27 gennaio 2009 - Corriere del Ticino

Processo Tamagni, la Corte si ritira
La sentenza delle Assise criminali di Locarno è attesa per questa sera
Oggi il settimo e ultimo giorno del dibattimento per l’uccisione di Damia­no – La sentenza in serata Con le arringhe degli avv. Fran­cesca Perucchi, patrocinatrice di Ivica Grgic, edell’avv. Yasar Ravi, difensore di Marko Tomic, si è conclusa ieri pomeriggio la parte dibattimentale del processo per l’uccisione di Damiano Tamagni, avvenuta lo scorso 1. febbraio du­rante il carnevale locarnese. Come noto, per i due principali imputati, Tomic e Grgic, la pp Ro­sa Item­ha chiesto rispettivamen­te 10 anni e 6 mesi e 10 anni di car­cere, domandando la conferma dell’accusa di omicidio intenzio­nale. Per il terzo prevenuto, Ivan Jurkic, invece la pena chiesta è di 3 anni da scontare riconoscendo­gli l’accusa di aggressione. Dal canto loro i difensori si sono bat­tuti per delle riduzioni di pena. Co­sì l’avv. Luca Marcellini, che difen­de Jurkic, chiede la scarcerazione immediata del suo patrocinato; il legale di Grgic 3 anni di carcere per il suo cliente, come pure quello di Tomic. Aggressione e non omici­dio intenzionale il reato da consi­derare. La Corte in serata renderà noto il suo verdetto.
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LE PAROLE DELL’ AVV. YASAR RAVI, DIFENSORE DI MARKO TOMIC
«Una richiesta di pena eccessiva»
«Negli ultimi cento anni, non esiste nel nostro Paese un solo ca­so per il quale, di fronte a percos­se senza la presenza di armi, il Tri­bunale federale abbia ammesso l’omicidio intenzionale per dolo eventuale. In questo processo, l’ac­cusa sta cercando di creare una nuova giurisprudenza, anziché se­guire le regole di quella in vigore». Parole forti, quelle dell’avv. Yasar Ravi – difensore di Marko Tomic –, che nella sua arringa ha punta­to con decisione su concetti tec­nici e giuridici per ridimensiona­re la richiesta di pena, da 10 anni e 6 mesi, formulata dall’accusa. Nella testa degli accusati L’intera valutazione della vicen­da da parte della corte, ha spiega­to il legale, si giocherà sul piano soggettivo, «nella testa degli ac­cusati »; «Tenendo ben presente la presunzione di innocenza, e l’obbligo che ogni dubbio sia in­terpretato a favore degli imputati, dovrete valutare fino a che punto gli aggressori potessero essere co­scienti e avessero il desiderio che i loro atti conducessero alla mor­te della vittima». Più semplicemente:nell’accusare Marko Tomic di avere sferrato col­pi tali da potere uccidere Damia­no Tamagni, è lecito pensare a due scenari con un differente pe­so giuridico. Nel primo, l’aggresso­re era cosciente del pericolo e non se ne curò («Se lo colpisco così può morire? Chi se ne frega»); è questo lo stato d’animo alla base del reato di omicidio intenziona­le per dolo eventuale, ipotizzato dalla procuratrice pubblica Rosa Item a carico di Tomic. Nel secon­do caso – omicidio colposo per negligenza cosciente – l’imputato avrebbe invece sì colpito in piena coscienza, ma valutando come molto bassa («Tanto non muore») la probabilità che i suoi colpi po­tessero essere letali. Su questa se­conda ipotesi, non senza un col­po di scena, si è concentrato l’avv. Yasar Ravi. L’imputazione accettata «Al di là delle disquisizioni legali», ha infatti affermato il difensore di Marko Tomic al termine della sua arringa, «è opinione del mio assi­stito che non ci sarebbe vera giu­stizia per i genitori di Damiano Tamagni, se non fosse possibile attribuire una chiara responsabi­lità per l’accaduto». Da qui, la de­cisione di non opporsi a una con­danna per omicidio colposo per negligenza cosciente, «con una pena non superiore a 4 anni di carcere». Tomic inoltre, «già da mesi ha scritto una lettera di scu­se, che ha deciso di consegnare ai familiari di Damiano Tamagni so­lo dopo la lettura della sentenza». La teoria della probabilità Per sostanziare la richiesta di un cambiamento dell’ipotesi di rea­to, l’avv. Ravi ha – come anticipa­to – posto l’accento sulla proba­bilità che, nel particolare conte­sto di quella sera, la morte della vittima potesse verificarsi; «Si trat­ta di un criterio determinante nel­la prospettiva dell’autore del rea­to ». Un criterio, per la cui valuta­zione il difensore ricordato come i periti medici siano stati concor­di, nel giudicare come «anoma­lo », «estremamente raro» ed «ec­cezionale » il nesso tra i colpi subi­ti e il movimento del collo risul­tato poi fatale a Damiano Tama­gni. «Solo se la probabilità di uc­cidere è alta, agli occhi degli ag­gressori, possiamo imputare loro un dolo eventuale», ha spiegato Ravi: «In caso contrario, la legge ci obbliga chiaramente a sceglie­re la negligenza cosciente». «Volevano solo divertirsi» Un altro punto più volte sottoli­neato dal difensore di Marko To­mic è la famigerata frase «Chi pic­chiamo stasera?», che l’allora 18enne avrebbe pronunciato a inizio serata, prima di incammi­narsi verso la Città Vecchia. «Il presidente della corte Mauro Ermani, nel rivolgersi al mio as­sistito, ha più volte citato questa affermazione, benché il mio assi­stito abbia sempre negato di aver­la pronunciata», ha spiegato Ravi. «In realtà, i tre imputati quella se­ra non avevano nessuna intenzio­ne di aggredire nessuno. Voleva­no solamente divertirsi al Carne­vale cittadino, e ancora pochi mi­nuti prima dell’aggressione era­no nel capannone principale a ballare. I filmati che abbiamo vi­sionato, nel corso del dibattimen­to, non ci mostrano il comporta­mento di tre persone in cerca di qualcuno da picchiare». Incensurato e denigrato Questa affermazione di «norma­lità » è stata ribadita da Ravi an­che nel tratteggiare la personalità del suo assistito. «Tomic era un 18enne incensurato, che è stato pesantemente denigrato in base a testimonianze di persone che ammettono di avere cessato ogni contatto con lui dall’età di 12 an­ni. In realtà, il suo ultimo datore di lavoro si è detto disposto a rias­sumerlo, e non manca chi, anche in quest’aula, ha speso parole di elogio per la sua persona». La questione dei tempi Quanto alla dinamica di quanto avvenuto in via Borghese, l’avv. Ravi ha poi ampiamente com­mentato gli esiti delle varie perizie mediche, sottolineando come «non sia possibile capire con esat­tezza quale colpo abbia provoca­to la lesione fatale a Damiano Ta­magni. «Potrebbe essere stato il pugno sferrato da Ivica Grgic, o addirittura una delle spinte di Ivan Jurkic; in ogni caso, non è affatto certo che sia stato un calcio alla testa di Marko Tomic a causare il decesso». L’avv. Ravi ha poi discus­so la questione della tempistica per riaffermare l’impossibilità di un giudizio chiaro sulle singole responsabilità:«L’intera sequen­za di colpi è durata non più di una ventina di secondi, esattamente l’intervallo che, secondo i periti, trascorre dal momento del colpo fatale a quello dell’arresto cardio­circolatorio ». Non più di 6 anni in carcere Come detto, comunque, oltre al­la richiesta più radicale – pena non superiore a tre anni, per ag­gressione, lesioni semplici e omis­sione di soccorso – il difensore di Tomic non ha escluso l’imputa­zione per omicidio. «E anche nel caso in cui la corte dovesse accet­tare le richieste dell’atto d’accu­sa », ha poi aggiunto, «la pena non dovra essere superiore a sei anni di carcere».
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LO CHIEDE L’ AVV. FRANCESCA PERUCCHI PER IVICA GRGIC
«È aggressione, 3 anni di carcere!»
Tre anni di carcere, assumen­do il reato di aggressione e non di omicidio intenzionale. Questa la richiesta alla Corte dell’avv. Francesca Perucchi ieri mattina al termine della sua arringa in di­fesa di Ivica Grgic, 23 anni, per il quale la pp Rosa Item ha inve­ce proposto 10 anni di reclusio­ne con la conferma dell’accusa di omicidio intenzionale. Un reato, quest’ultimo, che l’avv. Perucchi ha fermamente respin­to per il suo assistito in conside­razione di diversi aspetti. In pri­mo luogo chiedendo il riconosci­mento della scemata responsa­bilità perché Grgic aveva un tas­so alcolico superiore al 2 per mil­le e si era fatto un paio di spinel­li, cosa che non gli avrebbe per­messo di rendersi conto con suf­ficiente lucidità di quanto stava succedendo in quelle manciate di secondi in cui si sono prodot­ti i fatti. Inoltre, l’azione si è svol­ta senza armi, non era premedi­­tata, la dinamica è stata rapidissi­ma, ci si trova di fronte a una per­sona giovane e che ha avuto pro­blemi famigliari, ha già trascorso quasi un anno in carcere, come cittadino straniero dovrà verosi­milmente lasciare la Svizzera e, non da ultimo, il tam-tam media­tico e sui vari blog rappresenta già una sorta di condanna. La pena andrebbe comunque ridotta Anche nel caso in cui la Corte non optasse per la sola aggressione, ma propendesse per un’aggres­sione in concorso ideale con l’omicidio colposo la pena per Grgic, a detta del suo legale, non dovrebbe superare i 4 anni; 4 an­ni e mezzo invece se si decides­se per le lesioni intenzionali gra­vi in concorso con omicidio col­poso e, infine, se la Corte doves­se mantenere il reato ipotizzato nell’atto d'accusa, vale a dire quel­lo di omicidio intenzionale, la pe­na giusta, secondo l’avv. Peruc­chi, sarebbe di 6 anni di carcere e non 10 come chiesto dalla pp Rosa Item. Pressione popolare e mediatica «Non è certo facile – ha esordito ieri mattina l’avv. Francesca Pe­rucchi iniziando la sua arringa – lavorare in un clima di pressione popolare e mediatica come si è verificato in questo procedimen­to. La giustizia esemplare com­porta l’operare con la massima correttezza e prudenza. La giu­stizia deve assolutamente essere equa nel suo procedere e agire e lo potrà essere solo consideran­do i fatti nudi e crudi, libera e svincolata da qualsiasi altro po­tere. Non si può insomma – ha sottolineato ancora l’avvocates­sa – applicare un reato più grave solo per soddisfare la sete popo­lare o mediatica. Occorre, appun­to, attenersi rigorosamente ai fat­ti che portano a stabilire le cor­rette responsabilità di chi li ha commessi. Le leggende metropo­litane e il moltiplicarsi dei pette­golezzi non possono trovare po­sto in queste analisi», ha conclu­so l’avv. Perucchi. Testimonianze da leggere con la massima prudenza «Se si vuole che la giustizia faccia il suo corso correttamente – ha fatto presente ancora l’avv. Fran­cesca Perucchi – bisogna assolu­tamente leggere le numerose te­stimonianze raccolte in questa inchiesta con la massima pruden­za, proprio perché molti dei testi non lo sono stati e si sono sbilan­ciati in valutazioni soggettive. E’ pertanto necessario considerare l’intero contesto in cui si è svolta l’azione. Un’azione, d’altronde, per la quale ci vuole più tempo a raccontarla che a compierla tan­to è stata fulminea». Va ricordato come – ha prosegui­to il difensore – «i tre si erano re­cati al carnevale di Locarno per divertirsi:sono allegri come han­no mostrato i filmati registrati nel capannone e proiettati anche in quest’aula. Non portano armi o altri aggeggi per picchiare. D’al­tronde Ivica Grgic non ha neppu­re precedenti significativi con la giustizia, soprattutto legati a fat­ti di particolare violenza. Non è un rissoso come molti lo hanno voluto dipingere sui blog o sui giornali. E’ vero che al momento in cui è iniziato il pestaggio di Da­miano la situazione sembrava es­sere tranquilla, ma era carneva­le e c’era comunque confusione in quel luogo. Un aspetto che sog­gettivamente poteva anche be­nissimo essere interpretato come una situazione calda e di litigio». Non c’è stata volontà di uccidere «Nessuno nega che il mio cliente ha fatto qualcosa di molto grave, ma non c’era la volontà diretta di uccidere. E neppure – ha rileva­to ancora l’avv. Perucchi – pote­va presumere di farlo, secondo i parametri del dolo eventuale, in quanto il calcio sferrato, col collo del piede, in testa a Damiano non era un calcio forte. Lo stesso Grgic lo ha sempre sostenuto e questa pedata era diretta alla nuca e non al collo, tanto che non ha lascia­to il segno sulla testa della vitti­ma e, d’altronde, neppure sulle scarpe del mio cliente sono state riscontrate tracce di Dna compa­tibili. In tale frangente non pote­va quindi certo immaginare di poter uccidere, per cui non ci tro­viamo di fronte a un omicidio in­tenzionale ». Quando è avvenuta la rottura dell’arteria? Tutti i periti – ha ricordato il di­fensore – sono stati d’accordo nel­l’attribuire la causa della morte di Damiano all’emorragia prodot­ta dalla lacerazione dell’arteria vertebrale per un movimento brusco e anomalo del capo. Ma quando è avvenuto questo? «Sa­rebbe un’errore – ha fatto presen­te l’avv. Perucchi – non considera­re la possibilità, evidenziata nel­la perizia del prof. Fiori, che la rottura dell’arteria possa essersi prodotta quando Damiano era ancora in piedi. Già a quel mo­mento aveva infatti ricevuto di­versi colpi da chi lo stava aggre­dendo e anche lui, nel tentativo di difendersi, potrebbe aver com­piuto movimenti che hanno por­tato alla lacerazione. Un ragione­vole dubbio sul fatto che siano stati unicamente i calci inferti al­la vittima quando si trovava a ter­ra indifesa a provocare il danno mortale – ha concluso l’avv. Pe­rucchi – a questo punto deve sor­gere » .

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