Processo Tamagni, la Corte si ritira
La sentenza delle Assise criminali di Locarno è attesa per questa sera
Oggi il settimo e ultimo giorno del dibattimento per l’uccisione di Damiano – La sentenza in serata Con le arringhe degli avv. Francesca Perucchi, patrocinatrice di Ivica Grgic, edell’avv. Yasar Ravi, difensore di Marko Tomic, si è conclusa ieri pomeriggio la parte dibattimentale del processo per l’uccisione di Damiano Tamagni, avvenuta lo scorso 1. febbraio durante il carnevale locarnese. Come noto, per i due principali imputati, Tomic e Grgic, la pp Rosa Itemha chiesto rispettivamente 10 anni e 6 mesi e 10 anni di carcere, domandando la conferma dell’accusa di omicidio intenzionale. Per il terzo prevenuto, Ivan Jurkic, invece la pena chiesta è di 3 anni da scontare riconoscendogli l’accusa di aggressione. Dal canto loro i difensori si sono battuti per delle riduzioni di pena. Così l’avv. Luca Marcellini, che difende Jurkic, chiede la scarcerazione immediata del suo patrocinato; il legale di Grgic 3 anni di carcere per il suo cliente, come pure quello di Tomic. Aggressione e non omicidio intenzionale il reato da considerare. La Corte in serata renderà noto il suo verdetto.
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LE PAROLE DELL’ AVV. YASAR RAVI, DIFENSORE DI MARKO TOMIC
«Una richiesta di pena eccessiva»
«Negli ultimi cento anni, non esiste nel nostro Paese un solo caso per il quale, di fronte a percosse senza la presenza di armi, il Tribunale federale abbia ammesso l’omicidio intenzionale per dolo eventuale. In questo processo, l’accusa sta cercando di creare una nuova giurisprudenza, anziché seguire le regole di quella in vigore». Parole forti, quelle dell’avv. Yasar Ravi – difensore di Marko Tomic –, che nella sua arringa ha puntato con decisione su concetti tecnici e giuridici per ridimensionare la richiesta di pena, da 10 anni e 6 mesi, formulata dall’accusa. Nella testa degli accusati L’intera valutazione della vicenda da parte della corte, ha spiegato il legale, si giocherà sul piano soggettivo, «nella testa degli accusati »; «Tenendo ben presente la presunzione di innocenza, e l’obbligo che ogni dubbio sia interpretato a favore degli imputati, dovrete valutare fino a che punto gli aggressori potessero essere coscienti e avessero il desiderio che i loro atti conducessero alla morte della vittima». Più semplicemente:nell’accusare Marko Tomic di avere sferrato colpi tali da potere uccidere Damiano Tamagni, è lecito pensare a due scenari con un differente peso giuridico. Nel primo, l’aggressore era cosciente del pericolo e non se ne curò («Se lo colpisco così può morire? Chi se ne frega»); è questo lo stato d’animo alla base del reato di omicidio intenzionale per dolo eventuale, ipotizzato dalla procuratrice pubblica Rosa Item a carico di Tomic. Nel secondo caso – omicidio colposo per negligenza cosciente – l’imputato avrebbe invece sì colpito in piena coscienza, ma valutando come molto bassa («Tanto non muore») la probabilità che i suoi colpi potessero essere letali. Su questa seconda ipotesi, non senza un colpo di scena, si è concentrato l’avv. Yasar Ravi. L’imputazione accettata «Al di là delle disquisizioni legali», ha infatti affermato il difensore di Marko Tomic al termine della sua arringa, «è opinione del mio assistito che non ci sarebbe vera giustizia per i genitori di Damiano Tamagni, se non fosse possibile attribuire una chiara responsabilità per l’accaduto». Da qui, la decisione di non opporsi a una condanna per omicidio colposo per negligenza cosciente, «con una pena non superiore a 4 anni di carcere». Tomic inoltre, «già da mesi ha scritto una lettera di scuse, che ha deciso di consegnare ai familiari di Damiano Tamagni solo dopo la lettura della sentenza». La teoria della probabilità Per sostanziare la richiesta di un cambiamento dell’ipotesi di reato, l’avv. Ravi ha – come anticipato – posto l’accento sulla probabilità che, nel particolare contesto di quella sera, la morte della vittima potesse verificarsi; «Si tratta di un criterio determinante nella prospettiva dell’autore del reato ». Un criterio, per la cui valutazione il difensore ricordato come i periti medici siano stati concordi, nel giudicare come «anomalo », «estremamente raro» ed «eccezionale » il nesso tra i colpi subiti e il movimento del collo risultato poi fatale a Damiano Tamagni. «Solo se la probabilità di uccidere è alta, agli occhi degli aggressori, possiamo imputare loro un dolo eventuale», ha spiegato Ravi: «In caso contrario, la legge ci obbliga chiaramente a scegliere la negligenza cosciente». «Volevano solo divertirsi» Un altro punto più volte sottolineato dal difensore di Marko Tomic è la famigerata frase «Chi picchiamo stasera?», che l’allora 18enne avrebbe pronunciato a inizio serata, prima di incamminarsi verso la Città Vecchia. «Il presidente della corte Mauro Ermani, nel rivolgersi al mio assistito, ha più volte citato questa affermazione, benché il mio assistito abbia sempre negato di averla pronunciata», ha spiegato Ravi. «In realtà, i tre imputati quella sera non avevano nessuna intenzione di aggredire nessuno. Volevano solamente divertirsi al Carnevale cittadino, e ancora pochi minuti prima dell’aggressione erano nel capannone principale a ballare. I filmati che abbiamo visionato, nel corso del dibattimento, non ci mostrano il comportamento di tre persone in cerca di qualcuno da picchiare». Incensurato e denigrato Questa affermazione di «normalità » è stata ribadita da Ravi anche nel tratteggiare la personalità del suo assistito. «Tomic era un 18enne incensurato, che è stato pesantemente denigrato in base a testimonianze di persone che ammettono di avere cessato ogni contatto con lui dall’età di 12 anni. In realtà, il suo ultimo datore di lavoro si è detto disposto a riassumerlo, e non manca chi, anche in quest’aula, ha speso parole di elogio per la sua persona». La questione dei tempi Quanto alla dinamica di quanto avvenuto in via Borghese, l’avv. Ravi ha poi ampiamente commentato gli esiti delle varie perizie mediche, sottolineando come «non sia possibile capire con esattezza quale colpo abbia provocato la lesione fatale a Damiano Tamagni. «Potrebbe essere stato il pugno sferrato da Ivica Grgic, o addirittura una delle spinte di Ivan Jurkic; in ogni caso, non è affatto certo che sia stato un calcio alla testa di Marko Tomic a causare il decesso». L’avv. Ravi ha poi discusso la questione della tempistica per riaffermare l’impossibilità di un giudizio chiaro sulle singole responsabilità:«L’intera sequenza di colpi è durata non più di una ventina di secondi, esattamente l’intervallo che, secondo i periti, trascorre dal momento del colpo fatale a quello dell’arresto cardiocircolatorio ». Non più di 6 anni in carcere Come detto, comunque, oltre alla richiesta più radicale – pena non superiore a tre anni, per aggressione, lesioni semplici e omissione di soccorso – il difensore di Tomic non ha escluso l’imputazione per omicidio. «E anche nel caso in cui la corte dovesse accettare le richieste dell’atto d’accusa », ha poi aggiunto, «la pena non dovra essere superiore a sei anni di carcere».
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LO CHIEDE L’ AVV. FRANCESCA PERUCCHI PER IVICA GRGIC
«È aggressione, 3 anni di carcere!»
Tre anni di carcere, assumendo il reato di aggressione e non di omicidio intenzionale. Questa la richiesta alla Corte dell’avv. Francesca Perucchi ieri mattina al termine della sua arringa in difesa di Ivica Grgic, 23 anni, per il quale la pp Rosa Item ha invece proposto 10 anni di reclusione con la conferma dell’accusa di omicidio intenzionale. Un reato, quest’ultimo, che l’avv. Perucchi ha fermamente respinto per il suo assistito in considerazione di diversi aspetti. In primo luogo chiedendo il riconoscimento della scemata responsabilità perché Grgic aveva un tasso alcolico superiore al 2 per mille e si era fatto un paio di spinelli, cosa che non gli avrebbe permesso di rendersi conto con sufficiente lucidità di quanto stava succedendo in quelle manciate di secondi in cui si sono prodotti i fatti. Inoltre, l’azione si è svolta senza armi, non era premeditata, la dinamica è stata rapidissima, ci si trova di fronte a una persona giovane e che ha avuto problemi famigliari, ha già trascorso quasi un anno in carcere, come cittadino straniero dovrà verosimilmente lasciare la Svizzera e, non da ultimo, il tam-tam mediatico e sui vari blog rappresenta già una sorta di condanna. La pena andrebbe comunque ridotta Anche nel caso in cui la Corte non optasse per la sola aggressione, ma propendesse per un’aggressione in concorso ideale con l’omicidio colposo la pena per Grgic, a detta del suo legale, non dovrebbe superare i 4 anni; 4 anni e mezzo invece se si decidesse per le lesioni intenzionali gravi in concorso con omicidio colposo e, infine, se la Corte dovesse mantenere il reato ipotizzato nell’atto d'accusa, vale a dire quello di omicidio intenzionale, la pena giusta, secondo l’avv. Perucchi, sarebbe di 6 anni di carcere e non 10 come chiesto dalla pp Rosa Item. Pressione popolare e mediatica «Non è certo facile – ha esordito ieri mattina l’avv. Francesca Perucchi iniziando la sua arringa – lavorare in un clima di pressione popolare e mediatica come si è verificato in questo procedimento. La giustizia esemplare comporta l’operare con la massima correttezza e prudenza. La giustizia deve assolutamente essere equa nel suo procedere e agire e lo potrà essere solo considerando i fatti nudi e crudi, libera e svincolata da qualsiasi altro potere. Non si può insomma – ha sottolineato ancora l’avvocatessa – applicare un reato più grave solo per soddisfare la sete popolare o mediatica. Occorre, appunto, attenersi rigorosamente ai fatti che portano a stabilire le corrette responsabilità di chi li ha commessi. Le leggende metropolitane e il moltiplicarsi dei pettegolezzi non possono trovare posto in queste analisi», ha concluso l’avv. Perucchi. Testimonianze da leggere con la massima prudenza «Se si vuole che la giustizia faccia il suo corso correttamente – ha fatto presente ancora l’avv. Francesca Perucchi – bisogna assolutamente leggere le numerose testimonianze raccolte in questa inchiesta con la massima prudenza, proprio perché molti dei testi non lo sono stati e si sono sbilanciati in valutazioni soggettive. E’ pertanto necessario considerare l’intero contesto in cui si è svolta l’azione. Un’azione, d’altronde, per la quale ci vuole più tempo a raccontarla che a compierla tanto è stata fulminea». Va ricordato come – ha proseguito il difensore – «i tre si erano recati al carnevale di Locarno per divertirsi:sono allegri come hanno mostrato i filmati registrati nel capannone e proiettati anche in quest’aula. Non portano armi o altri aggeggi per picchiare. D’altronde Ivica Grgic non ha neppure precedenti significativi con la giustizia, soprattutto legati a fatti di particolare violenza. Non è un rissoso come molti lo hanno voluto dipingere sui blog o sui giornali. E’ vero che al momento in cui è iniziato il pestaggio di Damiano la situazione sembrava essere tranquilla, ma era carnevale e c’era comunque confusione in quel luogo. Un aspetto che soggettivamente poteva anche benissimo essere interpretato come una situazione calda e di litigio». Non c’è stata volontà di uccidere «Nessuno nega che il mio cliente ha fatto qualcosa di molto grave, ma non c’era la volontà diretta di uccidere. E neppure – ha rilevato ancora l’avv. Perucchi – poteva presumere di farlo, secondo i parametri del dolo eventuale, in quanto il calcio sferrato, col collo del piede, in testa a Damiano non era un calcio forte. Lo stesso Grgic lo ha sempre sostenuto e questa pedata era diretta alla nuca e non al collo, tanto che non ha lasciato il segno sulla testa della vittima e, d’altronde, neppure sulle scarpe del mio cliente sono state riscontrate tracce di Dna compatibili. In tale frangente non poteva quindi certo immaginare di poter uccidere, per cui non ci troviamo di fronte a un omicidio intenzionale ». Quando è avvenuta la rottura dell’arteria? Tutti i periti – ha ricordato il difensore – sono stati d’accordo nell’attribuire la causa della morte di Damiano all’emorragia prodotta dalla lacerazione dell’arteria vertebrale per un movimento brusco e anomalo del capo. Ma quando è avvenuto questo? «Sarebbe un’errore – ha fatto presente l’avv. Perucchi – non considerare la possibilità, evidenziata nella perizia del prof. Fiori, che la rottura dell’arteria possa essersi prodotta quando Damiano era ancora in piedi. Già a quel momento aveva infatti ricevuto diversi colpi da chi lo stava aggredendo e anche lui, nel tentativo di difendersi, potrebbe aver compiuto movimenti che hanno portato alla lacerazione. Un ragionevole dubbio sul fatto che siano stati unicamente i calci inferti alla vittima quando si trovava a terra indifesa a provocare il danno mortale – ha concluso l’avv. Perucchi – a questo punto deve sorgere » .
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