21 gennaio 2009 - La Regione Ticino

Morte assurda in una notte di festa
‘Vidi Damiano che parlava con un tizio pericoloso. Lo spintonai per salvarlo. Poi la cosa degenerò’ Nella testimonianza di Ivan Jurkic gli incredibili antefatti del pestaggio fatale alla Stranociada 2008
Damiano è stato ucciso, lette­ralmente, per niente. È stato coinvolto, suo malgrado, in un pestaggio che in nessun modo aveva cercato. Né con le parole, o con l’abbigliamento, o con un at­teggiamento sbagliato nella con­fusa euforia di una serata di car­nevale magari uscita dai binari. La ricostruzione dei fatti, che ieri ha occupato l’intera giorna­ta processuale al Pretorio di Lo­carno, è stata una dimostrazio­ne dell’assurdità di questa mor­te, dell’incredibile successione di eventi che l’ha determinata, della totale mancanza di qual­siasi movente che non fosse – come pare creda il giudice – la voglia dei tre accusati di menar le mani per “farla vedere a qual­cuno”; e chiunque fosse, peggio per lui. Come si era visto lunedì, fino al momento del dramma la sera­ta di vittima e picchiatori era stata del tutto simile: per Da­miano c’era stato il ritrovo con gli amici, qualche birra, un po’ di rum e i “cigarillos” nella sa­letta del Drago Rosso; birra e al­cuni tiri di spinello al “mura­glione” sotto la Magistrale, inve­ce, erano stati l’aperitivo nel “giro” di Ivica Grgic, Marko To­mic e Ivan Jurkic. Che – dopo la famosa promessa di Grgic (« sta­sera il primo che mi tocca o mi rompe le palle lo ammazzo ») – gireranno ancora per tendine, a bere birra, fin verso le 23.40.
L’alterco sedato
Poco prima di quell’ora, nella confusione che regna fra Via delle Corporazioni e Via Bor­ghese, nel cuore di Città Vec­chia, un giovane del “gruppo Damiano” urta per sbaglio un ragazzo appartenente ad un al­tro gruppo; gruppo che in aula, per facilitare la comprensione degli eventi, è stato definito con il nome di quello che ne sembra­va il “capo”: un personaggio no­tissimo alla polizia (e alle crona­che) per la sua propensione alla violenza e alle risse. Noi lo chia­meremo “gruppo Carlos” (ma il nome è di fantasia). Siamo allora al punto in cui il primo ragazzo urta il secondo, che altri non è, fra l’altro, se non il minorenne che dovrà rispon­dere separatamente di rissa. Il contatto surriscalda gli animi, i due gruppi si fronteggiano, il giovane del “gruppo Damiano”, che indossa una parrucca verde, perde il controllo, si mette a piangere, dice di sentirsi offeso perché qualcuno gli ha mancato di rispetto. Ma nessuno passa alle mani. Anzi: il tanto temuto “Carlos”, consapevole del fatto che ogni fatto violento lo ripor­terà dritto di fronte alla polizia, tenta addirittura di fare da pa­ciere e sembra ci stia pure riu­scendo. Se non fosse che sul posto, pro­prio in quel momento, ovvia­mente inconsapevoli del fatto che una rissa è appena stata sventata, sopraggiungono i tre imputati. Jurkic (accusato di ag­gressione) vede un giovane ve­stito da Emo (Damiano) che sta parlando con “Carlos”. « Cono­scendo bene “Carlos” – ha rac­contato Jurkic – ho pensato che fosse meglio, per la tranquillità di tutti, allontanare al più presto quel ragazzo prima che “Carlos” perdesse la pazienza ». Jurkic prende allora l’iniziativa e spin­tona Damiano una prima volta. Poi una seconda. Poi lo afferra per il bavero e lo spinge contro il muretto lungo Via Borghese. Damiano, probabilmente basito per il trattamento del tutto in­giustificato, resta più o meno inerme appoggiato al muretto, in piedi. Dove subito viene rag­giunto da Tomic, che cerca di colpirlo con un pugno al viso ma lo sfiora solo con la nocca del mi­gnolo. « L’ho fatto – si è giustifica­to il 19enne – perché vedendo un tipo pacifico come Jurkic che spintonava qualcuno ho pensato che fosse successo qualcosa di particolare ». Ma nulla di parti­colare, si è visto, era accaduto. Se non la concretizzazione, pen­sa Ermani, del progetto intitola­to “chi picchiamo stasera?” con cui i tre imputati si erano recati alla “Stranociada”.
A pugni e calci
E il ruggito della violenza si diffonde nel nucleo. Dopo Tomic arriva Grgic. « Ho tentato di divi­dere i due – ha detto ieri – ma Da­miano ha cercato di colpirmi con un pugno, che ho schivato prima di colpirlo a mia volta con un pu­gno di destro, ben caricato, mira­to alla sua mascella sinistra ». Un pugno – tanto e ripetutamente decantato da Grgic, a partire dalla stessa sera del 1° febbraio 2008 – che però il perito giudizia­rio Osculati esclude categorica­mente per mancanza di riscon­tri sul viso della vittima. Poi dai pugni si passa ai calci. Inizia To­mic, che ne rifila due sulla gam­ba sinistra di Damiano. Il quale piegato in avanti gesticola senza costrutto, come qualcuno che impietrito da una violenza cieca cerchi di aggrapparsi ad una speranza. Ma non è finita. Perché quan­do Damiano è a terra viene col­pito dal minorenne (che poi si al­lontana subito) e, secondo Jurkic, anche da Tomic, il quale infierisce su quel filiforme indi­feso giovane vestito da Emo che inutilmente tenta di parare i fendenti. A quel punto Tomic è già dentro il “black-out” che da un anno sostiene di avere sul­l’accaduto. Un “black-out” ri­schiarato però da molteplici e convergenti testimonianze ocu­lari di giovani presenti sul po­sto, i quali racconteranno di aver visto il povero Damiano soccombere sotto i calci di tre persone. Una di loro è certamen­te Tomic. L’altra, per sua stessa ammis­sione, è Grgic, che però ha sem­pre giurato di aver dato a Da­miano « un calcio non forte alla testa » e di essersene poi andato. Moltissime testimonianze por­tano però ad una verità molto di­versa: Grgic ha colpito Damiano alla testa con un calcio molto violento, di forza impressionan­te, tanto tremendo da provocare « un rumore sordo » sentito da chi era nelle vicinanze. Alcuni dei testimoni si diranno “choccati” proprio da quel rumore così ter­ribile e innaturale. Il tutto, a partire dal primo spintone, avviene in nemmeno un minuto. Ma è il tempo necessario per compiere l’irreparabile.
La fuga e gli arresti
Gli atti dell’inchiesta, riper­corsi ieri, parlano poi della con­sapevolezza dei tre giovani di aver combinato qualcosa di gra­ve (non per niente Grgic si to­glie la maglia della Croazia e Jurkic quella dell’Fc Locarno, che indossavano al momento del pestaggio); della fuga di Jurkic verso casa e degli altri due verso la stazione Ffs di Mu­ralto, alla volta del Rabadan di Bellinzona, per continuare la notte di bagordi; e degli arresti, avvenuti all’alba per i due di ri­torno da Bellinzona, e in piena notte per Jurkic, che era a letto da tempo ma per motivi facil­mente intuibili non riusciva a prendere sonno.
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Ironia, sarcasmo e severità nella strategia di Ermani
Come il giudice affronta a viso aperto i tre giovani alla sbarra La figura emergente dal processo alle Criminali di Locarno è senz’altro quella del presidente del­la Corte Mauro Ermani, capace di integrare ta­glienti osservazioni personali agli imputati nel continuo, obbligato riscontro degli atti dell’in­chiesta. Poche parole ben piazzate che hanno il merito di gettare un fascio di luce laddove l’in­terrogatorio rimane in penombra. « Sa cosa le dico? », ha esclamato ad esempio Er­mani rivolgendosi a Tomic quando questi non sapeva rispondere alla domanda “perché pren­dersela con uno che è già stato picchiato? Forse perché ‘chi picchiamo stasera’? O perché è bello picchiare?”. «Le dico – ha notato – che la cosa è preoccupante, perché il fatto di non avere spiega­zioni per atti simili significa che lei è pericoloso, che è soggetto ad azioni inconsulte, compiute sen­za motivo. E potrebbe rifarlo ». Un Ermani pun­gente, quasi sarcastico con l’intelligente Grgic dopo un suo appunto relativo ad un riscontro d’indagine: « È attento, molto attento, sa molto bene quello che ha detto, conosce molto bene l’in­carto ». E con lo stesso Grgic, che insiste nell’af­fermare che il calcio alla tempia di Damiano l’ha sferrato, “ma non forte, mentre me stavo andan­do”. « Lei mi viene a dire che ha dato un calcio alla testa di Damiano mentre era a terra... ma l’ha do­sato, come a calcio quando si fa il cucchiaio? ». O ancora, e infine, rivolto a Tomic dopo l’ennesi­mo “non ricordo”: « È inquietante che lei abbia un “black-out” sui fatti. Una persona normale, se arrestata poche ore dopo un avvenimento come quello accaduto a lei, non farebbe altro che pensa­re a quello che ha fatto ».
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Minacce ai parenti di un imputato ‘La pagherete!’. Interviene la polizia
Momenti di grande tensione, nella pausa pomeridiana del pro­cesso, a causa di un incontro ravvicinato fra un uomo che assi­steva al dibattimento – vista la selezione effettuata dalla poli­zia, dovrebbe trattarsi del parente di uno dei tre accusati – e i familiari più stretti di Ivica Grgic, uno dei due ragazzi accusa­ti di omicidio intenzionale. Stando a quanto riferito da Radio Fiume Ticino, l’uomo ha aggredito verbalmente i congiunti di Grgic minacciandoli a voce alta di « fargliela pagare » . Una mi­naccia che ha ovviamente inquietato chi se l’era sentita rivol­gere. I familiari di Grgic hanno immediatamente chiamato in causa gli agenti dell’apparato di sicurezza chiedendo loro di intervenire. Ciò che in effetti è stato fatto: all’uomo, gli agenti hanno chiesto di mantenere la calma, consentendogli per altro di continuare ad assistere al processo ( cosa che ha fatto senza più creare problemi). Una situazione che la dice lunga sul ri­sentimento e sulle questioni irrisolte covate da un processo delicato come questo.
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L’accordo con le parti per le riprese è stato raggiunto ieri in serata
L’aula è troppo piccola? Da domani per il pubblico videocollegamento con una sala attigua
Un processo pubblico a cui il pubbli­co non ha accesso. Lo abbiamo già scritto ieri e lo ribadiamo oggi. La sala del Pretorio, dove in questi gior­ni sono riunite le Assise criminali di Locarno, è troppo piccola; nello spa­zio riservato a chi vuole assistere al procedimento entrano appena i pa­renti della vittima, quelli dei tre im­putati e i giornalisti. In totale meno di una cinquantina di persone. Quasi altrettante sono costrette a restare fuori. Ma da domani le cose cambie­ranno. Ieri, prima dell’inizio del dibattimen­to, gli agenti hanno ripetuto il ‘ceri­moniale’ inventato il giorno prece­dente: prima entrano i parenti poi i rappresentanti dei media. Rari i posti rimanenti per pochi fortunati. La ‘gaffe’ del Tribunale penale canto­nale, che ha sottovalutato il richiamo che il processo avrebbe avuto sul pub­blico, chiede riparazione. Così la macchina si è messa in moto alla ri­cerca di soluzioni. L’ipotesi discussa ieri è stata quella di un videocollega­mento con una sala vicina. Il locale, con una sessantina di posti, e le appa­recchiature tecniche sono stati trova­ti. Nella pausa di mezzogiorno la Cor­te ha chiesto il consenso alle parti per le riprese con la telecamera. Da tutti è giunto il nullaosta. Tuttavia qualcu­no (un avvocato della difesa) ha posto una condizione: spostare i giornalisti nella sala attigua, obbligandoli a se­guire il processo dal video. Una mossa che avrebbe comunque creato un nuovo problema: somman­do il pubblico ai parenti (di vittima e imputati) si arriva a un totale di circa 75 persone e i posti, come detto, sono meno di 50. Logico pensare che qual­cuno avrebbe comunque dovuto stare con i giornalisti davanti al televisore. Prima di decidere se montare la tele­camera in aula sono stati consultati alcuni responsabili dei media. A un certo momento era giunta una deci­sione negativa: per soddisfare la con­dizione posta si sarebbe aperto un al­tro fronte di discussione; meglio opta­re per il minore dei mali. Poi, in sera­ta, il dietrofront. La clausola che vin­colava le riprese del processo è stata tolta, come ci ha confermato Giorgio Battaglioni, capo della Divisione del­la giustizia. Il collegamento audio-vi­deo verrà montato al più presto e sarà attivo a partire da giovedì mattina. Resta da capire per quali ragioni un avvocato ha richiesto che fossero i giornalisti a seguire il processo su uno schermo, che per ovvie ragioni dà una visione filtrata rispetto alla presenza in prima persona. Molte sfu­mature, ma anche alcuni momenti importanti del procedimento, sareb­bero andati persi perché avvenuti al di fuori del campo visivo della teleca­mera. Un suggerimento che avrebbe per­messo di tagliare la testa al toro ci viene dal passato; per la precisione da un altro celebre processo – quello del­l’omicidio Zylla – che fu ospitato nel­la sede della Società elettrica Sopra­cenerina in Piazza Grande, dove lo spazio non manca. S.F.

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