28 gennaio 2009 - Corriere del Ticino

(lo striscione esposto di fronte al Pretorio, ieri sera)


Dieci anni a Tomic e Grgic, 30 mesi a Jurkic

I primi due giudicati colpevoli di omicidio intenzionale, il terzo di aggressione

Dopo 13 ore di camera di consiglio la Corte delle Assise criminali di Locarno, presieduta dal giudice Mauro Ermani, ha condannato ieri sera Marko Tomic e Ivica Grgic alla pena di 10 anni di carcere e Ivan Jurkic a 2 anni e 6 mesi (14 mesi da espiare e 16 sospesi condizional­mente per 3 anni). I primi due sono stati giudi­cati colpevoli di omicidio intenzionale, il terzo di aggressione per aver provocato la morte di Damiano Tamagni. La Corte ha quindi sostanzialmente conferma­to i reati e le richieste di pena formulati dalla procuratrice Rosa Item. Confermate pure le ri­chieste di risarcimento alla parte civile: 175 mila franchi per torto morale e 89 mila per le spese sofferte. Commentando la sentenza il presidente della Corte Mauro Ermani ha sottolineato come i fat­ti che ci si è trovati a giudicare siano stati di una gravità inaudita, azioni che hanno messo in evi­denza un palese disprezzo per la vita umana. Il verdetto è quindi giunto dopo una lunghissi­ma camera di consiglio nel corso della quale i giurati si sono chinati in modo minuzioso sul­le tesi colpevoliste esposte dall’accusa e dal­la parte civile e sulle argomentazioni contrap­poste dai difensori. Un lavoro reso ancora più complesso e delicato anche in considerazione della forte pressione popolare e mediatica che PAGINA A CURA DI LUCA CONTI, OLIVER BROGGINI E MAURO EURO  Gli elementi su cui la Corte ha dovuto chinarsi sono stati molte­plici, emersi nel corso dei vari gior­ni dur­ante i quali si è protratto il di­battimento, iniziato lunedì 19 gen­naio. In particolare, se per Ivan Jur­kic il ruolo avuto nel violento pe­staggio risultava piuttosto defini­to, nel senso che a lui si attribuiva l’avvio della rissa, partita da alcuni spintonamenti dati a Damiano, a cui sono poi seguiti vari colpi alla vittima inferti dallo stesso, da cui l’accusa di aggressione, per Ivica Grgic e Marko Tomic invece, ac­cusati di omicidio intenzionale, il quadro era molto più complesso. Per la pp Rosa Item infatti i due, colpendo Damiano con dei calci violenti quando si trovava indife­so a terra, dovevano essere consa­p­evoli del fatto che con questo mo­do di agire potevano provocare la morte del giovane. Da qui la configurazione del dolo eventuale, cioè appunto il fatto di dover presumere la pericolosità dell’azione commessa, a sostegno dell’omicidio intenzionale, reato quest’ultimo di cui sono appunto stati chiamati a rispondere nell’at­to d’accusa. Dolo eventuale per il quale l’avv. di parte civile Diego Olgiati aveva chiesto alla Corte di valutare anche la possibilità del dolo intenziona­le, cioè una volontà manifesta di uccidere. In tal senso Olgiati aveva pure parlato di un «omicidio ai con­fini con l’assassinio », in considera­zione anche della crudeltà del­l’azione messa a segno che risulta­va per di più priva del benché mi­nimo movente. Per i difensori dei due imputati con la posizione più grave – gli avv. Ya­sar Ravi ha caratterizzato il processo. patrocinatore di Marko Tomic e Francesca Perucchi lega­le di Ivica Grgic – non si poteva pe­rò pa­rlare di consapevolezza di po­ter uccidere e, tantomeno, di vo­lontà di farlo. E ciò per svariati mo­tivi, fra i quali la brevissima durata dell’azione violenta, molto conci­tata e non premeditata, il fatto che non si è agito armati e, inoltre, che non esiste la prova certa che siano stati proprio i calci dati a Damiano al capo a provocarne la torsione anomala che ha portato alla lace­razione dell’arteria intracranica e alla conseguente emorragia mor­tale. A mettere in dubbio la tesi dei calci alla testa quali causa del trau­ma che ha poi provocato l’emorra­gia – tesi questa avallata sia dal pe­rito dell’accusa che della parte ci­vile – ci aveva pensato anche la pe­riz­ia di parte stesa dal professor Fio­ri per conto dell’avvocato di Mar­ko Tomic. Da qui la richiesta dei difensori di considerare anche per Tomic e Grgic il reato di sola aggressionee non di omicidio intenzionale, con la conseguente riduzione della pe­na a un massimo di 3 anni di carce­re. Dal canto suo anche l’avv. Luca Marccellini, difensore di Ivan Jur­kic, aveva domandato per il suo cliente la scarcerazione subito do­po il processo, chiedendo di tra­mutare l’accusa di aggressione in quella di rissa. Una serie di elementi, tutti questi, che hanno appunto determinato una lunga disamina dei fatti da par­t­e della Corte delle Assise crimina­li cittadine, entrata in camera di consiglio ieri mattina poco dopo le 9.30 dopo che il presidente giudi­ce Mauro Ermani aveva posto i quesiti, e rimasta in seduta fino a tarda notte. Una camera di consi­glio protrattasi per 13 ore per poter trovare un accordo sul verdetto.
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IL PUBBLICO

Una lunga e inquieta serata in città Tutto fermo in attesa della sentenza


Neanche il ripetuto rinvio dell’ora fis­sata per la lettura della sentenza – prima le 18, poi le 20, poi le 21, le 22, infine le 22.30 – ha scoraggiato quanti erano de­cisi ad assistere, in prima persona, all’ul­timo atto della vicenda giudiziaria lega­ta all’omicidio di Damiano Tamagni. Sin dal calare della sera, gruppi di gio­vani e meno giovani hanno cominciato a gravitare attorno ai due punti chiave nella geografia del processo: lo storico palazzo del Pretorio – all’interno del qua­le, tuttavia, sono state ammesse solo una cinquantina di persone, tra familiari stretti e rappresentanti della stampa – e il nuovo edificio amministrativo del Can­tone, dove negli scorsi giorni è stata alle­stita una sala video a disposizione del pubblico, per seguire in presa diretta il dibattimento. Pattuglie in posizione Già ben prima delle 20, diverse pattuglie della polizia sono state disposte attorno al perimetro dei due stabili, e ronde di polizia si sono succedute senza interru­zione, pronte per rispondere ad ogni im­previsto. Il primo segnale della enorme attesa per il verdetto della corte è giunto poco dopo le 19, quando – sulla facciata del palazzo collocato esattamente di fronte alla scalinata del Pretorio – è sta­to srotolato uno striscione lungo quasi dieci metri, con la scritta a lettere cubi­tali «Giustizia per Damiano». Un segno della crescente tensione tra il pubblico è poi giunto, poco prima delle 20, quando gli agenti della polizia hanno comunicato, con un’affissione, l’ulterio­re prolungamento del dibattito in came­ra di consiglio. Sotto la scritta «Sentenza non prima delle 22», una mano anoni­ma ha infatti aggiunto, a penna, la paro­la «Vergonia» (sic). Porte aperte alle 22.40 L’assembramento davanti alle porte del­l’edificio amministrativo, in via della Po­sta, è poi cresciuto regolarmente ma con massima tranquillità, fino a vedere oc­cupata buona parte della scalinata; fian­co a fianco, era possibile vedere grup­petti di giovani e giovanissimi, ma an­che persone di mezza età desiderose di accedere alla sala video. Poca, da parte di tutti, la voglia di concedere battute o ri­flessioni alle telecamere delle emittenti cantonali. Al temine dei numerosi rin­vii, è giunto il momento – alle 22.40 – di accedere alla sala; l’apertura delle por­te è stata accompagnata da un’ovazio­ne, in attesa di conoscere la sentenza.

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IL COMMENTO

IL CARNEVALE, IL DOLORE, UNA TOMBA E IL VERDETTO

di EMANUELE GAGLIARDI (Gordola)


Adesso qualcuno andrà a dirlo senz’altro anche a lui, a Damiano, che cosa hanno deciso i giudici. Lo faranno probabilmente i suoi famigliari, gli amici. Lo faranno da­vanti alla tomba, alla sua foto, affrancata alla croce in legno, in silenzio, nel cimitero di Gordola. Fisseranno il volto sere­no di un giovane al quale è stato negato, in un attimo, tutto quanto la notte del venerdì grasso riserva ogni anno a coloro che scendono in strada, nelle piazze, per gustare l’atmosfera del carnevale ed il resto, molto più importante: una vita pos­sibilmente serena con i propri cari, una famiglia. Dialoghi mu­ti, profondi, che ripercorreranno ancora una volta le tappe di una tragica morte e tutto ciò che ne è seguito. I visitatori par­leranno senza muovere le labbra e lui resterà lì ad ascoltare. Un volto sereno, solare che pare non conoscere la violenza. Ognuno racconterà qualche particolare diverso, che lo ha col­pito in questa vicenda. L’onda emozionale che ha suscitato, l’arresto dei quattro giovani coinvolti, con responsabilità di­verse, nell’accaduto; le iniziative sorte per non dimenticare Damiano: le marce silenziose, le fiaccolate, la Fondazione. Senza scordare il processo, anzi i processi, quello avvenuto dentro l’aula penale, troppo piccola per contenere il pub­blico e gli altri, celebrati fuo­ri, in strada, nei bar, su Inter­net, nelle discussioni tra ami­ci, con procuratori pubblici e avvocati improvvisati. Con sen­tenze, senza appello, emesse nello spazio di una discussio­ne. Ma la giustizia si ammini­stra in Tribunale, dando la pos­sibilità agli accusati di difen­dersi. E così Damiano si senti­rà di nuovo raccontare le bor­date sparate dall’accusa e dal­la parte civile e le repliche, puntuali, dei difensori. Chiu­derà gli occhi chi, davanti alla tomba, non riuscirà a fermare il pensiero che correrà impie­tosamente alla scena dell’ag­gressione, della caduta e dei colpi impietosi al capo e si morderà le labbra se non riu­scirà a fermare la commozio­ne. Quello sguardo di Damia­no, senza più luce, rivolto ver­so un cielo che per lui non bril­lava più, sarà difficile da di­menticare per chi non lo ha co­nosciuto anche come amico, come figlio, come ragazzo tran­quillo che studiava per ottene­re un diploma. I colpi al capo, come descritto da alcuni testi­moni, risuoneranno come tuo­ni anche nelle notti stellate. Non solo per chi lo ha avvici­nato quella sera in modo mi­naccioso, ma anche per chi ha assistito, pietrificato, al pestag­gio. Per l’accusa, due degli ag­gressori volevano uccidere, per i difensori no. Chi ha dato il via a tutto è stato accusato di ag­gressione. La procuratrice generale ha chiesto 23 anni e mezzo di car­cere. Per la parte civile l’agire dei due principali imputati ha sfiorato il reato di assassinio. Perché è morto Damiano? I periti sono stati d’accordo su una cosa: la causa della morte è dovuta all’emorragia prodot­ta dalla lacerazione dell’arte­ria vertebrale per un movi­mento brusco e anomalo del capo. Ma quando è avvenuto questo? Damiano guarderà sempre sorridente anche chi davanti alla sua tomba si por­rà questa domanda, ripetuta più volte in aula, quasi a dire: «Non chiedetelo a me». Lui quella sera era sceso in strada per divertirsi, non per morire. La Corte ha deciso. Damiano non ha fatto in tempo a salu­tare la sua giovinezza. È acca­duto tutto in pochi secondi. Gli altri invece, quelli che lo han­no affrontato, avranno tempo per ripensare a come hanno bruciato la loro gioventù, oltre a quella di Damiano, in un at­timo. Si avvicina un nuovo car­nevale. I parenti, gli amici di Damiano faranno tappa al ci­mitero di Gordola, quelli degli imputati al carcere: i primi porteranno fiori, gli altri la biancheria di ricambio. Tutti comunque con il cuore gonfio di dolore. E chi si recherà in parlatorio non potrà non pen­sare, conversando coi propri figli detenuti, per un attimo, a Damiano e al suo ultimo car­nevale. L’ultimo anche per i suoi aggressori.

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