Un omicidio al limite dell’assassinio
L’avvocato di parte civile: «Hanno agito come dei criminali molto navigati»
Marko Tomic e Ivica Grgic sono degli «omicidi anomali », hanno piuttosto il profilo degli assassini: lo ha rilevato ieri l’avv. Diego Olgiati, rappresentante di parte civile, nel suo intervento al processo per la morte di Damiano
PAGINA A CURA DI LUCA CONTI E OLIVER BROGGINI
Quello imputabile a Marko Tomic e Ivica Grgic è un omicidio ai confini dell’assassinio per la gratuità inaudita che ha provocato, con due violenti calci sferrati al capo quando era a terra indifeso, la morte di Damiano Tamagni. Lo ha sottolineato ieri l’avv. Diego Olgiati, che rappresenta la famiglia Tamagni, chiedendo al termine del suo duro intervento la conferma integrale dell’atto d’accusa steso dalla pp Rosa Item. Olgiati ha pure domandato ai giudici di analizzare se il dolo eventuale considerato (cioè la conseguenza non voluta di un’azione, il che comprenderebbe anche l’incidente) non sconfini in questa uccisione nel dolo diretto, che esclude invece ogni e qualsiasi possibilità dell’atto non voluto. «L’uccisione di Damiano quella triste sera del 1. febbraio dello scorso anno durante il carnevale locarnese – ha rilevato l’avv. Olgiati – si caratterizza per una totale assenza di movente, un’assoluta e inaudita gratuità nell’agire, un cinismo e una crudeltà senza pari, una sete di violenza tale che questo omicidio si situa ai confini dell’assassinio. Non vogliamo un processo di piazza come parte civile, ma che ci sia un giudizio equo e corretto. La procuratrice in tal senso ha già ponderato bene le varie responsabilità nella stesura dell’atto d’accusa, dove Ivan Jurkic si salva per il rotto della cuffia dall’accusa di PARTE CIVILE L’avv. Diego Olgiati. (foto Nicola Demaldi) omicidio passando a quella di aggressione, non avendo inferto i calci mortali al capo di Damiano. Ma Tomic e Grgic hanno voluto uccidere in quanto sapevano che colpire con una tale violenza alla testa con forti pedate una persona a terra indifesa può provocarne la morte. E sarebbe una vera e propria aberrazione sostenere che l’azione si è svolta in una manciata di secondi e che, quindi, non ci si poteva rendere conto della dinamica di quanto stava succedendo». La violenza come unica regola di vita «Come si può arrivare a uccidere un proprio simile, un coetaneo, per di più durante una sera di festa, così per sport, senza un movente, senza che nemmeno lo si conosca, senza che vi sia la benché minima provocazione, la scintilla che possa giustificare una rissa? Ce lo spiegano bene – ha osservato l’avv. Olgiati – molte delle testimonianze raccolte in questa difficile inchiesta. A più riprese chi parla degli imputati li descrive infatti come rissosi, arroganti, aggressivi, col gusto della lite: praticano insomma la rissa per mestiere e se ne vantano anche, hanno un vero e proprio culto della violenza che è la loro regola di vita. Basti pensare anche allo spirito con cui si sono recati quella sera al carnevale, con le frasi già più volte citate in quest’aula: “Chi picchiamo stasera?” o ancora “Il primo che mi rompe lo ammazzo”. Una violenza automatica – ha proseguito il patrocinatore di parte civile – che fa pensare a meccanismi che sono più pertinenti per gli animali che non per gli esseri umani. E così anche il nulla può originare violenza, creare la rissa che si cerca e si vuole a tutti i costi, provocare la morte di un giovane che la vita la amava e che se la stava costruendo come si deve. Un giovane che, come ha già sottolineato la pp, tutti sarebbero stati orgogliosi di avere come figlio. Anche alle nostre latitudini, purtroppo, siamo arrivati a realtà di questo genere!». L’aggressione è stata come una macchina da guerra « L’aggressione – ha sottolineato ancora l’avv. Olgiati – è stata come una macchina da guerra, tanto che un teste ha dichiarato che quei tre sembravano un corpo unico. Non si è trattato quindi di un agire da principianti, c’era un’intesa, sono allenati alle risse, si parlavano pure in quei momenti, in nessun caso, quindi, si è trattato di un semplice incidente. C’è stata in quell’agire – ha evidenziato il legale – una ferocia e crudeltà inaudite. Tre contro uno, anche quando Damiano era inerme a terra. Uno che, in più, non aveva fatto nulla affinché si giungesse a quel punto. Hanno agito mostrando mestiere, come persone esperte di risse avvezze a queste attività. Un modus operandi agghiacciante, da criminali navigati, con gli accordi presi dopo il pestaggio sulle eventuali versioni da fornire e le numerose, clamorose e scandalose bugie che hanno poi portato avanti durante l’intera inchiesta». Dov’è il pentimento, dove sono le scuse? «Un altro aspetto preoccupantee che deve farci riflettere – ha fatto notare il rappresentante di parte civile – è anche il fatto che finora non si è ancora intravisto un sostanziale pentimento per il dolore immenso provocato. Dove sono le scuse verso una famiglia così duramente provata per la perdita del loro figlio? Non ho ancora sentito nulla di questo genere, anzi semmai il contrario. Si è infatti anche tentato, subdolamente, da parte di alcuni dei famigliari, di infangare il nome Damiano, di far credere che fosse un drogato morto per questo. Un atteggiamento che dimostra – ha concluso il legale – evidente pericolosità sociale».
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IL DIFENSORE
«Scarcerazione per Ivan Jurkic»
«In ogni caso, la pena a carico di Ivan Jurkic non dovrà superare il tempo già effettivamente trascorso in carcere preventivo». Ha concluso così la sua arringa l’avv. Luca Marcellini, che al processo di Locarno è chiamato a difendere, tra i tre autori dell’aggressione costata la vita a Damiano Tamagni, l’imputato minore. Colui, cioè, che si vede addebitato il reato di aggressione, per avere dato avvio al pestaggio con tre spintoni alla vittima e poi – forse – averla presa a calci sul torace, quando già giaceva al suolo. La richiesta è giunta al termine di un intervento durato per tutta la sessione pomeridiana del processo, durante il quale il legale ha contestato le tesi accusatorie su tre punti precisi: l’effettiva partecipazione di Jurkic alle fasi più efferate del pestaggio, il suo comportamento durante la reclusione e – infine – la commisurazione della pena. Avvocati e deontologia Non ha rinunciato a mettersi in gioco in prima persona, l’avv. Marcellini, per spiegare il clima creatosi attorno al caso Tamagni e a questi giorni di dibattimento pubblico. «Io ho assunto la difesa di Ivan Jurkic poco dopo la tragica notte del 1. febbraio », ha ricordato l’ex procuratore generale. «In genere, non mi occupo più di questa tipologia di reati; quindi, quando la mia segretaria mi ha informato che al telefono c’era il padre di uno degli aggressori, le ho chiesto di declinare l’offerta di un mandato». «Poco dopo», ha proseguito Marcellini, «il mio telefono è tuttavia suonato nuovamente. Era sempre la segretaria; mi chiedeva di rispondere personalmente all’interlocutore, che era in lacrime. Aveva contattato numerosi legali, ma era stato respinto da tutti». «Io trovo inammissibile », ha proseguito Marcellini, spiegando la sua decisione di accettare il caso, «che chi esercita la nostra professione possa non accettare un mandato solo per la pressione dell’opinione pubblica». Stoccata a Luigi Pedrazzini Ma la pressione è solo uno degli elementi che rendono difficile il processo Tamagni, secondo il difensore – il primo a prendere la parola, dopo gli interventi dell’accusa e del rappresentante di parte civile. «In casi come questo, per di più con una vittima del tutto innocente, la giustizia non può aspirare ad avere un ruolo restitutorio; qualsiasi sia la pena, lo squilibrio dei valori in gioco rende impossibile qualsiasi risarcimento, ideale e materiale». Una situazione di violenza assurda, che «crea forte disagio, e una ricerca disperata di spiegazioni accettabili ». Ecco, quindi, il pericolo che gli autori «vengano trasformati in mostri, tanto è difficile per noi identificarci in loro; ci sono del tutto estranei per ceto, censo, età, etnia». Il risultato di questa particolare situazione emotiva, ha sostenuto l’ex pp, è dunque una tensione che non per forza giunge a trovare le risposte giuste. «Già nei giorni immediatamente successivi, l’opinione pubblica aveva tutte le risposte, con una condanna già scritta e uguale per tutti i presunti colpevoli». Un sentimento che ha preso varie forme:«dalle minacce di morte sui blog alle critiche per i difensori degli accusati ». «Altri ancora, più elegantemente, si limitavano a invocare “pene esemplari”, prima ancora che i fatti fossero accertati e chiariti », ha poi aggiunto Marcellini, con un non troppo velato riferimento alle esternazioni del direttore del Dipartimento istituzioni, Luigi Pedrazzini. «La corte sia serena» Un clima di disagio, di fronte al quale la corte è stata invitata – dal legale di Ivan Jurkic – a «operare serenamente e coraggiosamente, così da giungere a un giudizio davvero esemplare, perché liberato da ogni condizionamento ». E il punto di partenza, per questo percorso in cerca della verità processuale, è l’inchiesta: «un procedimento raramente visto in Ticino, per il modo e la completezza con cui è stato condotto». «È stato cercato tutto e in ogni dove», ha spiegato Marcellini, che è poi entrato nel merito della posizione del suo cliente: «Tutte le ricerche svolte escludono chiaramente una possibile responsabilità di Ivan Jurkic nella morte di Damiano Tamagni». Testimonianze in conflitto L’elemento principale citato da Marcellini, per sollevare la posizione del suo assistito, è la natura «frammentaria, contraddittoria e parziale delle testimonianze». Delle trenta persone che hanno fornito la loro versione dei fatti, solo due – ha ricordato il difensore – hanno indicato in Jurkic uno degli aggressori che hanno colpito Damiano Tamagni mentre si trovava a terra; e per entrambi questi testimoni esistevano conti in sospeso con Jurkic o un interesse ad aggravare la sua posizione. Ecco quindi la richiesta di un ridimensionamento dell’accusa: non aggressione, bensì rissa, reato che prevede una pena non superiore a tre anni. «Perché l’unica cosa confermata – ha riassunto Marcellini – è che Ivan Jurkic ha spintonato tre volte Damiano Tamagni; ed è ragionevole pensare che, nel farlo, non intendesse dare avvio a un pestaggio focalizzato su un’unica vittima, bensì che potesse aspettarsi lo scoppio di una rissa generale, considerata l’alta tensione di quei momenti in via Borghese». Passato senza macchia Per corroborare la sua richiesta di un trattamento mite, Marcellini ha ricordato anche il profilo personale di Jurkic: «Una persona ricordata da tutte le persone interpellate come tranquilla e disponibile, di cui si ricorda solo uno screzio con un professore al primo anno di apprendistato». Un giovane ben inserito, anche sul lavoro, «che ha sopportato una lunga carcerazione in condizioni molto rigorose, senza avere un colloquio libero con nessuno per per i primi quattro mesi della reclusione». Una persona, ha infine aggiunto Marcellini, che anche fuori dal carcere sarà confrontata a un futuro problematico, e non potrà in nessun caso essere la stessa: per Ivan Jurkic, infatti, il ritorno alla libertà significherà anche – almeno in un primo tempo – «un trasferimento all’estero, con l’allontanamento dalla famiglia e dal luogo in cui è sempre vissuto».
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I RISARCIMENTI CHIESTI
Torto morale e spese legali per 264 mila franchi
Centocinquantamila franchi per i genitori di Damiano Tamagni e 25 mila per la sorella per torto morale; 18 mila franchi per il danno materiale (spese ospedaliere, funerali, ecc.) e altri 71 mila franchi per le spese legali:complessivamente ammonta quindi a 264 mila franchi l’entità dei risarcimenti che il legale di parte civile avv. Diego Olgiati ha chiesto ieri al termine del suo intervento. «Il risarcimento di 175 mila franchi per torto morale – ha precisato– èdovuto alla famiglia Tamagni per l’estrema gravità di quanto accaduto, fatti che hanno distrutto dal dolore una famiglia la quale dovrà avvalersi ancora per diverso tempo di sostegno medico per elaborare l’accaduto. Questi soldi non finiranno comunque nelle tasche dei famigliari, ma andranno a beneficio della Fondazione che porta il nome di Damiano». Da rilevare infine che il dott. Ennio Pedrinis non ha chiesto alcun compenso per la perizia medico-legale allestita per conto della parte civile.
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