20 gennaio 2009 - La Regione Ticino

‘Il primo che mi tocca lo ammazzo’
Emersi i propositi bellicosi di Ivica Grgic la sera del delitto di Damiano al carnevale di Locarno Nella prima giornata di dibattimento alle Criminali un profilo dei tre imputati e qualche notizia dal carcere

« Stasera il primo che mi tocca o mi rompe le palle lo ammaz­zo ». Potrebbe costare molto cara, a Ivica Grgic, la frase pronunciata di fronte agli amici il 1° febbraio 2008 sul “muraglione” sotto la Magi­strale di Locarno, pochi minu­ti prima di “affrontare” con Marko Tomic e Ivan Jurkic la lunga notte della Stranocia­da in Città Vecchia. « L’ho detto – ha riconosciuto Grgic – ma era solo per vanteria, non c’era nessun fine particolare ». Una vanteria non del tutto priva di significato, gli ha fatto notare il giudice Mauro Ermani, se è vero come è vero che Grgic pochi giorni prima, con la stessa maglia della Nazionale croata che indossava a Locar­no, aveva litigato con una ra­gazza che ne aveva criticato l’abbigliamento al termine del carnevale di Roveredo; e che la stessa sera, sempre a Rove­redo, aveva sfiorato la rissa, per futilissimi motivi, con un altro giovane all’entrata di una tendina. « Che necessità c’era di rimettere per il carne­vale di Locarno la maglietta croata sapendo che poteva su­scitare i commenti di qualche testa calda? », gli ha chiesto il giudice. Una domanda crucia­le rimasta senza risposta, se non quella inespressa di una “ricerca dello scontro” per provarne l’ebbrezza. Senza te­nere conto, probabilmente, del possibile tragico esito che ha poi avuto. Processo pubblico ma non per tutti, quello ai tre ragazzi accusati di aver ucciso, il 1° feb­braio 2008 al carnevale di Lo­carno, Damiano Tamagni. Ci sono problemi di spazio, nel­l’aula penale del Pretorio di Lo­carno, così il dibattimento di fronte alle Assise criminali, let­teralmente preso d’assalto da un pubblico mai visto, può es­sere seguito (almeno al matti­no) soltanto dai parenti della vittima e degli imputati, oltre che dal nutritissimo stuolo di giornalisti, giunti anche da fuori cantone. La prima giorna­ta di un processo che dovrebbe durarne 7 effettive ( martedì prossimo è prevista la senten­za) ha consentito al giudice Mauro Ermani di fare la cono­scenza con i tre giovani impu­tati. Ivica Grgic ha 22 anni, è nato a Locarno da genitori croati e si è formato come im­bianchino; Marko Tomic di anni ne ha solo 19, ha doppia cittadinanza croata e svizzera ed è in Ticino fin da piccolo. Esattamente come Ivan Jurkic, classe ‘88, l’unico dei tre rispar­miato dall’imputazione più pe­sante – quella di omicidio in­tenzionale – e che sarà quindi giudicato per aggressione. È stato un triplo approccio foriero di molte informazioni interessanti, quello condotto da Ermani nei confronti degli imputati. Molto legato alla fa­miglia – madre, sorellina pic­cola e fratello – è risultato esse­re Ivica Grgic, ragazzo tutt’al­tro che stupido, di buon poten­ziale ma ciononostante ancora senza un diploma. Molte le op­portunità lavorative sprecate, probabilmente soprattutto a causa di una situazione fami­liare complicata. Di Grgic alcu­ni amici e conoscenti hanno parlato come di un duro, che non si lascia prendere in giro. Per altri, invece, « parla molto ma conclude poco », è estrover­so, tende ad essere violento – specialmente quando beve – ma non è cattivo; è uno che si vanta di menar le mani, che fa lo spaccone, in particolare con i più deboli. A suo carico, oltre a precedenti penali di poco conto per furto di biscotti e per violazione della norme della circolazione stradale, anche un paio di episodi non del tutto chiari al carnevale di Maggia, e un altro paio, come s’è visto, al carnevale di Roveredo.
La Corte e le parti
Presidente della Corte di Assise criminali di Locarno è il giudi­ce Mauro Ermani. Giudici a la­tere sono Chiarella Rei-Ferrari e Luca Zorzi. La giuria popola­re è composta da Fabio Borsari, Emma Galfetti, Linda Keller­Starnini, Angelo Ponti, Dome­nico Prandi, Liliana Richner e Doris Roggia. Grgic è tutelato da Francesca Perucchi, Tomic da Yasar Ravi e Jurkic da Luca Marcellini. Avvocato della fa­miglia di Damiano, costituitasi parte civile, è Diego Olgiati. Su Jurkic c’è stato poco da dire, e quel poco in positivo: fi­glio e apprendista modello, è stato amatissimo dai colleghi della Migros di Minusio, consi­derati come « una seconda fami­glia » , tanto da aver ricevuto un’accorata lettera scritta dal giovane dopo l’arresto. Ivan non è mai stato coinvolto in risse o in episodi di violenza. Il profilo più dettagliato, an­che se in parte contraddittorio, è quello del più giovane dei tre, Marko Tomic: apprendista in­compiuto come montatore di impianti sanitari, una sequela di esperienze professionali im­mancabilmente terminate con il licenziamento e un carattere non facile in cui sembra emer­gere la tara dell’immaturità. Arbitro di talento, ragazzo estroverso, pauroso quando è da solo e “galletto” se può farsi forte di un gruppo che lo so­stiene, è stato dipinto come gio­vane aggressivo e vendicativo, che non riesce a controllare l’aggressività, esibizionista e raccontaballe, ma anche, da al­tri ( l’ultimo datore di lavoro, un collega arbitro, e un bari­sta, tutti chiamati dall’avvoca­to Yasar Ravi in qualità di te­sti) come ragazzo tranquillo, sincero, affidabile, sempre di­sponibile, per nulla asociale, che, « come arbitro, sapeva dige­rire le critiche e dava spesso pro­va di collegialità ». Lo stesso Tomic che in carce­re, alla Farera, si è fatto ricono­scere sia per aver parlato del­l’inchiesta, senza permesso, con Grgic – tanto da venire trasferito in isolamento alla Stampa – sia per la reiterata, insistente offerta di informa­zioni su furti da altri già com­messi, o ancora da commette­re, fatta all’ex procuratore Marco Villa e alla procuratri­ce titolare dell’indagine, Rosa Item, in cambio di un ritorno alla Farera. « Perché quell’isola­mento non lo reggevo, mi di­struggeva psicologicamente, ed ero nel pallone », si è giustifica­to Tomic con Ermani. Alla Stampa, da ottobre, è anche Jurkic, mentre dopo la chiusu­ra dell’inchiesta ha chiesto e ottenuto un trasferimento a Lenzburg Grgic: per stare vici­no alla madre, che ora vive ol­tre Gottardo. Dunque nella prima giorna­ta ci si è gradatamente avvici­nati al momento del tragico pe­staggio. Si è saputo che gli ag­gressori si erano trovati con gli amici per bere e fumare, poi erano entrati alla Stranociada dove ancora avevano bevuto qualche birra per carburare. Non molto diversa era stata la serata di Damiano, che pure, nella saletta del Drago Rosso in Via Borghese, vestito da Emo come tutto il gruppo di amici, aveva bevuto qualche birra e qualche “ shot” di rum. Poi si era recato in Piazza Sant’Anto­nio. Per gli ultimi istanti di fe­sta della sua vita.

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‘Vi racconto la mia vita’. Papà Maurizio dà voce a Damiano
Sul sito della Fondazione il toccante resoconto di un viaggio esistenziale troppo breve Dai primi passi alla promozione ad ufficiale. Fino a quella sera in Città Vecchia

Fa venire i brividi, la storia di Damiano Tamagni raccontata da papà Maurizio nel sito della Fondazione intitolata al figlio. Fa venire i brividi perché è la sto­ria di ognuno di noi, con quelle foto un po’ ingiallite della mam­ma che ci abbraccia neonati nel letto d’ospedale, e del papà con quello sguardo inconfondibile, emozionato, incredulo di chi sta assaporando la più grande delle gioie. La storia di Damiano Tama­gni inizia il 28 settembre del 1985, di sera tardi, alla Santa Chiara di Locarno. E prende forma nelle immagini che sono state l’infan­zia di tutti noi: il lettino con le sbarre, il sorriso della nonna, l’e­spressione un po’ persa che ci di­pinge il viso quando in casa arri­va un fratellino; o una sorellina, Deborah, nel caso di Damiano. Sono cose così, quelle che rac­contano di noi. Cose semplici e belle, cose forti che ti entrano dentro, che puoi condividere a pelle perche le hai vissute. Sono quelle tappe obbligate in cui sem­plicemente ritroviamo noi stessi. La maglietta con su Topolino. Il primo cagnolino giunto in fami­glia. E il secondo, perché se no soffre di malinconia. La storia prosegue. Il Damia­no dell’asilo è un bambino in­cantevole, bello, pasciuto, di un biondo brillante, con il suo pullo­verino a righe e il biberon nella mano destra. I ricordi di papà Maurizio as­sumono ora un significato parti­colare, struggente, quasi insoste­nibile. Maurizio racconta del sot­tile filo di ironia che univa padre e figlio, un legame esclusivo, inti­mo. Racconta della particolare sensibilità di Damiano, che mol­to presto si avvicina al Drago Rosso e si appassiona ai giochi di ruolo. Giochi per ragazzi intelli­genti, sensibili, che non hanno vergogna ad usare la testa. E lo sport: dallo sci alla palla­canestro, all’unihockey; «Però decisamente non ero tagliato per gli sport di squadra – scrive Maurizio dando voce al figlio –, non avevo uno spirito di competi­zione ». Considerazioni che Mau­rizio permea d’affetto, e che ren­dono Damiano una persona vera, con le sue passioni e le sue debolezze. Passioni come quella ereditata da papà per la subac­quea. C’è il racconto della prima immersione, nel mare di Spa­gna, e sembra di vederlo, il giova­ne Damiano, che osserva l’esper­to Maurizio, e alla fine lo sgrida perché ha dato confidenza ad un polipetto... Da questo battesimo nascerà un sub provetto, che negli anni raccoglierà alcuni brevetti, ed esperienze indimenticabili come quella nel Mar Rosso. Indimenti­cabile anche perché segnerà il primo faccia a muso con lo squa­lo... Scorrendo le pagine Damiano cresce: arriva il computer (e i co­sti di connessione!), gli estenuan­ti “Lan party” con gli amici, spesso in casa sua; quella casa sempre piena di gente, e «devo ammettere – dice in proposito papà come se a parlare fosse Da­miano – che in queste occasioni i miei genitori erano molto tolle­ranti ». Una piccola, affettuosa ti­rata d’orecchi ricordando quei momenti così felici, intensi, che ritraggono stuoli di amici a torso nudo fra i terminali. C’è anche il Damiano in gri­gioverde, nella storia raccontata da Maurizio. Una carriera mili­tare, giunta al traguardo di uffi­ciale, ripercorsa con tanti parti­colari da indicarne l’importan­za che assumeva per il figlio. In una foto, scattata a Weggis, un Damiano in uniforme per la ceri­monia ufficiali tradisce l’emozio­ne del momento, e papà, «che in principio era un po’ scettico», alla fine «era molto fiero di me». E qui è tutto l’orgoglio di Mauri­zio che riaffiora, per stamparsi fra i frammenti di una vita ter­minata davvero troppo presto. Senza dimenticare gli amici: la forza di Damiano. Amici che nelle foto si abbracciano, fanno i buffoni. Quello davanti si sdraia sul gruppo, e gli altri dietro a far­gli le corna con le dita. Gruppi di amici per il bow­ling, il biliardo, le «memorabili feste di compleanno». E i “rave”, la “Streetparade”. E il carneva­le, che «mi piaceva molto». Al­l’ultimo – c’è scritto – «sono stato all’apertura del Rabadan di Bel­linzona, a Roveredo e alla Stra­nociada, mi ero vestito da Emo: personaggi che si truccano lab­bra e unghie di nero, con i capelli neri e lisci che coprono parte del viso, e che hanno un aspetto triste e abbattuto». «Ed è proprio alla Stranocia­da – scrive Maurizio, scegliendo per Damiano parole che sono for­se un modo per salutare piano – che finisce la mia storia. Avevo molti progetti per il mio futuro ma tutto si è fermato a Locarno, in Via Borghese, la sera del pri­mo febbraio 2008. Il destino ha voluto che incontrassi alcuni in­dividui che hanno voluto cam­biare il corso della mia vita per spedirmi a svolgere una missio­ne molto speciale, nel più grande gioco di ruolo dell’universo».

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