Dieci anni a Tomic e Grgic, 30 mesi a Jurkic
I primi due giudicati colpevoli di omicidio intenzionale, il terzo di aggressione
Dopo 13 ore di camera di consiglio la Corte delle Assise criminali di Locarno, presieduta dal giudice Mauro Ermani, ha condannato ieri sera Marko Tomic e Ivica Grgic alla pena di 10 anni di carcere e Ivan Jurkic a 2 anni e 6 mesi (14 mesi da espiare e 16 sospesi condizionalmente per 3 anni). I primi due sono stati giudicati colpevoli di omicidio intenzionale, il terzo di aggressione per aver provocato la morte di Damiano Tamagni. La Corte ha quindi sostanzialmente confermato i reati e le richieste di pena formulati dalla procuratrice Rosa Item. Confermate pure le richieste di risarcimento alla parte civile: 175 mila franchi per torto morale e 89 mila per le spese sofferte. Commentando la sentenza il presidente della Corte Mauro Ermani ha sottolineato come i fatti che ci si è trovati a giudicare siano stati di una gravità inaudita, azioni che hanno messo in evidenza un palese disprezzo per la vita umana. Il verdetto è quindi giunto dopo una lunghissima camera di consiglio nel corso della quale i giurati si sono chinati in modo minuzioso sulle tesi colpevoliste esposte dall’accusa e dalla parte civile e sulle argomentazioni contrapposte dai difensori. Un lavoro reso ancora più complesso e delicato anche in considerazione della forte pressione popolare e mediatica che PAGINA A CURA DI LUCA CONTI, OLIVER BROGGINI E MAURO EURO Gli elementi su cui la Corte ha dovuto chinarsi sono stati molteplici, emersi nel corso dei vari giorni durante i quali si è protratto il dibattimento, iniziato lunedì 19 gennaio. In particolare, se per Ivan Jurkic il ruolo avuto nel violento pestaggio risultava piuttosto definito, nel senso che a lui si attribuiva l’avvio della rissa, partita da alcuni spintonamenti dati a Damiano, a cui sono poi seguiti vari colpi alla vittima inferti dallo stesso, da cui l’accusa di aggressione, per Ivica Grgic e Marko Tomic invece, accusati di omicidio intenzionale, il quadro era molto più complesso. Per la pp Rosa Item infatti i due, colpendo Damiano con dei calci violenti quando si trovava indifeso a terra, dovevano essere consapevoli del fatto che con questo modo di agire potevano provocare la morte del giovane. Da qui la configurazione del dolo eventuale, cioè appunto il fatto di dover presumere la pericolosità dell’azione commessa, a sostegno dell’omicidio intenzionale, reato quest’ultimo di cui sono appunto stati chiamati a rispondere nell’atto d’accusa. Dolo eventuale per il quale l’avv. di parte civile Diego Olgiati aveva chiesto alla Corte di valutare anche la possibilità del dolo intenzionale, cioè una volontà manifesta di uccidere. In tal senso Olgiati aveva pure parlato di un «omicidio ai confini con l’assassinio », in considerazione anche della crudeltà dell’azione messa a segno che risultava per di più priva del benché minimo movente. Per i difensori dei due imputati con la posizione più grave – gli avv. Yasar Ravi ha caratterizzato il processo. patrocinatore di Marko Tomic e Francesca Perucchi legale di Ivica Grgic – non si poteva però parlare di consapevolezza di poter uccidere e, tantomeno, di volontà di farlo. E ciò per svariati motivi, fra i quali la brevissima durata dell’azione violenta, molto concitata e non premeditata, il fatto che non si è agito armati e, inoltre, che non esiste la prova certa che siano stati proprio i calci dati a Damiano al capo a provocarne la torsione anomala che ha portato alla lacerazione dell’arteria intracranica e alla conseguente emorragia mortale. A mettere in dubbio la tesi dei calci alla testa quali causa del trauma che ha poi provocato l’emorragia – tesi questa avallata sia dal perito dell’accusa che della parte civile – ci aveva pensato anche la perizia di parte stesa dal professor Fiori per conto dell’avvocato di Marko Tomic. Da qui la richiesta dei difensori di considerare anche per Tomic e Grgic il reato di sola aggressionee non di omicidio intenzionale, con la conseguente riduzione della pena a un massimo di 3 anni di carcere. Dal canto suo anche l’avv. Luca Marccellini, difensore di Ivan Jurkic, aveva domandato per il suo cliente la scarcerazione subito dopo il processo, chiedendo di tramutare l’accusa di aggressione in quella di rissa. Una serie di elementi, tutti questi, che hanno appunto determinato una lunga disamina dei fatti da parte della Corte delle Assise criminali cittadine, entrata in camera di consiglio ieri mattina poco dopo le 9.30 dopo che il presidente giudice Mauro Ermani aveva posto i quesiti, e rimasta in seduta fino a tarda notte. Una camera di consiglio protrattasi per 13 ore per poter trovare un accordo sul verdetto.
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IL PUBBLICO
Una lunga e inquieta serata in città Tutto fermo in attesa della sentenza
Neanche il ripetuto rinvio dell’ora fissata per la lettura della sentenza – prima le 18, poi le 20, poi le 21, le 22, infine le 22.30 – ha scoraggiato quanti erano decisi ad assistere, in prima persona, all’ultimo atto della vicenda giudiziaria legata all’omicidio di Damiano Tamagni. Sin dal calare della sera, gruppi di giovani e meno giovani hanno cominciato a gravitare attorno ai due punti chiave nella geografia del processo: lo storico palazzo del Pretorio – all’interno del quale, tuttavia, sono state ammesse solo una cinquantina di persone, tra familiari stretti e rappresentanti della stampa – e il nuovo edificio amministrativo del Cantone, dove negli scorsi giorni è stata allestita una sala video a disposizione del pubblico, per seguire in presa diretta il dibattimento. Pattuglie in posizione Già ben prima delle 20, diverse pattuglie della polizia sono state disposte attorno al perimetro dei due stabili, e ronde di polizia si sono succedute senza interruzione, pronte per rispondere ad ogni imprevisto. Il primo segnale della enorme attesa per il verdetto della corte è giunto poco dopo le 19, quando – sulla facciata del palazzo collocato esattamente di fronte alla scalinata del Pretorio – è stato srotolato uno striscione lungo quasi dieci metri, con la scritta a lettere cubitali «Giustizia per Damiano». Un segno della crescente tensione tra il pubblico è poi giunto, poco prima delle 20, quando gli agenti della polizia hanno comunicato, con un’affissione, l’ulteriore prolungamento del dibattito in camera di consiglio. Sotto la scritta «Sentenza non prima delle 22», una mano anonima ha infatti aggiunto, a penna, la parola «Vergonia» (sic). Porte aperte alle 22.40 L’assembramento davanti alle porte dell’edificio amministrativo, in via della Posta, è poi cresciuto regolarmente ma con massima tranquillità, fino a vedere occupata buona parte della scalinata; fianco a fianco, era possibile vedere gruppetti di giovani e giovanissimi, ma anche persone di mezza età desiderose di accedere alla sala video. Poca, da parte di tutti, la voglia di concedere battute o riflessioni alle telecamere delle emittenti cantonali. Al temine dei numerosi rinvii, è giunto il momento – alle 22.40 – di accedere alla sala; l’apertura delle porte è stata accompagnata da un’ovazione, in attesa di conoscere la sentenza.
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IL COMMENTO
IL CARNEVALE, IL DOLORE, UNA TOMBA E IL VERDETTO
di EMANUELE GAGLIARDI (Gordola)
Adesso qualcuno andrà a dirlo senz’altro anche a lui, a Damiano, che cosa hanno deciso i giudici. Lo faranno probabilmente i suoi famigliari, gli amici. Lo faranno davanti alla tomba, alla sua foto, affrancata alla croce in legno, in silenzio, nel cimitero di Gordola. Fisseranno il volto sereno di un giovane al quale è stato negato, in un attimo, tutto quanto la notte del venerdì grasso riserva ogni anno a coloro che scendono in strada, nelle piazze, per gustare l’atmosfera del carnevale ed il resto, molto più importante: una vita possibilmente serena con i propri cari, una famiglia. Dialoghi muti, profondi, che ripercorreranno ancora una volta le tappe di una tragica morte e tutto ciò che ne è seguito. I visitatori parleranno senza muovere le labbra e lui resterà lì ad ascoltare. Un volto sereno, solare che pare non conoscere la violenza. Ognuno racconterà qualche particolare diverso, che lo ha colpito in questa vicenda. L’onda emozionale che ha suscitato, l’arresto dei quattro giovani coinvolti, con responsabilità diverse, nell’accaduto; le iniziative sorte per non dimenticare Damiano: le marce silenziose, le fiaccolate, la Fondazione. Senza scordare il processo, anzi i processi, quello avvenuto dentro l’aula penale, troppo piccola per contenere il pubblico e gli altri, celebrati fuori, in strada, nei bar, su Internet, nelle discussioni tra amici, con procuratori pubblici e avvocati improvvisati. Con sentenze, senza appello, emesse nello spazio di una discussione. Ma la giustizia si amministra in Tribunale, dando la possibilità agli accusati di difendersi. E così Damiano si sentirà di nuovo raccontare le bordate sparate dall’accusa e dalla parte civile e le repliche, puntuali, dei difensori. Chiuderà gli occhi chi, davanti alla tomba, non riuscirà a fermare il pensiero che correrà impietosamente alla scena dell’aggressione, della caduta e dei colpi impietosi al capo e si morderà le labbra se non riuscirà a fermare la commozione. Quello sguardo di Damiano, senza più luce, rivolto verso un cielo che per lui non brillava più, sarà difficile da dimenticare per chi non lo ha conosciuto anche come amico, come figlio, come ragazzo tranquillo che studiava per ottenere un diploma. I colpi al capo, come descritto da alcuni testimoni, risuoneranno come tuoni anche nelle notti stellate. Non solo per chi lo ha avvicinato quella sera in modo minaccioso, ma anche per chi ha assistito, pietrificato, al pestaggio. Per l’accusa, due degli aggressori volevano uccidere, per i difensori no. Chi ha dato il via a tutto è stato accusato di aggressione. La procuratrice generale ha chiesto 23 anni e mezzo di carcere. Per la parte civile l’agire dei due principali imputati ha sfiorato il reato di assassinio. Perché è morto Damiano? I periti sono stati d’accordo su una cosa: la causa della morte è dovuta all’emorragia prodotta dalla lacerazione dell’arteria vertebrale per un movimento brusco e anomalo del capo. Ma quando è avvenuto questo? Damiano guarderà sempre sorridente anche chi davanti alla sua tomba si porrà questa domanda, ripetuta più volte in aula, quasi a dire: «Non chiedetelo a me». Lui quella sera era sceso in strada per divertirsi, non per morire. La Corte ha deciso. Damiano non ha fatto in tempo a salutare la sua giovinezza. È accaduto tutto in pochi secondi. Gli altri invece, quelli che lo hanno affrontato, avranno tempo per ripensare a come hanno bruciato la loro gioventù, oltre a quella di Damiano, in un attimo. Si avvicina un nuovo carnevale. I parenti, gli amici di Damiano faranno tappa al cimitero di Gordola, quelli degli imputati al carcere: i primi porteranno fiori, gli altri la biancheria di ricambio. Tutti comunque con il cuore gonfio di dolore. E chi si recherà in parlatorio non potrà non pensare, conversando coi propri figli detenuti, per un attimo, a Damiano e al suo ultimo carnevale. L’ultimo anche per i suoi aggressori.
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