagni. Oltre a 89mila franchi di spese legali. Una somma, la prima, che andrà totalmente a favore della Fondazione Damiano Tamagni, creata proprio a seguito della morte del giovane gordolese per fronteggiare l’incalzante violenza giovanile. Soldi che, si spera, potranno servire a qualcosa di buono. Nella convinzione che la morte di Damiano non sia stata inutile.

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Ermani è durissimo: «Hanno agito da vigliacchi, disprezzando la vita»

di LUCA PELLONI e PATRICK MANCINI

«Hanno agito da vigliacchi, senza scrupoli, solo per soddisfare la loro vo­glia di violenza, dimostrando disprez­zo per la vita umana». Non ha usato mezzi termini il giudice Mauro Erma­ni nel pronunciare la sentenza. Paro­le durissime. «Per una colpa gravissi­ma – dice –. Damiano è stato ucciso senza che avesse mai dimostrato un comportamento che lasciasse presa­gire una situazione di rissa o bagarre. Si è trovato al posto sbagliato, nel mo­mento sbagliato, di fronte alle perso­ne sbagliate». Il presidente della cor­te ieri sera ha così confermato total­mente l’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Rosa Item. «La corte non ha colto differenze ne­gli atti commessi da Ivica Grgic e Marko Tomic», ha continuato. «Grgic ha qualche precedente, ma si è dimo­strato più sincero. Tomic, invece, ha mantenuto durante tutto il dibatti­mento un comportamento che non lascia presagire un’assunzione di re­sponsabilità ». Quindi la giuria ha condannato entrambi a dieci anni di detenzione. «La gravità dei loro gesti non va motivata oltremodo. Basta di­re che hanno colpito una persona che si trovava a terra, inerme, mentre non poteva difendersi». Grave è anche la colpa di Ivan Jurkic. «E questo per il reato che ha commes­so. A prescindere dall’esito letale del­l’aggressione », ha sottolineato Erma­ni. «Jurkic non si è mai dissociato da­gli altri due prima dell’arresto. E do­po il pestaggio è andato a casa non perché pentito, ma solo poiché il giorno seguente doveva lavorare. Inol­tre la corte ha potuto accertare che Jurkic ha preso parte al pestaggio, ti­rando a sua volta qualche calcio all’ad­dome di Damiano, quando quest’ul­timo si trovava già a terra». Jurkic, dun­que, è stato condannato a due anni e sei mesi di detenzione. «Non trovan­do motivi per formulare una progno­si negativa, la corte ha deciso che Jurkic potrà beneficiare di una parzia­le sospensione della pena», ha aggiun­to Ermani. Quattordici, in totale, i me­si che dovrà passare in carcere, di cui quasi dodici già scontati. Tornando a Grgic e Tomic, condanna­ti per omicidio intenzionale, Ermani si è soffermato sulla nozione di dolo eventuale. «È un tipico caso», ha affer­mato. La morte di Damiano è stata causata da una lacerazione dell’arte­ria vertebrale intracranica. Una lesio­ne provocata dai calci inferti da Grgic e Tomic. La corte lo ha potuto accer­tare ricostruendo quanto accaduto grazie alle numerose testimonianze raccolte. «Sono stati determinanti i calci inferti in una zona vitale, quan­do la vittima era a terra inerme», ha ri­petuto Ermani. «Chi colpisce in que­sta maniera non può non pensare di poter provocare la morte della vittima. Quindi lo accetta».

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Gli zii di Damiano: «I giudici hanno fatto il possibile, ma...»

«Non so se questa possa essere definita giu­sta. So solo che i giudici non potevano fare di più in base al diritto svizzero. Accetto serenamen­te il verdetto, anche se forse certe leggi andreb­bero riviste». Danilo Tamagni è lo zio di Damiano. Ha lo sguardo spento. È stravolto, dopo la sen­tenza di Mauro Ermani. Accanto a lui c’è don Sa­muele, il fratello. «Sul concetto di “pena giusta” – dice – si potrebbe discutere all’infinito. I giu­dici hanno fatto il loro lavoro. E lo hanno fatto bene. L’importante è che sia venuta a galla la ve­rità ». Ha la voce rotta dall’emozione, don Sa­muele. Ma riesce comunque a restare oggetti­vo. «Scusatemi – sospira –, sono esausto, sfini­to. Ora per la nostra famiglia inizia un nuovo ca­pitolo. Mio fratello Maurizio (il papà di Damia­no, ndr) ha deciso di non parlare per adesso. Lo farà prossimamente, quando se la sentirà. Quando la tensione accumulata in questi gior­ni terribili calerà». Anche Danilo ha vissuto i set­te giorni alle assise criminali con il fiato sospe­so. «Ho due figli piccoli – spiega –. E anche loro un giorno andranno a carnevale. Lo ripeto: cer­te norme vanno riviste. Dieci anni di carcere per persone così violente sono un po’ pochi. Se cal­coliamo la buona condotta e il fatto che in Sviz­zera l’anno carcerario non dura 12 mesi, signi­fica che tra 5 o 6 anni potrebbero uscire». Poi Da­nilo spende due parole per Ivan Jurkic. «È lui che ha iniziato tutto – precisa –. Deve ritenersi for­tunato per avere ricevuto solo 2 anni e 6 mesi. Anche lui ha picchiato Damiano. Ma ha avuto fortuna nel non infliggergli un colpo letale. Spe­ro che faccia tesoro di quanto gli è capitato». «Il giudizio umano è stato espresso – gli fa eco don Samuele –. Adesso questi tre ragazzi sono nel­le mani del giudizio di Dio. Lasciamo fare a Lui». Intanto, dalle scale scende la famiglia Tomic. La sorella piange a dirotto. È l’ultima istantaea di una serata da brividi.

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Editoriale
UN’ALTRA “GIUSTIZIA” È POSSIBILE
di LUCA FIORE

La corte ha emesso la sentenza e in queste cricostanze si dice: giustizia è fatta. Ma tutti sappiamo che la giustizia dei tribunali, necessaria e doverosa, non ci basta perché, in fondo, non è stata fatta giustizia verso nessuno. Non c’è giustizia per la famiglia Tamagni, che non riavrà mai il suo Damiano e non c’è giustizia verso i tre giovani colpevoli, che non riavranno mai la loro innocenza. Inutile illudersi che la sentenza di un giudice metta le cose a posto. Non può togliere il dolore e non può sanare le ferite. Questa sentenza non mette il cuore in pace neanche a noi che abbiamo assistito attoniti a questa vicenda nella quale abbiamo visto il volto del male cieco, che non sa dare spiegazione neanche a se stesso. E quel male aveva il volto di ragazzi cresciuti nello stesso Ticino che ha visto crescere anche Damiano Tamagni. Inutile ricorrere a facili teoremi sociologici che non sono in grado di spiegare ciò che vorremmo spiegare ma che non siamo in grado di fare. Il dolore innocente non si spiega, è lì ad interrogare chi ha il coraggio di non voltare lo sguardo da un’altra parte. È il coraggio che ha avuto la famiglia Tamagni e che vorremmo avessero tanto gli amici di Damiano quanto i colpevoli e i loro cari. Questo coraggio vorremmo averlo noi per guardare in fondo a questo dolore indicibile e domandarci davvero “perché?”. Non per capire perché è toccata a un bravo ragazzo come Damiano, non per comprendere le dinamiche che hanno scatenato la violenza dei tre giovani. No. Occorre arrivare davvero al fondo della questione: perché se si muore, si muore perché siamo vivi e la morte ha un senso solo se anche la vita ha un senso. E allora finché non daremo risposta a questa domanda di significato (perché sono al mondo?) non saremo in grado di guardare in faccia questa disgrazia e tutte quelle a cui abbiamo assistito o a cui assisteremo. A chi cercherà facili scorciatoie non rimarrà che una triste consolazione, o una vita a cercare di distrarsi per non ricordare. Non è un caso che per noi cristiani il senso della vita ha il volto di una vittima innocente, condannato a morte senza avere colpe. L’incontro con Gesù Cristo è innanzitutto l’incontro con qualcuno che è riuscito a riempire, prima ancora del vuoto dell’ingiustizia altrui, l’abisso della nostra inadeguatezza. Il rapporto con Lui, presente, è il continuo ripetersi, a dispetto di tutto il disastro umano di ciascuno, del suo inesauribile amore. È un amore assolutamente gratuito, che non ci si è meritati. Un’altra parola per definire questo amore è “perdono”. Se sono cristiano è perché ho fatto esperienza di questo perdono. Solo per questo sono in grado di perdonare: perché a mia volta sono stato perdonato. Posso perdonare anche perché vedo persone che perdonano: casi privati e casi pubblici di persone che non hanno avuto paura a perdonare; in televisione abbiamo visto ad Erba come Carlo Castagna ha perdonato gli assassini di sua moglie, sua figlia e suo nipote. Persone reali, non discorsi buoni solo per le sacrestie. Per fare questo passo hanno avuto la semplicità di ricordarsi che qualcuno ha perdonato loro. Se qualcosa del genere accadrà per questi ragazzi -come certamente desidera Damiano- potrebbe essere l’occasione per loro di non sciupare, anche, il tempo della pena.

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Commento
E ora, il tempo del silenzio
di GRAZIANO MARTIGNONI

Il processo è terminato , la senten­za decisa. Quando i giudici si saran­no ritirati per l’ultima volta, gli av­vocati chiuso le loro cartelle e i mas­smedia spenti i loro riflettori, verrà inesorabile il tempo del silenzio ove ognuno nella propria intimità, vit­time e colpevoli, si ritroveranno soli di fronte a quel destino, che si è manifestato così crudele e tremen­do. Un destino a cui il Processo avrà tentato di dare ragionevolezza e a cui sarà dato un nome nella distri­buzione saggia e ponderata delle re­sponsabilità. Ma il destino nella sua crudeltà rimane il destino in­spiegabile e tremendo. Tutti siamo chiamati a non dimenticare e a por­ci umilmente di fronte a lui. È basta­ta quella sera, che doveva essere di festa, sono bastati pochi momenti per cambiare, anche se diversa­mente, le vite di quei giovani e del­le loro famiglie. Nella solitudine e nel silenzio che sopraggiunge la via si fa ardua. Quella solitudine può fa­cilmente divenire smemoratezza, indifferenza nel fluire della vita, quel silenzio farsi assordante nel ri­morso, nel rancore e nella colpa, op­pure farsi possibilità, farsi per ognu­no destinazione. Un destino che dalla crudeltà insensata di un acca­dimento diviene per le vittime, co­me già sta avvenendo, nostalgia, ri­cordo, dolore condiviso e per i col­pevoli, proprio attraverso l’espiazio­ne della pena, dura strada di una ri­nascita. Ma tutto ciò non può avve­nire se quel silenzio e quella inevi­tabile e dolorosa solitudine dei cuo­ri non sarà accompagnata. Accom­pagnata da tutta una comunità che non smetterà di interrogarsi su co­me educare, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nel tempo di svago, i nostri giovani a quel saper riconoscere nell’altro uomo, in chi ti sta accanto, in chi ti passa accan­to, in chi è più debole e persino nel conflitto e nel diverbio solamente una parte di se stessi. Un Sé stesso, nel Volto anche di chi è diverso da te, che merita rispetto, generosità, aiuto, perché ciò che fai all’altro lo fai sempre anche a te stesso. Il cammino si fa arduo per chi resta, per la famiglia del giovane Damia­no, per quelle dei giovani aggresso­ri. I giovani condannati ad espiare la giusta pena dovranno poi essere aiutati a riconoscere la loro colpa, al di là di quella processuale, a ripren­dere il cammino della vita, a ricosti­tuire la loro anima con il peso for­se indelebile di quanto avvenuto ma con la speranza che l’espiazione possa ridare loro il senso e il valore della vita umana. Un compito, che dopo le tante voci di questi giorni, dovrà iniziare subito per dare con­tenuto vero e umano alla parola pe­na e orizzonte alla parola vita. Un ul­timo pensiero a Damiano che ci guarda e così come ci è apparso nel­le testimonianze di chi lo ha cono­sciuto, forse mitemente ci sorride con amore.

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FATTORE EDUCATIVO
Nulla accade “per caso”
di PIER GIACOMO GRAMPA

Adesso che il processo di Locar­no si è concluso con la sentenza, al di là di tutte le considerazioni giu­ridiche ( doveva essere sentenza esemplare o semplicemente giusta; è risultata lieve o congrua; servirà ai colpevoli e sarà di ammonimento a tanta altra gioventù?) voglio ritorna­re con una riflessione di ordine mo­rale, per rispondere a tutti che cer­te cose non succedono comunque per caso. Anche se molti non si ren­dono conto dei loro comportamen­ti, essi sono segno di una profonda carenza nell’educazione della loro coscienza e quindi frutto di una im­maturità, che diviene causa di ge­sti “ irresponsabili”, ma non per questo meno colpevoli. Nella mia lunga esperienza di edu­catore sono venuto a trovarmi mol­te volte di fronte a risposte facili, quali: “non l’ho fatto apposta”. Si compiono atti senza tener conto di tutte le conseguenze che possono comportare. Si tira un sasso o una pallonata e si ferisce una persona o si danneggia un bene; si infrango­no i limiti di velocità o si praticano la droga, l’alcol e la sregolatezza ses­suale e poi si pretende di non esse­re responsabili delle conseguenze. Come si può arrivare a questa frat­tura tra una causa e il suo effetto, tra un’azione e le sue conseguenze, se non per evidente carenza di senso morale e per insufficiente educazio­ne delle coscienze. I comportamenti terribili che sono emersi dal processo di Locarno so­no dunque anche il segno delle ca­renze di una società che non è più capace di formare coscienze adul­te, mature, responsabili. Denuncia­no le insufficienze di un sistema educativo tanto nelle famiglie, quanto nelle Chiese, come nella scuola e nella società: in questa so­cietà mass-mediatica di comunica­zioni sempre più selvagge ed incon­trollate.
Proprio una di queste mattine mi è capitato di ascoltare alla nostra radio, in ora per fortuna antelucana il parolaio di turno dire: «Ora che non ho più via d’uscita, apri le tue gam­be verso di me». Quando smetteremo di essere così vuoti e volgari, banali e superficiali? Non lamentiamoci di certi comportamenti, quando non sappiamo più trasmettere alle nuove generazioni quel rigore morale che non è innato, ma frutto di insegna­mento, di educazione, di esempio, di una dimensione morale, che viene sempre più disattesa. La morale non è da confondere con il giuridico e con il penale, a ciascu­no le sue competenze e responsabi­lità. Ma senza morale perde valore anche la legge e la sua applicazione.

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I protagonisti

IL GIUDICE: Mauro Ermani
I GIUDICI A LATERE: Chiarella Rei-Ferrari e Luca Zorzi
GLI ASSESSORI GIURATI: Fabio Borsari, Emma Galfetti, Angelo Ponti, Liliana Rich­ner, Doris Roggia
GLI ASSESSORI GIURATI SUPPLENTI: Dome­nico Prandi, Linda Keller-Starnini IL
PROCURATORE PUBBLICO: Rosa Item
L’AVVOCATO DI PARTE CIVILE (FAMIGLIA TAMAGNI): Diego Olgiati
GLI AVVOCATI DIFENSORI: Luca Marcellini (per Ivan Jurkic), Francesca Perucchi (per Ivica Grgic) e Yasar Ravi (per Marko Tomic)
I PERITI MEDICI: dottor Antonio Osculati (perito giudiziario), dottor Ennio Pedrinis (perito di parte civile) e dottor Angelo Fio­ri (perito della difesa, su richiesta dell’av­vocato Yasar Ravi)

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