Morte assurda in una notte di festa
‘Vidi Damiano che parlava con un tizio pericoloso. Lo spintonai per salvarlo. Poi la cosa degenerò’ Nella testimonianza di Ivan Jurkic gli incredibili antefatti del pestaggio fatale alla Stranociada 2008
Damiano è stato ucciso, letteralmente, per niente. È stato coinvolto, suo malgrado, in un pestaggio che in nessun modo aveva cercato. Né con le parole, o con l’abbigliamento, o con un atteggiamento sbagliato nella confusa euforia di una serata di carnevale magari uscita dai binari. La ricostruzione dei fatti, che ieri ha occupato l’intera giornata processuale al Pretorio di Locarno, è stata una dimostrazione dell’assurdità di questa morte, dell’incredibile successione di eventi che l’ha determinata, della totale mancanza di qualsiasi movente che non fosse – come pare creda il giudice – la voglia dei tre accusati di menar le mani per “farla vedere a qualcuno”; e chiunque fosse, peggio per lui. Come si era visto lunedì, fino al momento del dramma la serata di vittima e picchiatori era stata del tutto simile: per Damiano c’era stato il ritrovo con gli amici, qualche birra, un po’ di rum e i “cigarillos” nella saletta del Drago Rosso; birra e alcuni tiri di spinello al “muraglione” sotto la Magistrale, invece, erano stati l’aperitivo nel “giro” di Ivica Grgic, Marko Tomic e Ivan Jurkic. Che – dopo la famosa promessa di Grgic (« stasera il primo che mi tocca o mi rompe le palle lo ammazzo ») – gireranno ancora per tendine, a bere birra, fin verso le 23.40.
L’alterco sedato
Poco prima di quell’ora, nella confusione che regna fra Via delle Corporazioni e Via Borghese, nel cuore di Città Vecchia, un giovane del “gruppo Damiano” urta per sbaglio un ragazzo appartenente ad un altro gruppo; gruppo che in aula, per facilitare la comprensione degli eventi, è stato definito con il nome di quello che ne sembrava il “capo”: un personaggio notissimo alla polizia (e alle cronache) per la sua propensione alla violenza e alle risse. Noi lo chiameremo “gruppo Carlos” (ma il nome è di fantasia). Siamo allora al punto in cui il primo ragazzo urta il secondo, che altri non è, fra l’altro, se non il minorenne che dovrà rispondere separatamente di rissa. Il contatto surriscalda gli animi, i due gruppi si fronteggiano, il giovane del “gruppo Damiano”, che indossa una parrucca verde, perde il controllo, si mette a piangere, dice di sentirsi offeso perché qualcuno gli ha mancato di rispetto. Ma nessuno passa alle mani. Anzi: il tanto temuto “Carlos”, consapevole del fatto che ogni fatto violento lo riporterà dritto di fronte alla polizia, tenta addirittura di fare da paciere e sembra ci stia pure riuscendo. Se non fosse che sul posto, proprio in quel momento, ovviamente inconsapevoli del fatto che una rissa è appena stata sventata, sopraggiungono i tre imputati. Jurkic (accusato di aggressione) vede un giovane vestito da Emo (Damiano) che sta parlando con “Carlos”. « Conoscendo bene “Carlos” – ha raccontato Jurkic – ho pensato che fosse meglio, per la tranquillità di tutti, allontanare al più presto quel ragazzo prima che “Carlos” perdesse la pazienza ». Jurkic prende allora l’iniziativa e spintona Damiano una prima volta. Poi una seconda. Poi lo afferra per il bavero e lo spinge contro il muretto lungo Via Borghese. Damiano, probabilmente basito per il trattamento del tutto ingiustificato, resta più o meno inerme appoggiato al muretto, in piedi. Dove subito viene raggiunto da Tomic, che cerca di colpirlo con un pugno al viso ma lo sfiora solo con la nocca del mignolo. « L’ho fatto – si è giustificato il 19enne – perché vedendo un tipo pacifico come Jurkic che spintonava qualcuno ho pensato che fosse successo qualcosa di particolare ». Ma nulla di particolare, si è visto, era accaduto. Se non la concretizzazione, pensa Ermani, del progetto intitolato “chi picchiamo stasera?” con cui i tre imputati si erano recati alla “Stranociada”.
A pugni e calci
E il ruggito della violenza si diffonde nel nucleo. Dopo Tomic arriva Grgic. « Ho tentato di dividere i due – ha detto ieri – ma Damiano ha cercato di colpirmi con un pugno, che ho schivato prima di colpirlo a mia volta con un pugno di destro, ben caricato, mirato alla sua mascella sinistra ». Un pugno – tanto e ripetutamente decantato da Grgic, a partire dalla stessa sera del 1° febbraio 2008 – che però il perito giudiziario Osculati esclude categoricamente per mancanza di riscontri sul viso della vittima. Poi dai pugni si passa ai calci. Inizia Tomic, che ne rifila due sulla gamba sinistra di Damiano. Il quale piegato in avanti gesticola senza costrutto, come qualcuno che impietrito da una violenza cieca cerchi di aggrapparsi ad una speranza. Ma non è finita. Perché quando Damiano è a terra viene colpito dal minorenne (che poi si allontana subito) e, secondo Jurkic, anche da Tomic, il quale infierisce su quel filiforme indifeso giovane vestito da Emo che inutilmente tenta di parare i fendenti. A quel punto Tomic è già dentro il “black-out” che da un anno sostiene di avere sull’accaduto. Un “black-out” rischiarato però da molteplici e convergenti testimonianze oculari di giovani presenti sul posto, i quali racconteranno di aver visto il povero Damiano soccombere sotto i calci di tre persone. Una di loro è certamente Tomic. L’altra, per sua stessa ammissione, è Grgic, che però ha sempre giurato di aver dato a Damiano « un calcio non forte alla testa » e di essersene poi andato. Moltissime testimonianze portano però ad una verità molto diversa: Grgic ha colpito Damiano alla testa con un calcio molto violento, di forza impressionante, tanto tremendo da provocare « un rumore sordo » sentito da chi era nelle vicinanze. Alcuni dei testimoni si diranno “choccati” proprio da quel rumore così terribile e innaturale. Il tutto, a partire dal primo spintone, avviene in nemmeno un minuto. Ma è il tempo necessario per compiere l’irreparabile.
La fuga e gli arresti
Gli atti dell’inchiesta, ripercorsi ieri, parlano poi della consapevolezza dei tre giovani di aver combinato qualcosa di grave (non per niente Grgic si toglie la maglia della Croazia e Jurkic quella dell’Fc Locarno, che indossavano al momento del pestaggio); della fuga di Jurkic verso casa e degli altri due verso la stazione Ffs di Muralto, alla volta del Rabadan di Bellinzona, per continuare la notte di bagordi; e degli arresti, avvenuti all’alba per i due di ritorno da Bellinzona, e in piena notte per Jurkic, che era a letto da tempo ma per motivi facilmente intuibili non riusciva a prendere sonno.
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Ironia, sarcasmo e severità nella strategia di Ermani
Come il giudice affronta a viso aperto i tre giovani alla sbarra La figura emergente dal processo alle Criminali di Locarno è senz’altro quella del presidente della Corte Mauro Ermani, capace di integrare taglienti osservazioni personali agli imputati nel continuo, obbligato riscontro degli atti dell’inchiesta. Poche parole ben piazzate che hanno il merito di gettare un fascio di luce laddove l’interrogatorio rimane in penombra. « Sa cosa le dico? », ha esclamato ad esempio Ermani rivolgendosi a Tomic quando questi non sapeva rispondere alla domanda “perché prendersela con uno che è già stato picchiato? Forse perché ‘chi picchiamo stasera’? O perché è bello picchiare?”. «Le dico – ha notato – che la cosa è preoccupante, perché il fatto di non avere spiegazioni per atti simili significa che lei è pericoloso, che è soggetto ad azioni inconsulte, compiute senza motivo. E potrebbe rifarlo ». Un Ermani pungente, quasi sarcastico con l’intelligente Grgic dopo un suo appunto relativo ad un riscontro d’indagine: « È attento, molto attento, sa molto bene quello che ha detto, conosce molto bene l’incarto ». E con lo stesso Grgic, che insiste nell’affermare che il calcio alla tempia di Damiano l’ha sferrato, “ma non forte, mentre me stavo andando”. « Lei mi viene a dire che ha dato un calcio alla testa di Damiano mentre era a terra... ma l’ha dosato, come a calcio quando si fa il cucchiaio? ». O ancora, e infine, rivolto a Tomic dopo l’ennesimo “non ricordo”: « È inquietante che lei abbia un “black-out” sui fatti. Una persona normale, se arrestata poche ore dopo un avvenimento come quello accaduto a lei, non farebbe altro che pensare a quello che ha fatto ».
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Minacce ai parenti di un imputato ‘La pagherete!’. Interviene la polizia
Momenti di grande tensione, nella pausa pomeridiana del processo, a causa di un incontro ravvicinato fra un uomo che assisteva al dibattimento – vista la selezione effettuata dalla polizia, dovrebbe trattarsi del parente di uno dei tre accusati – e i familiari più stretti di Ivica Grgic, uno dei due ragazzi accusati di omicidio intenzionale. Stando a quanto riferito da Radio Fiume Ticino, l’uomo ha aggredito verbalmente i congiunti di Grgic minacciandoli a voce alta di « fargliela pagare » . Una minaccia che ha ovviamente inquietato chi se l’era sentita rivolgere. I familiari di Grgic hanno immediatamente chiamato in causa gli agenti dell’apparato di sicurezza chiedendo loro di intervenire. Ciò che in effetti è stato fatto: all’uomo, gli agenti hanno chiesto di mantenere la calma, consentendogli per altro di continuare ad assistere al processo ( cosa che ha fatto senza più creare problemi). Una situazione che la dice lunga sul risentimento e sulle questioni irrisolte covate da un processo delicato come questo.
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L’accordo con le parti per le riprese è stato raggiunto ieri in serata
L’aula è troppo piccola? Da domani per il pubblico videocollegamento con una sala attigua
Un processo pubblico a cui il pubblico non ha accesso. Lo abbiamo già scritto ieri e lo ribadiamo oggi. La sala del Pretorio, dove in questi giorni sono riunite le Assise criminali di Locarno, è troppo piccola; nello spazio riservato a chi vuole assistere al procedimento entrano appena i parenti della vittima, quelli dei tre imputati e i giornalisti. In totale meno di una cinquantina di persone. Quasi altrettante sono costrette a restare fuori. Ma da domani le cose cambieranno. Ieri, prima dell’inizio del dibattimento, gli agenti hanno ripetuto il ‘cerimoniale’ inventato il giorno precedente: prima entrano i parenti poi i rappresentanti dei media. Rari i posti rimanenti per pochi fortunati. La ‘gaffe’ del Tribunale penale cantonale, che ha sottovalutato il richiamo che il processo avrebbe avuto sul pubblico, chiede riparazione. Così la macchina si è messa in moto alla ricerca di soluzioni. L’ipotesi discussa ieri è stata quella di un videocollegamento con una sala vicina. Il locale, con una sessantina di posti, e le apparecchiature tecniche sono stati trovati. Nella pausa di mezzogiorno la Corte ha chiesto il consenso alle parti per le riprese con la telecamera. Da tutti è giunto il nullaosta. Tuttavia qualcuno (un avvocato della difesa) ha posto una condizione: spostare i giornalisti nella sala attigua, obbligandoli a seguire il processo dal video. Una mossa che avrebbe comunque creato un nuovo problema: sommando il pubblico ai parenti (di vittima e imputati) si arriva a un totale di circa 75 persone e i posti, come detto, sono meno di 50. Logico pensare che qualcuno avrebbe comunque dovuto stare con i giornalisti davanti al televisore. Prima di decidere se montare la telecamera in aula sono stati consultati alcuni responsabili dei media. A un certo momento era giunta una decisione negativa: per soddisfare la condizione posta si sarebbe aperto un altro fronte di discussione; meglio optare per il minore dei mali. Poi, in serata, il dietrofront. La clausola che vincolava le riprese del processo è stata tolta, come ci ha confermato Giorgio Battaglioni, capo della Divisione della giustizia. Il collegamento audio-video verrà montato al più presto e sarà attivo a partire da giovedì mattina. Resta da capire per quali ragioni un avvocato ha richiesto che fossero i giornalisti a seguire il processo su uno schermo, che per ovvie ragioni dà una visione filtrata rispetto alla presenza in prima persona. Molte sfumature, ma anche alcuni momenti importanti del procedimento, sarebbero andati persi perché avvenuti al di fuori del campo visivo della telecamera. Un suggerimento che avrebbe permesso di tagliare la testa al toro ci viene dal passato; per la precisione da un altro celebre processo – quello dell’omicidio Zylla – che fu ospitato nella sede della Società elettrica Sopracenerina in Piazza Grande, dove lo spazio non manca. S.F.
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