21 gennaio 2009 - Giornale del Popolo

PROCESSO TAMAGNI All’origine dell’omicidio di Locarno un’assurda concatenazione di circostanze
Adesso la corte è sicura: Damiano vittima “per caso”

di LUCA PELLONI e PATRICK MANCINI

Una giornata dura. Da groppo in gola. Ieri, nell’au­la del Pretorio di Locarno, il giudice Mauro Ermani ha ricostruito l’uccisione di Damiano Tamagni al carne­vale “La Stranociada”, venerdì 1° febbraio 2008. Svi­scerando ben 15 “segni” evidenti delle percosse rime­diate dal giovane, riscontrati grazie agli esami autop­tici. Il presidente della corte ha poi rievocato, secon­do per secondo, i singoli colpi inferti dai tre imputa­ti. Grande la commozione dei genitori del 22enne di Gordola. Genitori uniti, che si consolano a vicenda, e che continuano a dimostrare una forza fuori dal co­mune. È stata una giornata da incubo anche per le fa­miglie degli imputati, che hanno sentito, nei partico­lari, gli atti commessi dai loro cari. La tensione era al­ta, c’è stato anche un screzio nei corridoi. Damiano non c’entrava nulla. La vera certezza che emerge al termine del secondo giorno del processo Tamagni è questa. Damiano era presente in via Borghese perché leader positivo, buono. Come era presente anche un altro “leader”, conosciuto poiché rissoso. Entrambi però erano riusciti a tranquillizzare una situazione po­tenzialmente pericolosa. Con la quale i tre imputati non c’entravano nulla. E qui scatta il delirio, che na­sce da un errore, e che finisce in tragedia. Due grup­pi si erano infatti trovati a contatto dopo che un ami­co di Damiano si era scontrato con il minorenne ti­cinese implicato nel dramma. Ma la situazione era de­stinata a concludersi ben presto. Invece, esplode l’as­surdo pestaggio, che gli stessi imputati non hanno sa­puto spiegare con un motivo plausibile. «Tomic, ha dormito bene? Le è tornata la memoria?» È la battuta, tagliente, con cui il presidente Mauro Ermani ha aperto la mattinata. Facendo una chia­ra allusione ai vuoti di memoria dei tre accusati. Sui racconti di Marko Tomic, 19 anni, Ivica Grgic (23) e, in parte, Ivan Jurkic (20) continuano a esserci trop­pi lati oscuri. Dettagli che non collimano, partico­lari che non tornano. Perché Grgic continua a so­stenere di avere colpito Damiano con un pugno vio­lento sulla guancia sinistra quando i medici non hanno riscontrato alcuna ferita in quella parte del volto dello sfortunato ragazzo? Perché Jurkic ha ag­gredito Damiano che, in via Borghese, assisteva sem­plicemente alla discussione, peraltro pacifica, tra due gruppi? Oggi, mercoledì, il processo sarà dedicato alle perizie medico legali.

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L’amico «Ma quante bugie...»

«Quante bugie sono state dette in un an­no ». Fabrizio Finocchiaro era un amico di Damiano. E ieri era presente tra il pubbli­co in aula. «Venire qui – spiega – e consta­tare che ci sono ancora così tante contrad­dizioni nei racconti dei protagonisti, mi fa male». Soffre in silenzio, Fabrizio. Come lui tanti altri amici di Damiano che stan­no aspettando la sentenza della corte. So­lo alcuni di loro sono riusciti ad assistere ai primi due giorni di processo. «Le auto­rità ticinesi hanno perso una grande oc­casione – sottolinea –. Questo processo po­teva essere davvero educativo per i giova­ni. Bisognava fare in modo che tutti potes­sero assistervi. Invece si svolge in una sa­la stretta in cui ci stanno poche persone. Molti miei amici sono rimasti chiusi fuo­ri dalla porta». Poi, Fabrizio, torna sulle te­stimonianze di Ivan Jurkic, Marko Tomic e Ivica Grgic. «La verità – ammette – fatica a venire a galla. I tre accusati dovrebbero ammettere i fatti. Così potrebbero maga­ri anche ricevere uno sconto di pena».

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Aggredito senza un motivo

Sono da poco passate le nove e mezzo. In aula si spengono le luci. Sul­lo schermo scorrono le immagini ri­prese in un capannone in Piazza del­le Corporazioni da una telecamera a circuito chiuso una manciata di minu­ti prima del dramma. È venerdì 1° feb­braio 2008. Manca poco a mezzanot­te. Marko Tomic, Ivica Grgic e Ivan Jurkic ballano, si divertono. È la prima volta che i tre accusati vedono il filma­to. I loro sguardi sono impietriti.
I due gruppi
Poi, il giudice prende la parola. Elen­ca le numerose (ben quindici!) lesio­ni riscontrate dagli esperti della scien­tifica sul corpo di Damiano. Subito do­po rievoca, facendo leva sulle nume­rose testimonianze raccolte, i fatti. Mentre Tomic, Grgic e Jurkic se la spas­sano nel capannone, all’esterno un amico di Damiano, alterato dall’alcol, pesta un piede a un minorenne tici­nese. Lo stesso minorenne che oggi è in carcere per avere avuto un ruolo nella morte del giovane di Gordola. Nasce una discussione e si formano due gruppi ben distinti. Le parole vo­lano. Ma non si arriva alle mani. Po­co dopo in via Borghese arriva, su chiamata, un ragazzo, un tipo rissoso e piuttosto violento. Un vero leader, che stavolta, contrariamente alle sue abitudini, fa da paciere.
Lo scherzo del destino
L’amico di Damiano è ubriaco e pian­ge, lamentandosi ad alta voce. In quel momento arrivano Damiano e un al­tro amico. Se ne stanno in disparte, co­me semplici spettatori. Tra i due grup­pi, nonostante le scintille iniziali, non sembra esserci particolare tensione. Tutt’intorno la “Stranociada” impaz­za. La gente festeggia. C’è confusione in via Borghese. Dalla folla sbucano Tomic, Grgic e Jurkic. «Guarda là», esclama Tomic rimarcando la presen­za del ragazzo arcinoto anche alle au­torità per essere rissoso. Tanto che la polizia, in un primo momento, aveva arrestato proprio lui per l’efferato ge­sto. Di fronte a lui c’è Damiano. I due parlano, tranquillamente. La situazio­ne si sta per risolvere.
Dall’errore al delirio
Jurkic si avvicina a Damiano e con la mano lo spinge. «Vai via», gli dice. Da­miano è sorpreso. Quasi meccanica­mente dopo aver fatto un passo indie­tro si riavvicina a Jurkic che lo spinge una seconda volta. E poi una terza. In via Borghese c’è un gran via vai di gen­te. «Volevo allontanare Damiano dal ragazzo manesco – precisa Jurkic –. È più facile allontanare venti persone, piuttosto che quel tipo». Anche se la si­tuazione non era di pericolo. Ermani, dunque, non gli crede: «Il pericolo è costituito dal ragazzo manesco e si pic­chia l’altro?». Gli amici di Damiano non fanno in tempo a realizzare quan­to sta accadendo. La tragedia si gioca sul filo dei secondi. Mentre Damiano viene spintonato per la terza volta, ar­riva Marko Tomic e lo colpisce al vol­to. «Di striscio», puntualizza lui. Il se­guito è ancora più confuso. Anche per­ché i tre accusati fanno a gara nel non ricordare. Grgic sostiene con fermez­za di avere colpito Damiano con un violento pugno sulla guancia. I medi­ci, tuttavia, su quella parte del volto non hanno trovato alcuna traccia del colpo. «Con tutto il rispetto per i me­dici, io l’ho davvero colpito lì», ripete Grcic. Un’insistenza surreale. Che, tut­tavia, una spiegazione logica ce l’ha. È, infatti, scientificamente assodato che ad avere causato la morte di Damia­no è stato un calcio alla nuca. Non un pugno. «Io sono rimasto indietro – af­ferma lo stesso 23enne –. Tomic lo ha colpito. Poi ho tentato di separarli, ma Damiano mi ha tirato un pugno a sua volta. Allora l’ho colpito anche io». Da­miano quel pugno non lo ha mai tira­to. «Non c’è un teste che parli di que­sto gesto», commenta Ermani. Emer­ge poi che il 22enne di Gordola, forse un po’ stordito, stava solo gesticolan­do. Il pugno di Damiano non c’è. E nemmeno quello di Grgic. Damiano cade a terra, per un calcio. Forse di To­mic, che ne piazza anche un secondo, sul fianco. Damiano è indifeso. Scat­ta il delirio. «Perché ha sferrato quei colpi contro una persona che non la stava aggredendo?», ha chiesto Erma­ni a Tomic. «Non ne ho idea», rispon­de. «Allora lei è una persona pericolo­sa, perché ha reazioni imprevedibili al­le quali non sa dare una spiegazione», commenta Ermani. «Chi mi garantisce che non lo rifarà? Anche Jurkic è peri­coloso, per gli stessi motivi». A questo punto interviene nella rissa il minoren­ne ticinese, con dei calci. La sua situa­zione è ancora da definire.
Calci letali
Damiano è a terra, parallelo a via Bor­ghese con la testa verso piazza Sant’Antonio e il volto rivolto verso il Drago Rosso. Cerca di proteggersi. Gr­gic tira il calcio per primo, poi Tomic. «Gli ho tirato un calcio non forte», af­ferma il primo, che continua invece a sostenere che il pugno sferrato fosse potente. «Perché è più comodo toglie­re l’attenzione dal calcio», commen­ta il giudice. Un calcio in testa che ha impressionato i testimoni, i quali di­cono di avere sentito un rumore scon­volgente. Un colpo, come quello “ca­ricato” da Tomic, sferrato con la stes­sa violenza con cui si colpisce un pal­lone.

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Una fuga dalle responsabilità

«Quando mi sono trovato sopra Da­miano e vedevo i suoi piedi, ho perce­pito ancora qualcuno che gli ha sferra­to un calcio. Mi sono girato e con la co­da dell’occhio ho visto Grgic allontanar­si ». Sono parole, pesanti, di un testimo­ne. Damiano è esanime, con gli occhi all’indietro. «Era in coma, oppure mor­to », hanno pensato i tre. Ma si allonta­no. Grgic esclama: «Cosa ho combina­to! ». E Tomic: «Se l’è cercata». Sono nel capannone centrale. I tre incontrano il minorenne ticinese. Si parlano. Poi fuggono, uscendo verso l’ospedale. Gr­gic toglie la maglia, per paura di esse­re riconosciuto. Poi la rimetterà. Sono nei pressi della stazione. Jurkic va a ca­sa. Sarà arrestato alle 4 di mattina. To­mic e Grgic si recano invece al carne­vale di Bellinzona. Scendendo dal tre­no vedono degli agenti, che non li fer­mano. «Allora ho pensato che Damia­no non fosse troppo grave», ha spiega­to Grgic. Vanno alla discoteca Zoo, per qualche ora. Parlano dell’accaduto con degli amici. I due si perdono di vista. Gr­gic rientra sabato mattina con il treno delle 6.23. Durante il viaggio riceve una telefonata della polizia, che lo arresta nei pressi di casa. Tomic, invece, pren­de il treno delle 5.40. Ha il cellulare sca­rico. Si fa prestare una batteria. Trova 20 chiamate da casa. La polizia lo cerca. Scende a Locarno, si dirige verso casa ma poi, per paura, torna a Locarno. Verrà fermato nei pressi della stazione.

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Una seconda aula

L’aula del pretorio di Locarno si è dimostrata, sin da lunedì, troppo piccola per accogliere tutto il pubblico. I media sono presenti in forza. Parenti, amici e anche semplici “curiosi” si accalcano davanti alla porta d’entrata. Ma tutti non ci stanno. Molti devono rimanere fuori. Così, forse già da questo pomeriggio, ma sicuramente da domani mattina, sarà allestita una seconda aula, al primo piano del Pretorio, nella quale sarà proiettato a circuito chiuso il dibattimento. Una soluzione concessa dalla legge, nonostante vi sia il divieto di filmare il processo, grazie al consenso delle parti.

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Il commento
Quei tre non hanno provato alcuna emozione?
di GRAZIANO MARTIGNONI

In questi primi giorni di dibattimento si è cercato di legare la personalità dei giova­ni imputati con la complessa dinamica di quella fatale sera di carnevale. Molti gli ele­menti che meriterebbero un esame ap­profondito. Tra questi ve ne sono due di cen­trale importanza. Il primo riguarda la scel­ta del tutto casuale della vittima, scelto tra i giovani presenti sulla scena senza nemme­no conoscerlo ma trascinato velocemente in una orgia di brutale violenza. La vittima innocente trasformata in un corpo senza volto e senza nome su cui scaricare proprio nel momento della sua più totale impoten­za tutta la rabbia e la frustrazione degli ag­gressori. La seconda é la questione del po­tere nel tentativo di affermare follemente chi fosse il più forte , il più potente. In persona­lità probabilmente abitate da un Io fragile e facilmente feribile e da un controllo preca­rio degli impulsi si realizza sovente un cor­tocircuito tra il pensare e l’agire , in cui il pen­sare e l’esame di realtà può venire momen­taneamente sospeso e cancellato dal puro gesto violento spesso fine a se stesso. Un’i­dentità eccitata e grandiosa prende il soprav­vento dando l’impressione temporanea della potenza assoluta sull’altro e sul mon­do. Ma al di là delle ineludibili responsabi­lità individuali quale è il paesaggio sociale e motivo di questa violenza, di questa per­dita del controllo su di sé nell’apparente rea­lizzazione di un potere assoluto? Vi è infat­ti nelle intercapedini della nostra quotidia­nità un bisogno crescente di sentirsi eccita­ti per sentirsi vivi, imprigionati in cortocir­cuiti di potenza-impotenza, che vediamo a volte tracimare, impazzire travolgendo cru­delmente in atti senza senso la vita stessa. Viviamo in un tempo oramai, che lega, nel mondo giovanile (ma non solo), la ricerca eccitata di forti emozioni, che sembra dila­gare tanto da divenire comportamento normale, alla crescente “anestesia conformi-s­tica”, alla noia, che scolora il mondo e le re­lazioni tra gli uomini. Questo sembrano i co­lori contraddittori e accecanti, le figure del­le terre del Niente , che, come visitors abi­tano già tra di noi senza che nemmeno ce ne accorgiamo, perché adattativamente mescolati alla più normale normalità. Ter­re, che “manovrano” i propri abitanti verso comportamenti sempre più obbligati. Ma perché le “terre del Niente” che suscitano questa violenza identitaria e di cui la cultu­ra dovrebbe essere “terapia”, sono rimaste così senza tutela e i loro “demoni di follia” lasciati dilagare oramai senza controllo? Che cosa ci abbandona così impotenti e nudi di fronte alla loro presenza? Che cosa è muta­to nel “giudice” che portiamo dentro di noi o nel principio di autorità, che la società espelle come un residuo di un passato oscu­rantista e che tende a trattare sempre più in molti campi il limite tra lecito e illecito co­me una variabile della psicologia individua­le? Queste le domande che forse poco avranno a che fare direttamente con il Pro­cesso ma che non possiamo evitare, come se, al di là del necessario silenzio verso il sen­so tragico e singolare di questi accadimen­ti, qualcosa di un ordine più generale ci in­quietasse. Molte sono le ragioni di questa mutazione profonda del sentire il mondo e se stessi. È come se l’interazione umana, mai stata così incessante grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, fosse divenuta vieppiù una interazione senza contatto, senza cor­pi , senza tempo e spazio e spesso in perdi­ta d’anima, in cui vivere e sentire la vita, sen­za il sapore e il profumo di una presenza umana. Corpi oramai abitatori dell’Ovun­que e dell’Attimo, che in una sorta di “lobo­tomia emozionale”, sono resi velocemente smemorati e indifferenti, così da poter pas­sare velocemente dall’atto violento alla più normale indifferenza e tornare ad una quo­tidianità senza colpa e senza rimorso.

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