24 gennaio 2009 - Corriere del Ticino

Un omicidio al limite dell’assassinio
L’avvocato di parte civile: «Hanno agito come dei criminali molto navigati»
Marko Tomic e Ivica Grgic sono degli «omicidi anoma­li », hanno piuttosto il profilo degli assassini: lo ha rileva­to ieri l’avv. Diego Olgiati, rappresentante di parte civile, nel suo intervento al processo per la morte di Damiano
PAGINA A CURA DI LUCA CONTI E OLIVER BROGGINI
Quello imputabile a Marko To­mic e Ivica Grgic è un omicidio ai confini dell’assassinio per la gratuità inaudita che ha provoca­to, con due violenti calci sferrati al capo quando era a terra indifeso, la morte di Damiano Tamagni. Lo ha sottolineato ieri l’avv. Diego Olgiati, che rappresenta la fami­glia Tamagni, chiedendo al ter­mine del suo duro intervento la conferma integrale dell’atto d’ac­cusa steso dalla pp Rosa Item. Olgiati ha pure domandato ai giu­dici di analizzare se il dolo even­tuale considerato (cioè la conse­guenza non voluta di un’azione, il che comprenderebbe anche l’in­cidente) non sconfini in questa uccisione nel dolo diretto, che esclude invece ogni e qualsiasi possibilità dell’atto non voluto. «L’uccisione di Damiano quella triste sera del 1. febbraio dello scorso anno durante il carneva­le locarnese – ha rilevato l’avv. Olgiati – si caratterizza per una totale assenza di movente, un’as­soluta e inaudita gratuità nell’agi­re, un cinismo e una crudeltà senza pari, una sete di violenza tale che questo omicidio si situa ai confini dell’assassinio. Non vo­gliamo un processo di piazza co­me parte civile, ma che ci sia un giudizio equo e corretto. La pro­curatrice in tal senso ha già pon­derato bene le varie responsabi­lità nella stesura dell’atto d’accu­sa, dove Ivan Jurkic si salva per il rotto della cuffia dall’accusa di PARTE CIVILE L’avv. Diego Ol­giati. (foto Nicola Demaldi) omicidio passando a quella di aggressione, non avendo inferto i calci mortali al capo di Damia­no. Ma Tomic e Grgic hanno vo­luto uccidere in quanto sapeva­no che colpire con una tale vio­lenza alla testa con forti pedate una persona a terra indifesa può provocarne la morte. E sarebbe una vera e propria aberrazione sostenere che l’azione si è svol­ta in una manciata di secondi e che, quindi, non ci si poteva ren­dere conto della dinamica di quanto stava succedendo». La violenza come unica regola di vita «Come si può arrivare a uccide­re un proprio simile, un coeta­neo, per di più durante una sera di festa, così per sport, senza un movente, senza che nemmeno lo si conosca, senza che vi sia la benché minima provocazione, la scintilla che possa giustificare una rissa? Ce lo spiegano bene – ha osservato l’avv. Olgiati – mol­te delle testimonianze raccolte in questa difficile inchiesta. A più riprese chi parla degli imputati li descrive infatti come rissosi, ar­roganti, aggressivi, col gusto del­la lite: praticano insomma la ris­sa per mestiere e se ne vantano anche, hanno un vero e proprio culto della violenza che è la loro regola di vita. Basti pensare an­che allo spirito con cui si sono re­cati quella sera al carnevale, con le frasi già più volte citate in que­st’aula: “Chi picchiamo stasera?” o ancora “Il primo che mi rom­pe lo ammazzo”. Una violenza au­tomatica – ha proseguito il patro­cinatore di parte civile – che fa pensare a meccanismi che sono più pertinenti per gli animali che non per gli esseri umani. E così anche il nulla può originare vio­lenza, creare la rissa che si cerca e si vuole a tutti i costi, provoca­re la morte di un giovane che la vita la amava e che se la stava co­struendo come si deve. Un gio­vane che, come ha già sottolinea­to la pp, tutti sarebbero stati orgo­gliosi di avere come figlio. Anche alle nostre latitudini, purtroppo, siamo arrivati a realtà di questo genere!». L’aggressione è stata come una macchina da guerra « L’aggressione – ha sottolineato ancora l’avv. Olgiati – è stata come una macchina da guerra, tanto che un teste ha dichiarato che quei tre sembravano un corpo unico. Non si è trattato quindi di un agire da principianti, c’era un’intesa, so­no allenati alle risse, si parlavano pure in quei momenti, in nessun caso, quindi, si è trattato di un semplice incidente. C’è stata in quell’agire – ha evidenziato il le­gale – una ferocia e crudeltà inau­dite. Tre contro uno, anche quan­do Damiano era inerme a terra. Uno che, in più, non aveva fatto nulla affinché si giungesse a quel punto. Hanno agito mostrando mestiere, come persone esperte di risse avvezze a queste attività. Un modus operandi agghiaccian­­te, da criminali navigati, con gli ac­cordi presi dopo il pestaggio sulle eventuali versioni da fornire e le numerose, clamorose e scanda­lose bugie che hanno poi portato avanti durante l’intera inchiesta». Dov’è il pentimento, dove sono le scuse? «Un altro aspetto preoccupantee che deve farci riflettere – ha fatto notare il rappresentante di parte civile – è anche il fatto che finora non si è ancora intravisto un so­stanziale pentimento per il dolo­re immenso provocato. Dove so­no l­e scuse verso una famiglia co­sì duramente provata per la perdi­ta del loro figlio? Non ho ancora sentito nulla di questo genere, an­zi semmai il contrario. Si è infatti anche tentato, subdolamente, da parte di alcuni dei famigliari, di in­fangare il nome Damiano, di far credere che fosse un drogato mor­to per questo. Un atteggiamento che dimostra – ha concluso il lega­le – evidente pericolosità sociale».
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IL DIFENSORE
«Scarcerazione per Ivan Jurkic»
«In ogni caso, la pena a carico di Ivan Jurkic non dovrà supera­re il tempo già effettivamente tra­scorso in carcere preventivo». Ha concluso così la sua arringa l’avv. Luca Marcellini, che al proces­so di Locarno è chiamato a difen­dere, tra i tre autori dell’aggres­sione costata la vita a Damiano Tamagni, l’imputato minore. Co­lui, cioè, che si vede addebitato il reato di aggressione, per avere da­to avvio al pestaggio con tre spin­toni alla vittima e poi – forse – averla presa a calci sul torace, quando già giaceva al suolo. La richiesta è giunta al termine di un intervento durato per tutta la ses­sione pomeridiana del processo, durante il quale il legale ha con­testato le tesi accusatorie su tre punti precisi: l’effettiva parteci­pazione di Jurkic alle fasi più effe­rate del pestaggio, il suo compor­tamento durante la reclusione e – infine – la commisurazione del­la pena. Avvocati e deontologia Non ha rinunciato a mettersi in gioco in prima persona, l’avv. Marcellini, per spiegare il clima creatosi attorno al caso Tama­gni e a questi giorni di dibatti­mento pubblico. «Io ho assun­to la difesa di Ivan Jurkic poco dopo la tragica notte del 1. feb­braio », ha ricordato l’ex procu­ratore generale. «In genere, non mi occupo più di questa tipolo­gia di reati; quindi, quando la mia segretaria mi ha informato che al telefono c’era il padre di uno degli aggressori, le ho chie­sto di declinare l’offerta di un mandato». «Poco dopo», ha pro­seguito Marcellini, «il mio tele­fono è tuttavia suonato nuova­mente. Era sempre la segretaria; mi chiedeva di rispondere per­sonalmente all’interlocutore, che era in lacrime. Aveva contattato numerosi legali, ma era stato re­spinto da tutti». «Io trovo inam­missibile », ha proseguito Mar­cellini, spiegando la sua decisio­ne di accettare il caso, «che chi esercita la nostra professione possa non accettare un manda­to solo per la pressione dell’opi­nione pubblica». Stoccata a Luigi Pedrazzini Ma la pressione è solo uno degli elementi che rendono difficile il processo Tamagni, secondo il di­fensore – il primo a prendere la parola, dopo gli interventi dell’ac­cusa e del rappresentante di par­te civile. «In casi come questo, per di più con una vittima del tutto innocente, la giustizia non può aspirare ad avere un ruolo restitu­torio; qualsiasi sia la pena, lo squilibrio dei valori in gioco ren­de impossibile qualsiasi risarci­mento, ideale e materiale». Una situazione di violenza assurda, che «crea forte disagio, e una ri­cerca disperata di spiegazioni ac­cettabili ». Ecco, quindi, il perico­lo che gli autori «vengano trasfor­mati in mostri, tanto è difficile per noi identificarci in loro; ci sono del tutto estranei per ceto, censo, età, etnia». Il risultato di questa particolare situazione emotiva, ha sostenu­to l’ex pp, è dunque una tensio­ne che non per forza giunge a tro­vare le risposte giuste. «Già nei giorni immediatamente succes­sivi, l’opinione pubblica aveva tutte le risposte, con una condan­na già scritta e uguale per tutti i presunti colpevoli». Un sentimen­to che ha preso varie forme:«dal­le minacce di morte sui blog alle critiche per i difensori degli ac­cusati ». «Altri ancora, più elegan­temente, si limitavano a invocare “pene esemplari”, prima ancora che i fatti fossero accertati e chia­riti », ha poi aggiunto Marcellini, con un non troppo velato riferi­mento alle esternazioni del diret­tore del Dipartimento istituzio­ni, Luigi Pedrazzini. «La corte sia serena» Un clima di disagio, di fronte al quale la corte è stata invitata – dal legale di Ivan Jurkic – a «ope­rare serenamente e coraggiosa­mente, così da giungere a un giu­dizio davvero esemplare, perché liberato da ogni condizionamen­to ». E il punto di partenza, per questo percorso in cerca della ve­rità processuale, è l’inchiesta: «un procedimento raramente visto in Ticino, per il modo e la comple­tezza con cui è stato condotto». «È stato cercato tutto e in ogni dove», ha spiegato Marcellini, che è poi entrato nel merito della po­sizione del suo cliente: «Tutte le ricerche svolte escludono chia­ramente una possibile responsa­bilità di Ivan Jurkic nella morte di Damiano Tamagni». Testimonianze in conflitto L’elemento principale citato da Marcellini, per sollevare la posi­zione del suo assistito, è la natu­ra «frammentaria, contraddittoria e parziale delle testimonianze». Delle trenta persone che hanno fornito la loro versione dei fatti, solo due – ha ricordato il difen­sore – hanno indicato in Jurkic uno degli aggressori che hanno colpito Damiano Tamagni men­tre si trovava a terra; e per en­trambi questi testimoni esisteva­no conti in sospeso con Jurkic o un interesse ad aggravare la sua posizione. Ecco quindi la richie­sta di un ridimensionamento del­l’accusa: non aggressione, bensì rissa, reato che prevede una pe­na non superiore a tre anni. «Per­ché l’unica cosa confermata – ha riassunto Marcellini – è che Ivan Jurkic ha spintonato tre volte Da­miano Tamagni; ed è ragionevo­le pensare che, nel farlo, non in­tendesse dare avvio a un pestag­gio focalizzato su un’unica vitti­ma, bensì che potesse aspettarsi lo scoppio di una rissa generale, considerata l’alta tensione di quei momenti in via Borghese». Passato senza macchia Per corroborare la sua richiesta di un trattamento mite, Marcel­lini ha ricordato anche il profilo personale di Jurkic: «Una perso­na ricordata da tutte le persone interpellate come tranquilla e di­sponibile, di cui si ricorda solo uno screzio con un professore al primo anno di apprendistato». Un giovane ben inserito, anche sul lavoro, «che ha sopportato una lunga carcerazione in condi­zioni molto rigorose, senza ave­re un colloquio libero con nessu­no per per i primi quattro mesi della reclusione». Una persona, ha infine aggiunto Marcellini, che anche fuori dal carcere sarà con­frontata a un futuro problemati­co, e non potrà in nessun caso es­sere la stessa: per Ivan Jurkic, in­fatti, il ritorno alla libertà signifi­cherà anche – almeno in un pri­mo tempo – «un trasferimento al­l’estero, con l’allontanamento dal­la famiglia e dal luogo in cui è sempre vissuto».
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I RISARCIMENTI CHIESTI
Torto morale e spese legali per 264 mila franchi
Centocinquantamila franchi per i genitori di Damiano Tama­gni e 25 mila per la sorella per tor­to morale; 18 mila franchi per il danno materiale (spese ospeda­­liere, funerali, ecc.) e altri 71 mi­la franchi per le spese legali:com­plessivamente ammonta quindi a 264 mila franchi l’entità dei ri­sarcimenti che il legale di parte civile avv. Diego Olgiati ha chiesto ieri al termine del suo interven­to. «Il risarcimento di 175 mila franchi per torto morale – ha pre­cisato– èdovuto alla famiglia Ta­magni per l’estrema gravità di quanto accaduto, fatti che hanno distrutto dal dolore una famiglia la quale dovrà avvalersi ancora per diverso tempo di sostegno medico per elaborare l’accaduto. Questi soldi non finiranno co­munque nelle tasche dei fami­gliari, ma andranno a beneficio della Fondazione che porta il no­me di Damiano». Da rilevare in­fine che il dott. Ennio Pedrinis non ha chiesto alcun compenso per la perizia medico-legale alle­stita per conto della parte civile.

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