‘Il primo che mi tocca lo ammazzo’
Emersi i propositi bellicosi di Ivica Grgic la sera del delitto di Damiano al carnevale di Locarno Nella prima giornata di dibattimento alle Criminali un profilo dei tre imputati e qualche notizia dal carcere
« Stasera il primo che mi tocca o mi rompe le palle lo ammazzo ». Potrebbe costare molto cara, a Ivica Grgic, la frase pronunciata di fronte agli amici il 1° febbraio 2008 sul “muraglione” sotto la Magistrale di Locarno, pochi minuti prima di “affrontare” con Marko Tomic e Ivan Jurkic la lunga notte della Stranociada in Città Vecchia. « L’ho detto – ha riconosciuto Grgic – ma era solo per vanteria, non c’era nessun fine particolare ». Una vanteria non del tutto priva di significato, gli ha fatto notare il giudice Mauro Ermani, se è vero come è vero che Grgic pochi giorni prima, con la stessa maglia della Nazionale croata che indossava a Locarno, aveva litigato con una ragazza che ne aveva criticato l’abbigliamento al termine del carnevale di Roveredo; e che la stessa sera, sempre a Roveredo, aveva sfiorato la rissa, per futilissimi motivi, con un altro giovane all’entrata di una tendina. « Che necessità c’era di rimettere per il carnevale di Locarno la maglietta croata sapendo che poteva suscitare i commenti di qualche testa calda? », gli ha chiesto il giudice. Una domanda cruciale rimasta senza risposta, se non quella inespressa di una “ricerca dello scontro” per provarne l’ebbrezza. Senza tenere conto, probabilmente, del possibile tragico esito che ha poi avuto. Processo pubblico ma non per tutti, quello ai tre ragazzi accusati di aver ucciso, il 1° febbraio 2008 al carnevale di Locarno, Damiano Tamagni. Ci sono problemi di spazio, nell’aula penale del Pretorio di Locarno, così il dibattimento di fronte alle Assise criminali, letteralmente preso d’assalto da un pubblico mai visto, può essere seguito (almeno al mattino) soltanto dai parenti della vittima e degli imputati, oltre che dal nutritissimo stuolo di giornalisti, giunti anche da fuori cantone. La prima giornata di un processo che dovrebbe durarne 7 effettive ( martedì prossimo è prevista la sentenza) ha consentito al giudice Mauro Ermani di fare la conoscenza con i tre giovani imputati. Ivica Grgic ha 22 anni, è nato a Locarno da genitori croati e si è formato come imbianchino; Marko Tomic di anni ne ha solo 19, ha doppia cittadinanza croata e svizzera ed è in Ticino fin da piccolo. Esattamente come Ivan Jurkic, classe ‘88, l’unico dei tre risparmiato dall’imputazione più pesante – quella di omicidio intenzionale – e che sarà quindi giudicato per aggressione. È stato un triplo approccio foriero di molte informazioni interessanti, quello condotto da Ermani nei confronti degli imputati. Molto legato alla famiglia – madre, sorellina piccola e fratello – è risultato essere Ivica Grgic, ragazzo tutt’altro che stupido, di buon potenziale ma ciononostante ancora senza un diploma. Molte le opportunità lavorative sprecate, probabilmente soprattutto a causa di una situazione familiare complicata. Di Grgic alcuni amici e conoscenti hanno parlato come di un duro, che non si lascia prendere in giro. Per altri, invece, « parla molto ma conclude poco », è estroverso, tende ad essere violento – specialmente quando beve – ma non è cattivo; è uno che si vanta di menar le mani, che fa lo spaccone, in particolare con i più deboli. A suo carico, oltre a precedenti penali di poco conto per furto di biscotti e per violazione della norme della circolazione stradale, anche un paio di episodi non del tutto chiari al carnevale di Maggia, e un altro paio, come s’è visto, al carnevale di Roveredo.
La Corte e le parti
Presidente della Corte di Assise criminali di Locarno è il giudice Mauro Ermani. Giudici a latere sono Chiarella Rei-Ferrari e Luca Zorzi. La giuria popolare è composta da Fabio Borsari, Emma Galfetti, Linda KellerStarnini, Angelo Ponti, Domenico Prandi, Liliana Richner e Doris Roggia. Grgic è tutelato da Francesca Perucchi, Tomic da Yasar Ravi e Jurkic da Luca Marcellini. Avvocato della famiglia di Damiano, costituitasi parte civile, è Diego Olgiati. Su Jurkic c’è stato poco da dire, e quel poco in positivo: figlio e apprendista modello, è stato amatissimo dai colleghi della Migros di Minusio, considerati come « una seconda famiglia » , tanto da aver ricevuto un’accorata lettera scritta dal giovane dopo l’arresto. Ivan non è mai stato coinvolto in risse o in episodi di violenza. Il profilo più dettagliato, anche se in parte contraddittorio, è quello del più giovane dei tre, Marko Tomic: apprendista incompiuto come montatore di impianti sanitari, una sequela di esperienze professionali immancabilmente terminate con il licenziamento e un carattere non facile in cui sembra emergere la tara dell’immaturità. Arbitro di talento, ragazzo estroverso, pauroso quando è da solo e “galletto” se può farsi forte di un gruppo che lo sostiene, è stato dipinto come giovane aggressivo e vendicativo, che non riesce a controllare l’aggressività, esibizionista e raccontaballe, ma anche, da altri ( l’ultimo datore di lavoro, un collega arbitro, e un barista, tutti chiamati dall’avvocato Yasar Ravi in qualità di testi) come ragazzo tranquillo, sincero, affidabile, sempre disponibile, per nulla asociale, che, « come arbitro, sapeva digerire le critiche e dava spesso prova di collegialità ». Lo stesso Tomic che in carcere, alla Farera, si è fatto riconoscere sia per aver parlato dell’inchiesta, senza permesso, con Grgic – tanto da venire trasferito in isolamento alla Stampa – sia per la reiterata, insistente offerta di informazioni su furti da altri già commessi, o ancora da commettere, fatta all’ex procuratore Marco Villa e alla procuratrice titolare dell’indagine, Rosa Item, in cambio di un ritorno alla Farera. « Perché quell’isolamento non lo reggevo, mi distruggeva psicologicamente, ed ero nel pallone », si è giustificato Tomic con Ermani. Alla Stampa, da ottobre, è anche Jurkic, mentre dopo la chiusura dell’inchiesta ha chiesto e ottenuto un trasferimento a Lenzburg Grgic: per stare vicino alla madre, che ora vive oltre Gottardo. Dunque nella prima giornata ci si è gradatamente avvicinati al momento del tragico pestaggio. Si è saputo che gli aggressori si erano trovati con gli amici per bere e fumare, poi erano entrati alla Stranociada dove ancora avevano bevuto qualche birra per carburare. Non molto diversa era stata la serata di Damiano, che pure, nella saletta del Drago Rosso in Via Borghese, vestito da Emo come tutto il gruppo di amici, aveva bevuto qualche birra e qualche “ shot” di rum. Poi si era recato in Piazza Sant’Antonio. Per gli ultimi istanti di festa della sua vita.
***
‘Vi racconto la mia vita’. Papà Maurizio dà voce a Damiano
Sul sito della Fondazione il toccante resoconto di un viaggio esistenziale troppo breve Dai primi passi alla promozione ad ufficiale. Fino a quella sera in Città Vecchia
Fa venire i brividi, la storia di Damiano Tamagni raccontata da papà Maurizio nel sito della Fondazione intitolata al figlio. Fa venire i brividi perché è la storia di ognuno di noi, con quelle foto un po’ ingiallite della mamma che ci abbraccia neonati nel letto d’ospedale, e del papà con quello sguardo inconfondibile, emozionato, incredulo di chi sta assaporando la più grande delle gioie. La storia di Damiano Tamagni inizia il 28 settembre del 1985, di sera tardi, alla Santa Chiara di Locarno. E prende forma nelle immagini che sono state l’infanzia di tutti noi: il lettino con le sbarre, il sorriso della nonna, l’espressione un po’ persa che ci dipinge il viso quando in casa arriva un fratellino; o una sorellina, Deborah, nel caso di Damiano. Sono cose così, quelle che raccontano di noi. Cose semplici e belle, cose forti che ti entrano dentro, che puoi condividere a pelle perche le hai vissute. Sono quelle tappe obbligate in cui semplicemente ritroviamo noi stessi. La maglietta con su Topolino. Il primo cagnolino giunto in famiglia. E il secondo, perché se no soffre di malinconia. La storia prosegue. Il Damiano dell’asilo è un bambino incantevole, bello, pasciuto, di un biondo brillante, con il suo pulloverino a righe e il biberon nella mano destra. I ricordi di papà Maurizio assumono ora un significato particolare, struggente, quasi insostenibile. Maurizio racconta del sottile filo di ironia che univa padre e figlio, un legame esclusivo, intimo. Racconta della particolare sensibilità di Damiano, che molto presto si avvicina al Drago Rosso e si appassiona ai giochi di ruolo. Giochi per ragazzi intelligenti, sensibili, che non hanno vergogna ad usare la testa. E lo sport: dallo sci alla pallacanestro, all’unihockey; «Però decisamente non ero tagliato per gli sport di squadra – scrive Maurizio dando voce al figlio –, non avevo uno spirito di competizione ». Considerazioni che Maurizio permea d’affetto, e che rendono Damiano una persona vera, con le sue passioni e le sue debolezze. Passioni come quella ereditata da papà per la subacquea. C’è il racconto della prima immersione, nel mare di Spagna, e sembra di vederlo, il giovane Damiano, che osserva l’esperto Maurizio, e alla fine lo sgrida perché ha dato confidenza ad un polipetto... Da questo battesimo nascerà un sub provetto, che negli anni raccoglierà alcuni brevetti, ed esperienze indimenticabili come quella nel Mar Rosso. Indimenticabile anche perché segnerà il primo faccia a muso con lo squalo... Scorrendo le pagine Damiano cresce: arriva il computer (e i costi di connessione!), gli estenuanti “Lan party” con gli amici, spesso in casa sua; quella casa sempre piena di gente, e «devo ammettere – dice in proposito papà come se a parlare fosse Damiano – che in queste occasioni i miei genitori erano molto tolleranti ». Una piccola, affettuosa tirata d’orecchi ricordando quei momenti così felici, intensi, che ritraggono stuoli di amici a torso nudo fra i terminali. C’è anche il Damiano in grigioverde, nella storia raccontata da Maurizio. Una carriera militare, giunta al traguardo di ufficiale, ripercorsa con tanti particolari da indicarne l’importanza che assumeva per il figlio. In una foto, scattata a Weggis, un Damiano in uniforme per la cerimonia ufficiali tradisce l’emozione del momento, e papà, «che in principio era un po’ scettico», alla fine «era molto fiero di me». E qui è tutto l’orgoglio di Maurizio che riaffiora, per stamparsi fra i frammenti di una vita terminata davvero troppo presto. Senza dimenticare gli amici: la forza di Damiano. Amici che nelle foto si abbracciano, fanno i buffoni. Quello davanti si sdraia sul gruppo, e gli altri dietro a fargli le corna con le dita. Gruppi di amici per il bowling, il biliardo, le «memorabili feste di compleanno». E i “rave”, la “Streetparade”. E il carnevale, che «mi piaceva molto». All’ultimo – c’è scritto – «sono stato all’apertura del Rabadan di Bellinzona, a Roveredo e alla Stranociada, mi ero vestito da Emo: personaggi che si truccano labbra e unghie di nero, con i capelli neri e lisci che coprono parte del viso, e che hanno un aspetto triste e abbattuto». «Ed è proprio alla Stranociada – scrive Maurizio, scegliendo per Damiano parole che sono forse un modo per salutare piano – che finisce la mia storia. Avevo molti progetti per il mio futuro ma tutto si è fermato a Locarno, in Via Borghese, la sera del primo febbraio 2008. Il destino ha voluto che incontrassi alcuni individui che hanno voluto cambiare il corso della mia vita per spedirmi a svolgere una missione molto speciale, nel più grande gioco di ruolo dell’universo».
Emersi i propositi bellicosi di Ivica Grgic la sera del delitto di Damiano al carnevale di Locarno Nella prima giornata di dibattimento alle Criminali un profilo dei tre imputati e qualche notizia dal carcere
« Stasera il primo che mi tocca o mi rompe le palle lo ammazzo ». Potrebbe costare molto cara, a Ivica Grgic, la frase pronunciata di fronte agli amici il 1° febbraio 2008 sul “muraglione” sotto la Magistrale di Locarno, pochi minuti prima di “affrontare” con Marko Tomic e Ivan Jurkic la lunga notte della Stranociada in Città Vecchia. « L’ho detto – ha riconosciuto Grgic – ma era solo per vanteria, non c’era nessun fine particolare ». Una vanteria non del tutto priva di significato, gli ha fatto notare il giudice Mauro Ermani, se è vero come è vero che Grgic pochi giorni prima, con la stessa maglia della Nazionale croata che indossava a Locarno, aveva litigato con una ragazza che ne aveva criticato l’abbigliamento al termine del carnevale di Roveredo; e che la stessa sera, sempre a Roveredo, aveva sfiorato la rissa, per futilissimi motivi, con un altro giovane all’entrata di una tendina. « Che necessità c’era di rimettere per il carnevale di Locarno la maglietta croata sapendo che poteva suscitare i commenti di qualche testa calda? », gli ha chiesto il giudice. Una domanda cruciale rimasta senza risposta, se non quella inespressa di una “ricerca dello scontro” per provarne l’ebbrezza. Senza tenere conto, probabilmente, del possibile tragico esito che ha poi avuto. Processo pubblico ma non per tutti, quello ai tre ragazzi accusati di aver ucciso, il 1° febbraio 2008 al carnevale di Locarno, Damiano Tamagni. Ci sono problemi di spazio, nell’aula penale del Pretorio di Locarno, così il dibattimento di fronte alle Assise criminali, letteralmente preso d’assalto da un pubblico mai visto, può essere seguito (almeno al mattino) soltanto dai parenti della vittima e degli imputati, oltre che dal nutritissimo stuolo di giornalisti, giunti anche da fuori cantone. La prima giornata di un processo che dovrebbe durarne 7 effettive ( martedì prossimo è prevista la sentenza) ha consentito al giudice Mauro Ermani di fare la conoscenza con i tre giovani imputati. Ivica Grgic ha 22 anni, è nato a Locarno da genitori croati e si è formato come imbianchino; Marko Tomic di anni ne ha solo 19, ha doppia cittadinanza croata e svizzera ed è in Ticino fin da piccolo. Esattamente come Ivan Jurkic, classe ‘88, l’unico dei tre risparmiato dall’imputazione più pesante – quella di omicidio intenzionale – e che sarà quindi giudicato per aggressione. È stato un triplo approccio foriero di molte informazioni interessanti, quello condotto da Ermani nei confronti degli imputati. Molto legato alla famiglia – madre, sorellina piccola e fratello – è risultato essere Ivica Grgic, ragazzo tutt’altro che stupido, di buon potenziale ma ciononostante ancora senza un diploma. Molte le opportunità lavorative sprecate, probabilmente soprattutto a causa di una situazione familiare complicata. Di Grgic alcuni amici e conoscenti hanno parlato come di un duro, che non si lascia prendere in giro. Per altri, invece, « parla molto ma conclude poco », è estroverso, tende ad essere violento – specialmente quando beve – ma non è cattivo; è uno che si vanta di menar le mani, che fa lo spaccone, in particolare con i più deboli. A suo carico, oltre a precedenti penali di poco conto per furto di biscotti e per violazione della norme della circolazione stradale, anche un paio di episodi non del tutto chiari al carnevale di Maggia, e un altro paio, come s’è visto, al carnevale di Roveredo.
La Corte e le parti
Presidente della Corte di Assise criminali di Locarno è il giudice Mauro Ermani. Giudici a latere sono Chiarella Rei-Ferrari e Luca Zorzi. La giuria popolare è composta da Fabio Borsari, Emma Galfetti, Linda KellerStarnini, Angelo Ponti, Domenico Prandi, Liliana Richner e Doris Roggia. Grgic è tutelato da Francesca Perucchi, Tomic da Yasar Ravi e Jurkic da Luca Marcellini. Avvocato della famiglia di Damiano, costituitasi parte civile, è Diego Olgiati. Su Jurkic c’è stato poco da dire, e quel poco in positivo: figlio e apprendista modello, è stato amatissimo dai colleghi della Migros di Minusio, considerati come « una seconda famiglia » , tanto da aver ricevuto un’accorata lettera scritta dal giovane dopo l’arresto. Ivan non è mai stato coinvolto in risse o in episodi di violenza. Il profilo più dettagliato, anche se in parte contraddittorio, è quello del più giovane dei tre, Marko Tomic: apprendista incompiuto come montatore di impianti sanitari, una sequela di esperienze professionali immancabilmente terminate con il licenziamento e un carattere non facile in cui sembra emergere la tara dell’immaturità. Arbitro di talento, ragazzo estroverso, pauroso quando è da solo e “galletto” se può farsi forte di un gruppo che lo sostiene, è stato dipinto come giovane aggressivo e vendicativo, che non riesce a controllare l’aggressività, esibizionista e raccontaballe, ma anche, da altri ( l’ultimo datore di lavoro, un collega arbitro, e un barista, tutti chiamati dall’avvocato Yasar Ravi in qualità di testi) come ragazzo tranquillo, sincero, affidabile, sempre disponibile, per nulla asociale, che, « come arbitro, sapeva digerire le critiche e dava spesso prova di collegialità ». Lo stesso Tomic che in carcere, alla Farera, si è fatto riconoscere sia per aver parlato dell’inchiesta, senza permesso, con Grgic – tanto da venire trasferito in isolamento alla Stampa – sia per la reiterata, insistente offerta di informazioni su furti da altri già commessi, o ancora da commettere, fatta all’ex procuratore Marco Villa e alla procuratrice titolare dell’indagine, Rosa Item, in cambio di un ritorno alla Farera. « Perché quell’isolamento non lo reggevo, mi distruggeva psicologicamente, ed ero nel pallone », si è giustificato Tomic con Ermani. Alla Stampa, da ottobre, è anche Jurkic, mentre dopo la chiusura dell’inchiesta ha chiesto e ottenuto un trasferimento a Lenzburg Grgic: per stare vicino alla madre, che ora vive oltre Gottardo. Dunque nella prima giornata ci si è gradatamente avvicinati al momento del tragico pestaggio. Si è saputo che gli aggressori si erano trovati con gli amici per bere e fumare, poi erano entrati alla Stranociada dove ancora avevano bevuto qualche birra per carburare. Non molto diversa era stata la serata di Damiano, che pure, nella saletta del Drago Rosso in Via Borghese, vestito da Emo come tutto il gruppo di amici, aveva bevuto qualche birra e qualche “ shot” di rum. Poi si era recato in Piazza Sant’Antonio. Per gli ultimi istanti di festa della sua vita.
***
‘Vi racconto la mia vita’. Papà Maurizio dà voce a Damiano
Sul sito della Fondazione il toccante resoconto di un viaggio esistenziale troppo breve Dai primi passi alla promozione ad ufficiale. Fino a quella sera in Città Vecchia
Fa venire i brividi, la storia di Damiano Tamagni raccontata da papà Maurizio nel sito della Fondazione intitolata al figlio. Fa venire i brividi perché è la storia di ognuno di noi, con quelle foto un po’ ingiallite della mamma che ci abbraccia neonati nel letto d’ospedale, e del papà con quello sguardo inconfondibile, emozionato, incredulo di chi sta assaporando la più grande delle gioie. La storia di Damiano Tamagni inizia il 28 settembre del 1985, di sera tardi, alla Santa Chiara di Locarno. E prende forma nelle immagini che sono state l’infanzia di tutti noi: il lettino con le sbarre, il sorriso della nonna, l’espressione un po’ persa che ci dipinge il viso quando in casa arriva un fratellino; o una sorellina, Deborah, nel caso di Damiano. Sono cose così, quelle che raccontano di noi. Cose semplici e belle, cose forti che ti entrano dentro, che puoi condividere a pelle perche le hai vissute. Sono quelle tappe obbligate in cui semplicemente ritroviamo noi stessi. La maglietta con su Topolino. Il primo cagnolino giunto in famiglia. E il secondo, perché se no soffre di malinconia. La storia prosegue. Il Damiano dell’asilo è un bambino incantevole, bello, pasciuto, di un biondo brillante, con il suo pulloverino a righe e il biberon nella mano destra. I ricordi di papà Maurizio assumono ora un significato particolare, struggente, quasi insostenibile. Maurizio racconta del sottile filo di ironia che univa padre e figlio, un legame esclusivo, intimo. Racconta della particolare sensibilità di Damiano, che molto presto si avvicina al Drago Rosso e si appassiona ai giochi di ruolo. Giochi per ragazzi intelligenti, sensibili, che non hanno vergogna ad usare la testa. E lo sport: dallo sci alla pallacanestro, all’unihockey; «Però decisamente non ero tagliato per gli sport di squadra – scrive Maurizio dando voce al figlio –, non avevo uno spirito di competizione ». Considerazioni che Maurizio permea d’affetto, e che rendono Damiano una persona vera, con le sue passioni e le sue debolezze. Passioni come quella ereditata da papà per la subacquea. C’è il racconto della prima immersione, nel mare di Spagna, e sembra di vederlo, il giovane Damiano, che osserva l’esperto Maurizio, e alla fine lo sgrida perché ha dato confidenza ad un polipetto... Da questo battesimo nascerà un sub provetto, che negli anni raccoglierà alcuni brevetti, ed esperienze indimenticabili come quella nel Mar Rosso. Indimenticabile anche perché segnerà il primo faccia a muso con lo squalo... Scorrendo le pagine Damiano cresce: arriva il computer (e i costi di connessione!), gli estenuanti “Lan party” con gli amici, spesso in casa sua; quella casa sempre piena di gente, e «devo ammettere – dice in proposito papà come se a parlare fosse Damiano – che in queste occasioni i miei genitori erano molto tolleranti ». Una piccola, affettuosa tirata d’orecchi ricordando quei momenti così felici, intensi, che ritraggono stuoli di amici a torso nudo fra i terminali. C’è anche il Damiano in grigioverde, nella storia raccontata da Maurizio. Una carriera militare, giunta al traguardo di ufficiale, ripercorsa con tanti particolari da indicarne l’importanza che assumeva per il figlio. In una foto, scattata a Weggis, un Damiano in uniforme per la cerimonia ufficiali tradisce l’emozione del momento, e papà, «che in principio era un po’ scettico», alla fine «era molto fiero di me». E qui è tutto l’orgoglio di Maurizio che riaffiora, per stamparsi fra i frammenti di una vita terminata davvero troppo presto. Senza dimenticare gli amici: la forza di Damiano. Amici che nelle foto si abbracciano, fanno i buffoni. Quello davanti si sdraia sul gruppo, e gli altri dietro a fargli le corna con le dita. Gruppi di amici per il bowling, il biliardo, le «memorabili feste di compleanno». E i “rave”, la “Streetparade”. E il carnevale, che «mi piaceva molto». All’ultimo – c’è scritto – «sono stato all’apertura del Rabadan di Bellinzona, a Roveredo e alla Stranociada, mi ero vestito da Emo: personaggi che si truccano labbra e unghie di nero, con i capelli neri e lisci che coprono parte del viso, e che hanno un aspetto triste e abbattuto». «Ed è proprio alla Stranociada – scrive Maurizio, scegliendo per Damiano parole che sono forse un modo per salutare piano – che finisce la mia storia. Avevo molti progetti per il mio futuro ma tutto si è fermato a Locarno, in Via Borghese, la sera del primo febbraio 2008. Il destino ha voluto che incontrassi alcuni individui che hanno voluto cambiare il corso della mia vita per spedirmi a svolgere una missione molto speciale, nel più grande gioco di ruolo dell’universo».
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