PROCESSO TAMAGNI All’origine dell’omicidio di Locarno un’assurda concatenazione di circostanze
Adesso la corte è sicura: Damiano vittima “per caso”
di LUCA PELLONI e PATRICK MANCINI
Una giornata dura. Da groppo in gola. Ieri, nell’aula del Pretorio di Locarno, il giudice Mauro Ermani ha ricostruito l’uccisione di Damiano Tamagni al carnevale “La Stranociada”, venerdì 1° febbraio 2008. Sviscerando ben 15 “segni” evidenti delle percosse rimediate dal giovane, riscontrati grazie agli esami autoptici. Il presidente della corte ha poi rievocato, secondo per secondo, i singoli colpi inferti dai tre imputati. Grande la commozione dei genitori del 22enne di Gordola. Genitori uniti, che si consolano a vicenda, e che continuano a dimostrare una forza fuori dal comune. È stata una giornata da incubo anche per le famiglie degli imputati, che hanno sentito, nei particolari, gli atti commessi dai loro cari. La tensione era alta, c’è stato anche un screzio nei corridoi. Damiano non c’entrava nulla. La vera certezza che emerge al termine del secondo giorno del processo Tamagni è questa. Damiano era presente in via Borghese perché leader positivo, buono. Come era presente anche un altro “leader”, conosciuto poiché rissoso. Entrambi però erano riusciti a tranquillizzare una situazione potenzialmente pericolosa. Con la quale i tre imputati non c’entravano nulla. E qui scatta il delirio, che nasce da un errore, e che finisce in tragedia. Due gruppi si erano infatti trovati a contatto dopo che un amico di Damiano si era scontrato con il minorenne ticinese implicato nel dramma. Ma la situazione era destinata a concludersi ben presto. Invece, esplode l’assurdo pestaggio, che gli stessi imputati non hanno saputo spiegare con un motivo plausibile. «Tomic, ha dormito bene? Le è tornata la memoria?» È la battuta, tagliente, con cui il presidente Mauro Ermani ha aperto la mattinata. Facendo una chiara allusione ai vuoti di memoria dei tre accusati. Sui racconti di Marko Tomic, 19 anni, Ivica Grgic (23) e, in parte, Ivan Jurkic (20) continuano a esserci troppi lati oscuri. Dettagli che non collimano, particolari che non tornano. Perché Grgic continua a sostenere di avere colpito Damiano con un pugno violento sulla guancia sinistra quando i medici non hanno riscontrato alcuna ferita in quella parte del volto dello sfortunato ragazzo? Perché Jurkic ha aggredito Damiano che, in via Borghese, assisteva semplicemente alla discussione, peraltro pacifica, tra due gruppi? Oggi, mercoledì, il processo sarà dedicato alle perizie medico legali.
***
L’amico «Ma quante bugie...»
«Quante bugie sono state dette in un anno ». Fabrizio Finocchiaro era un amico di Damiano. E ieri era presente tra il pubblico in aula. «Venire qui – spiega – e constatare che ci sono ancora così tante contraddizioni nei racconti dei protagonisti, mi fa male». Soffre in silenzio, Fabrizio. Come lui tanti altri amici di Damiano che stanno aspettando la sentenza della corte. Solo alcuni di loro sono riusciti ad assistere ai primi due giorni di processo. «Le autorità ticinesi hanno perso una grande occasione – sottolinea –. Questo processo poteva essere davvero educativo per i giovani. Bisognava fare in modo che tutti potessero assistervi. Invece si svolge in una sala stretta in cui ci stanno poche persone. Molti miei amici sono rimasti chiusi fuori dalla porta». Poi, Fabrizio, torna sulle testimonianze di Ivan Jurkic, Marko Tomic e Ivica Grgic. «La verità – ammette – fatica a venire a galla. I tre accusati dovrebbero ammettere i fatti. Così potrebbero magari anche ricevere uno sconto di pena».
***
Aggredito senza un motivo
Sono da poco passate le nove e mezzo. In aula si spengono le luci. Sullo schermo scorrono le immagini riprese in un capannone in Piazza delle Corporazioni da una telecamera a circuito chiuso una manciata di minuti prima del dramma. È venerdì 1° febbraio 2008. Manca poco a mezzanotte. Marko Tomic, Ivica Grgic e Ivan Jurkic ballano, si divertono. È la prima volta che i tre accusati vedono il filmato. I loro sguardi sono impietriti.
I due gruppi
Poi, il giudice prende la parola. Elenca le numerose (ben quindici!) lesioni riscontrate dagli esperti della scientifica sul corpo di Damiano. Subito dopo rievoca, facendo leva sulle numerose testimonianze raccolte, i fatti. Mentre Tomic, Grgic e Jurkic se la spassano nel capannone, all’esterno un amico di Damiano, alterato dall’alcol, pesta un piede a un minorenne ticinese. Lo stesso minorenne che oggi è in carcere per avere avuto un ruolo nella morte del giovane di Gordola. Nasce una discussione e si formano due gruppi ben distinti. Le parole volano. Ma non si arriva alle mani. Poco dopo in via Borghese arriva, su chiamata, un ragazzo, un tipo rissoso e piuttosto violento. Un vero leader, che stavolta, contrariamente alle sue abitudini, fa da paciere.
Lo scherzo del destino
L’amico di Damiano è ubriaco e piange, lamentandosi ad alta voce. In quel momento arrivano Damiano e un altro amico. Se ne stanno in disparte, come semplici spettatori. Tra i due gruppi, nonostante le scintille iniziali, non sembra esserci particolare tensione. Tutt’intorno la “Stranociada” impazza. La gente festeggia. C’è confusione in via Borghese. Dalla folla sbucano Tomic, Grgic e Jurkic. «Guarda là», esclama Tomic rimarcando la presenza del ragazzo arcinoto anche alle autorità per essere rissoso. Tanto che la polizia, in un primo momento, aveva arrestato proprio lui per l’efferato gesto. Di fronte a lui c’è Damiano. I due parlano, tranquillamente. La situazione si sta per risolvere.
Dall’errore al delirio
Jurkic si avvicina a Damiano e con la mano lo spinge. «Vai via», gli dice. Damiano è sorpreso. Quasi meccanicamente dopo aver fatto un passo indietro si riavvicina a Jurkic che lo spinge una seconda volta. E poi una terza. In via Borghese c’è un gran via vai di gente. «Volevo allontanare Damiano dal ragazzo manesco – precisa Jurkic –. È più facile allontanare venti persone, piuttosto che quel tipo». Anche se la situazione non era di pericolo. Ermani, dunque, non gli crede: «Il pericolo è costituito dal ragazzo manesco e si picchia l’altro?». Gli amici di Damiano non fanno in tempo a realizzare quanto sta accadendo. La tragedia si gioca sul filo dei secondi. Mentre Damiano viene spintonato per la terza volta, arriva Marko Tomic e lo colpisce al volto. «Di striscio», puntualizza lui. Il seguito è ancora più confuso. Anche perché i tre accusati fanno a gara nel non ricordare. Grgic sostiene con fermezza di avere colpito Damiano con un violento pugno sulla guancia. I medici, tuttavia, su quella parte del volto non hanno trovato alcuna traccia del colpo. «Con tutto il rispetto per i medici, io l’ho davvero colpito lì», ripete Grcic. Un’insistenza surreale. Che, tuttavia, una spiegazione logica ce l’ha. È, infatti, scientificamente assodato che ad avere causato la morte di Damiano è stato un calcio alla nuca. Non un pugno. «Io sono rimasto indietro – afferma lo stesso 23enne –. Tomic lo ha colpito. Poi ho tentato di separarli, ma Damiano mi ha tirato un pugno a sua volta. Allora l’ho colpito anche io». Damiano quel pugno non lo ha mai tirato. «Non c’è un teste che parli di questo gesto», commenta Ermani. Emerge poi che il 22enne di Gordola, forse un po’ stordito, stava solo gesticolando. Il pugno di Damiano non c’è. E nemmeno quello di Grgic. Damiano cade a terra, per un calcio. Forse di Tomic, che ne piazza anche un secondo, sul fianco. Damiano è indifeso. Scatta il delirio. «Perché ha sferrato quei colpi contro una persona che non la stava aggredendo?», ha chiesto Ermani a Tomic. «Non ne ho idea», risponde. «Allora lei è una persona pericolosa, perché ha reazioni imprevedibili alle quali non sa dare una spiegazione», commenta Ermani. «Chi mi garantisce che non lo rifarà? Anche Jurkic è pericoloso, per gli stessi motivi». A questo punto interviene nella rissa il minorenne ticinese, con dei calci. La sua situazione è ancora da definire.
Calci letali
Damiano è a terra, parallelo a via Borghese con la testa verso piazza Sant’Antonio e il volto rivolto verso il Drago Rosso. Cerca di proteggersi. Grgic tira il calcio per primo, poi Tomic. «Gli ho tirato un calcio non forte», afferma il primo, che continua invece a sostenere che il pugno sferrato fosse potente. «Perché è più comodo togliere l’attenzione dal calcio», commenta il giudice. Un calcio in testa che ha impressionato i testimoni, i quali dicono di avere sentito un rumore sconvolgente. Un colpo, come quello “caricato” da Tomic, sferrato con la stessa violenza con cui si colpisce un pallone.
***
Una fuga dalle responsabilità
«Quando mi sono trovato sopra Damiano e vedevo i suoi piedi, ho percepito ancora qualcuno che gli ha sferrato un calcio. Mi sono girato e con la coda dell’occhio ho visto Grgic allontanarsi ». Sono parole, pesanti, di un testimone. Damiano è esanime, con gli occhi all’indietro. «Era in coma, oppure morto », hanno pensato i tre. Ma si allontano. Grgic esclama: «Cosa ho combinato! ». E Tomic: «Se l’è cercata». Sono nel capannone centrale. I tre incontrano il minorenne ticinese. Si parlano. Poi fuggono, uscendo verso l’ospedale. Grgic toglie la maglia, per paura di essere riconosciuto. Poi la rimetterà. Sono nei pressi della stazione. Jurkic va a casa. Sarà arrestato alle 4 di mattina. Tomic e Grgic si recano invece al carnevale di Bellinzona. Scendendo dal treno vedono degli agenti, che non li fermano. «Allora ho pensato che Damiano non fosse troppo grave», ha spiegato Grgic. Vanno alla discoteca Zoo, per qualche ora. Parlano dell’accaduto con degli amici. I due si perdono di vista. Grgic rientra sabato mattina con il treno delle 6.23. Durante il viaggio riceve una telefonata della polizia, che lo arresta nei pressi di casa. Tomic, invece, prende il treno delle 5.40. Ha il cellulare scarico. Si fa prestare una batteria. Trova 20 chiamate da casa. La polizia lo cerca. Scende a Locarno, si dirige verso casa ma poi, per paura, torna a Locarno. Verrà fermato nei pressi della stazione.
***
Una seconda aula
L’aula del pretorio di Locarno si è dimostrata, sin da lunedì, troppo piccola per accogliere tutto il pubblico. I media sono presenti in forza. Parenti, amici e anche semplici “curiosi” si accalcano davanti alla porta d’entrata. Ma tutti non ci stanno. Molti devono rimanere fuori. Così, forse già da questo pomeriggio, ma sicuramente da domani mattina, sarà allestita una seconda aula, al primo piano del Pretorio, nella quale sarà proiettato a circuito chiuso il dibattimento. Una soluzione concessa dalla legge, nonostante vi sia il divieto di filmare il processo, grazie al consenso delle parti.
***
Il commento
Quei tre non hanno provato alcuna emozione?
di GRAZIANO MARTIGNONI
In questi primi giorni di dibattimento si è cercato di legare la personalità dei giovani imputati con la complessa dinamica di quella fatale sera di carnevale. Molti gli elementi che meriterebbero un esame approfondito. Tra questi ve ne sono due di centrale importanza. Il primo riguarda la scelta del tutto casuale della vittima, scelto tra i giovani presenti sulla scena senza nemmeno conoscerlo ma trascinato velocemente in una orgia di brutale violenza. La vittima innocente trasformata in un corpo senza volto e senza nome su cui scaricare proprio nel momento della sua più totale impotenza tutta la rabbia e la frustrazione degli aggressori. La seconda é la questione del potere nel tentativo di affermare follemente chi fosse il più forte , il più potente. In personalità probabilmente abitate da un Io fragile e facilmente feribile e da un controllo precario degli impulsi si realizza sovente un cortocircuito tra il pensare e l’agire , in cui il pensare e l’esame di realtà può venire momentaneamente sospeso e cancellato dal puro gesto violento spesso fine a se stesso. Un’identità eccitata e grandiosa prende il sopravvento dando l’impressione temporanea della potenza assoluta sull’altro e sul mondo. Ma al di là delle ineludibili responsabilità individuali quale è il paesaggio sociale e motivo di questa violenza, di questa perdita del controllo su di sé nell’apparente realizzazione di un potere assoluto? Vi è infatti nelle intercapedini della nostra quotidianità un bisogno crescente di sentirsi eccitati per sentirsi vivi, imprigionati in cortocircuiti di potenza-impotenza, che vediamo a volte tracimare, impazzire travolgendo crudelmente in atti senza senso la vita stessa. Viviamo in un tempo oramai, che lega, nel mondo giovanile (ma non solo), la ricerca eccitata di forti emozioni, che sembra dilagare tanto da divenire comportamento normale, alla crescente “anestesia conformi-stica”, alla noia, che scolora il mondo e le relazioni tra gli uomini. Questo sembrano i colori contraddittori e accecanti, le figure delle terre del Niente , che, come visitors abitano già tra di noi senza che nemmeno ce ne accorgiamo, perché adattativamente mescolati alla più normale normalità. Terre, che “manovrano” i propri abitanti verso comportamenti sempre più obbligati. Ma perché le “terre del Niente” che suscitano questa violenza identitaria e di cui la cultura dovrebbe essere “terapia”, sono rimaste così senza tutela e i loro “demoni di follia” lasciati dilagare oramai senza controllo? Che cosa ci abbandona così impotenti e nudi di fronte alla loro presenza? Che cosa è mutato nel “giudice” che portiamo dentro di noi o nel principio di autorità, che la società espelle come un residuo di un passato oscurantista e che tende a trattare sempre più in molti campi il limite tra lecito e illecito come una variabile della psicologia individuale? Queste le domande che forse poco avranno a che fare direttamente con il Processo ma che non possiamo evitare, come se, al di là del necessario silenzio verso il senso tragico e singolare di questi accadimenti, qualcosa di un ordine più generale ci inquietasse. Molte sono le ragioni di questa mutazione profonda del sentire il mondo e se stessi. È come se l’interazione umana, mai stata così incessante grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, fosse divenuta vieppiù una interazione senza contatto, senza corpi , senza tempo e spazio e spesso in perdita d’anima, in cui vivere e sentire la vita, senza il sapore e il profumo di una presenza umana. Corpi oramai abitatori dell’Ovunque e dell’Attimo, che in una sorta di “lobotomia emozionale”, sono resi velocemente smemorati e indifferenti, così da poter passare velocemente dall’atto violento alla più normale indifferenza e tornare ad una quotidianità senza colpa e senza rimorso.
Adesso la corte è sicura: Damiano vittima “per caso”
di LUCA PELLONI e PATRICK MANCINI
Una giornata dura. Da groppo in gola. Ieri, nell’aula del Pretorio di Locarno, il giudice Mauro Ermani ha ricostruito l’uccisione di Damiano Tamagni al carnevale “La Stranociada”, venerdì 1° febbraio 2008. Sviscerando ben 15 “segni” evidenti delle percosse rimediate dal giovane, riscontrati grazie agli esami autoptici. Il presidente della corte ha poi rievocato, secondo per secondo, i singoli colpi inferti dai tre imputati. Grande la commozione dei genitori del 22enne di Gordola. Genitori uniti, che si consolano a vicenda, e che continuano a dimostrare una forza fuori dal comune. È stata una giornata da incubo anche per le famiglie degli imputati, che hanno sentito, nei particolari, gli atti commessi dai loro cari. La tensione era alta, c’è stato anche un screzio nei corridoi. Damiano non c’entrava nulla. La vera certezza che emerge al termine del secondo giorno del processo Tamagni è questa. Damiano era presente in via Borghese perché leader positivo, buono. Come era presente anche un altro “leader”, conosciuto poiché rissoso. Entrambi però erano riusciti a tranquillizzare una situazione potenzialmente pericolosa. Con la quale i tre imputati non c’entravano nulla. E qui scatta il delirio, che nasce da un errore, e che finisce in tragedia. Due gruppi si erano infatti trovati a contatto dopo che un amico di Damiano si era scontrato con il minorenne ticinese implicato nel dramma. Ma la situazione era destinata a concludersi ben presto. Invece, esplode l’assurdo pestaggio, che gli stessi imputati non hanno saputo spiegare con un motivo plausibile. «Tomic, ha dormito bene? Le è tornata la memoria?» È la battuta, tagliente, con cui il presidente Mauro Ermani ha aperto la mattinata. Facendo una chiara allusione ai vuoti di memoria dei tre accusati. Sui racconti di Marko Tomic, 19 anni, Ivica Grgic (23) e, in parte, Ivan Jurkic (20) continuano a esserci troppi lati oscuri. Dettagli che non collimano, particolari che non tornano. Perché Grgic continua a sostenere di avere colpito Damiano con un pugno violento sulla guancia sinistra quando i medici non hanno riscontrato alcuna ferita in quella parte del volto dello sfortunato ragazzo? Perché Jurkic ha aggredito Damiano che, in via Borghese, assisteva semplicemente alla discussione, peraltro pacifica, tra due gruppi? Oggi, mercoledì, il processo sarà dedicato alle perizie medico legali.
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L’amico «Ma quante bugie...»
«Quante bugie sono state dette in un anno ». Fabrizio Finocchiaro era un amico di Damiano. E ieri era presente tra il pubblico in aula. «Venire qui – spiega – e constatare che ci sono ancora così tante contraddizioni nei racconti dei protagonisti, mi fa male». Soffre in silenzio, Fabrizio. Come lui tanti altri amici di Damiano che stanno aspettando la sentenza della corte. Solo alcuni di loro sono riusciti ad assistere ai primi due giorni di processo. «Le autorità ticinesi hanno perso una grande occasione – sottolinea –. Questo processo poteva essere davvero educativo per i giovani. Bisognava fare in modo che tutti potessero assistervi. Invece si svolge in una sala stretta in cui ci stanno poche persone. Molti miei amici sono rimasti chiusi fuori dalla porta». Poi, Fabrizio, torna sulle testimonianze di Ivan Jurkic, Marko Tomic e Ivica Grgic. «La verità – ammette – fatica a venire a galla. I tre accusati dovrebbero ammettere i fatti. Così potrebbero magari anche ricevere uno sconto di pena».
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Aggredito senza un motivo
Sono da poco passate le nove e mezzo. In aula si spengono le luci. Sullo schermo scorrono le immagini riprese in un capannone in Piazza delle Corporazioni da una telecamera a circuito chiuso una manciata di minuti prima del dramma. È venerdì 1° febbraio 2008. Manca poco a mezzanotte. Marko Tomic, Ivica Grgic e Ivan Jurkic ballano, si divertono. È la prima volta che i tre accusati vedono il filmato. I loro sguardi sono impietriti.
I due gruppi
Poi, il giudice prende la parola. Elenca le numerose (ben quindici!) lesioni riscontrate dagli esperti della scientifica sul corpo di Damiano. Subito dopo rievoca, facendo leva sulle numerose testimonianze raccolte, i fatti. Mentre Tomic, Grgic e Jurkic se la spassano nel capannone, all’esterno un amico di Damiano, alterato dall’alcol, pesta un piede a un minorenne ticinese. Lo stesso minorenne che oggi è in carcere per avere avuto un ruolo nella morte del giovane di Gordola. Nasce una discussione e si formano due gruppi ben distinti. Le parole volano. Ma non si arriva alle mani. Poco dopo in via Borghese arriva, su chiamata, un ragazzo, un tipo rissoso e piuttosto violento. Un vero leader, che stavolta, contrariamente alle sue abitudini, fa da paciere.
Lo scherzo del destino
L’amico di Damiano è ubriaco e piange, lamentandosi ad alta voce. In quel momento arrivano Damiano e un altro amico. Se ne stanno in disparte, come semplici spettatori. Tra i due gruppi, nonostante le scintille iniziali, non sembra esserci particolare tensione. Tutt’intorno la “Stranociada” impazza. La gente festeggia. C’è confusione in via Borghese. Dalla folla sbucano Tomic, Grgic e Jurkic. «Guarda là», esclama Tomic rimarcando la presenza del ragazzo arcinoto anche alle autorità per essere rissoso. Tanto che la polizia, in un primo momento, aveva arrestato proprio lui per l’efferato gesto. Di fronte a lui c’è Damiano. I due parlano, tranquillamente. La situazione si sta per risolvere.
Dall’errore al delirio
Jurkic si avvicina a Damiano e con la mano lo spinge. «Vai via», gli dice. Damiano è sorpreso. Quasi meccanicamente dopo aver fatto un passo indietro si riavvicina a Jurkic che lo spinge una seconda volta. E poi una terza. In via Borghese c’è un gran via vai di gente. «Volevo allontanare Damiano dal ragazzo manesco – precisa Jurkic –. È più facile allontanare venti persone, piuttosto che quel tipo». Anche se la situazione non era di pericolo. Ermani, dunque, non gli crede: «Il pericolo è costituito dal ragazzo manesco e si picchia l’altro?». Gli amici di Damiano non fanno in tempo a realizzare quanto sta accadendo. La tragedia si gioca sul filo dei secondi. Mentre Damiano viene spintonato per la terza volta, arriva Marko Tomic e lo colpisce al volto. «Di striscio», puntualizza lui. Il seguito è ancora più confuso. Anche perché i tre accusati fanno a gara nel non ricordare. Grgic sostiene con fermezza di avere colpito Damiano con un violento pugno sulla guancia. I medici, tuttavia, su quella parte del volto non hanno trovato alcuna traccia del colpo. «Con tutto il rispetto per i medici, io l’ho davvero colpito lì», ripete Grcic. Un’insistenza surreale. Che, tuttavia, una spiegazione logica ce l’ha. È, infatti, scientificamente assodato che ad avere causato la morte di Damiano è stato un calcio alla nuca. Non un pugno. «Io sono rimasto indietro – afferma lo stesso 23enne –. Tomic lo ha colpito. Poi ho tentato di separarli, ma Damiano mi ha tirato un pugno a sua volta. Allora l’ho colpito anche io». Damiano quel pugno non lo ha mai tirato. «Non c’è un teste che parli di questo gesto», commenta Ermani. Emerge poi che il 22enne di Gordola, forse un po’ stordito, stava solo gesticolando. Il pugno di Damiano non c’è. E nemmeno quello di Grgic. Damiano cade a terra, per un calcio. Forse di Tomic, che ne piazza anche un secondo, sul fianco. Damiano è indifeso. Scatta il delirio. «Perché ha sferrato quei colpi contro una persona che non la stava aggredendo?», ha chiesto Ermani a Tomic. «Non ne ho idea», risponde. «Allora lei è una persona pericolosa, perché ha reazioni imprevedibili alle quali non sa dare una spiegazione», commenta Ermani. «Chi mi garantisce che non lo rifarà? Anche Jurkic è pericoloso, per gli stessi motivi». A questo punto interviene nella rissa il minorenne ticinese, con dei calci. La sua situazione è ancora da definire.
Calci letali
Damiano è a terra, parallelo a via Borghese con la testa verso piazza Sant’Antonio e il volto rivolto verso il Drago Rosso. Cerca di proteggersi. Grgic tira il calcio per primo, poi Tomic. «Gli ho tirato un calcio non forte», afferma il primo, che continua invece a sostenere che il pugno sferrato fosse potente. «Perché è più comodo togliere l’attenzione dal calcio», commenta il giudice. Un calcio in testa che ha impressionato i testimoni, i quali dicono di avere sentito un rumore sconvolgente. Un colpo, come quello “caricato” da Tomic, sferrato con la stessa violenza con cui si colpisce un pallone.
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Una fuga dalle responsabilità
«Quando mi sono trovato sopra Damiano e vedevo i suoi piedi, ho percepito ancora qualcuno che gli ha sferrato un calcio. Mi sono girato e con la coda dell’occhio ho visto Grgic allontanarsi ». Sono parole, pesanti, di un testimone. Damiano è esanime, con gli occhi all’indietro. «Era in coma, oppure morto », hanno pensato i tre. Ma si allontano. Grgic esclama: «Cosa ho combinato! ». E Tomic: «Se l’è cercata». Sono nel capannone centrale. I tre incontrano il minorenne ticinese. Si parlano. Poi fuggono, uscendo verso l’ospedale. Grgic toglie la maglia, per paura di essere riconosciuto. Poi la rimetterà. Sono nei pressi della stazione. Jurkic va a casa. Sarà arrestato alle 4 di mattina. Tomic e Grgic si recano invece al carnevale di Bellinzona. Scendendo dal treno vedono degli agenti, che non li fermano. «Allora ho pensato che Damiano non fosse troppo grave», ha spiegato Grgic. Vanno alla discoteca Zoo, per qualche ora. Parlano dell’accaduto con degli amici. I due si perdono di vista. Grgic rientra sabato mattina con il treno delle 6.23. Durante il viaggio riceve una telefonata della polizia, che lo arresta nei pressi di casa. Tomic, invece, prende il treno delle 5.40. Ha il cellulare scarico. Si fa prestare una batteria. Trova 20 chiamate da casa. La polizia lo cerca. Scende a Locarno, si dirige verso casa ma poi, per paura, torna a Locarno. Verrà fermato nei pressi della stazione.
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Una seconda aula
L’aula del pretorio di Locarno si è dimostrata, sin da lunedì, troppo piccola per accogliere tutto il pubblico. I media sono presenti in forza. Parenti, amici e anche semplici “curiosi” si accalcano davanti alla porta d’entrata. Ma tutti non ci stanno. Molti devono rimanere fuori. Così, forse già da questo pomeriggio, ma sicuramente da domani mattina, sarà allestita una seconda aula, al primo piano del Pretorio, nella quale sarà proiettato a circuito chiuso il dibattimento. Una soluzione concessa dalla legge, nonostante vi sia il divieto di filmare il processo, grazie al consenso delle parti.
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Il commento
Quei tre non hanno provato alcuna emozione?
di GRAZIANO MARTIGNONI
In questi primi giorni di dibattimento si è cercato di legare la personalità dei giovani imputati con la complessa dinamica di quella fatale sera di carnevale. Molti gli elementi che meriterebbero un esame approfondito. Tra questi ve ne sono due di centrale importanza. Il primo riguarda la scelta del tutto casuale della vittima, scelto tra i giovani presenti sulla scena senza nemmeno conoscerlo ma trascinato velocemente in una orgia di brutale violenza. La vittima innocente trasformata in un corpo senza volto e senza nome su cui scaricare proprio nel momento della sua più totale impotenza tutta la rabbia e la frustrazione degli aggressori. La seconda é la questione del potere nel tentativo di affermare follemente chi fosse il più forte , il più potente. In personalità probabilmente abitate da un Io fragile e facilmente feribile e da un controllo precario degli impulsi si realizza sovente un cortocircuito tra il pensare e l’agire , in cui il pensare e l’esame di realtà può venire momentaneamente sospeso e cancellato dal puro gesto violento spesso fine a se stesso. Un’identità eccitata e grandiosa prende il sopravvento dando l’impressione temporanea della potenza assoluta sull’altro e sul mondo. Ma al di là delle ineludibili responsabilità individuali quale è il paesaggio sociale e motivo di questa violenza, di questa perdita del controllo su di sé nell’apparente realizzazione di un potere assoluto? Vi è infatti nelle intercapedini della nostra quotidianità un bisogno crescente di sentirsi eccitati per sentirsi vivi, imprigionati in cortocircuiti di potenza-impotenza, che vediamo a volte tracimare, impazzire travolgendo crudelmente in atti senza senso la vita stessa. Viviamo in un tempo oramai, che lega, nel mondo giovanile (ma non solo), la ricerca eccitata di forti emozioni, che sembra dilagare tanto da divenire comportamento normale, alla crescente “anestesia conformi-stica”, alla noia, che scolora il mondo e le relazioni tra gli uomini. Questo sembrano i colori contraddittori e accecanti, le figure delle terre del Niente , che, come visitors abitano già tra di noi senza che nemmeno ce ne accorgiamo, perché adattativamente mescolati alla più normale normalità. Terre, che “manovrano” i propri abitanti verso comportamenti sempre più obbligati. Ma perché le “terre del Niente” che suscitano questa violenza identitaria e di cui la cultura dovrebbe essere “terapia”, sono rimaste così senza tutela e i loro “demoni di follia” lasciati dilagare oramai senza controllo? Che cosa ci abbandona così impotenti e nudi di fronte alla loro presenza? Che cosa è mutato nel “giudice” che portiamo dentro di noi o nel principio di autorità, che la società espelle come un residuo di un passato oscurantista e che tende a trattare sempre più in molti campi il limite tra lecito e illecito come una variabile della psicologia individuale? Queste le domande che forse poco avranno a che fare direttamente con il Processo ma che non possiamo evitare, come se, al di là del necessario silenzio verso il senso tragico e singolare di questi accadimenti, qualcosa di un ordine più generale ci inquietasse. Molte sono le ragioni di questa mutazione profonda del sentire il mondo e se stessi. È come se l’interazione umana, mai stata così incessante grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, fosse divenuta vieppiù una interazione senza contatto, senza corpi , senza tempo e spazio e spesso in perdita d’anima, in cui vivere e sentire la vita, senza il sapore e il profumo di una presenza umana. Corpi oramai abitatori dell’Ovunque e dell’Attimo, che in una sorta di “lobotomia emozionale”, sono resi velocemente smemorati e indifferenti, così da poter passare velocemente dall’atto violento alla più normale indifferenza e tornare ad una quotidianità senza colpa e senza rimorso.
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