19 gennaio 2009 - Giornale del Popolo

Processo di Locarno/1
Come mai è avvenuto tutto ciò?
di GRAZIANO MARTIGNONI

Si apre oggi a Locarno il processo contro i responsabili della morte del giovane Damiano Tamagni . È il tempo in cui il dolore si ravviva lacerante per la perdita di una giovane innocente vittima, per la violenza che si è scatenata apparentemente senza senso quella notte, per l’orrore che ha attraversato tutta una comunità . Ma al di là del dolore individuale di coloro che ne sono rimasti toccati, un dolore su cui nulla può essere detto se non partecipando in silenzio alla sua profondità , il tempo del processo è anche tempo della lacerazione subita da tutta una comunità , che attraverso la pensosa tranquillità della Giustizia potrà forse essere quietata. Dopo il caos che simili eventi traumatici provocano, capaci di gettarci nello spavento, la Giustizia deve avere in sè, proteggere a volte, la capacità di ritrovare l’Ordine delle cose, dei destini infranti, delle ingiustizie ricevute. Ma tutto ciò ha bisogno di silenzio. Non un silenzio indifferente o distratto, ma pensante. In questi giorni i commenti si sprecheranno inutilmente alla ricerca della verità , quando essa è già perduta e rinchiusa nei momenti di quei gesti di follia, forse irrecuperabile. La Giustizia proverà a legare la responsabilità individuale all’esercizio della libertà , anche quando è governata dal Male o dalla follia di un attimo. A noi spetta riflettere ancora una volta sul come elaborare il lutto, sul cui duro selciato, quella notte, ci ha gettato. Si può passare a lato, come se la cosa non ci interessasse, ci si può accontentare di giudicare e condannare, se così sarà , il colpevole o i colpevoli oppure ci si potrà interrogare, pur nella consapevolezza di non trovare infine una vera riposta, a quali siano, al di là dell’evento stesso, le responsabilità comuni, di cui tutti non possiamo non farci carico. Responsabilità che abitano i dintorni di una semplice e inestricabile domanda: « come mai è stato possibile tutto ciò? » . La domanda è allora non tanto se oggi la violenza giovanile ( ma non solo) è più frequente, ma cosa è cambiato nelle forme e nelle ragioni di questa violenza. Qui la riposta è più facile. Si uccide e si pratica violenza sempre più per un apparente nulla, come se la posta in gioco fosse quella di una sopravvivenza individuale o di “gregge” più profonda e radicale, che la “ violenza banale” sull’altro dovrebbe garantire, almeno per un momento.

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Processo di Locarno/2
Un anno non è passato invano
di STEFANO LAPPE

Il tempo plasma, acquieta, rimuo­ve, chiarisce… ma che effetto ha avu­to sulla morte di Damiano al carne­vale di Locarno? Sicuramente non ne ha cancellato il ricordo, il dolore, la paura, la rabbia... Sentimenti questi che, proprio oggi con l’inizio del processo, riaffiorano con maggiore prepotenza nel cuore di molti di noi, ancora increduli e scossi per quanto è potuto accadere, per la gravità del fatto.
Sentimenti iniziali anche compren­sibilmente negativi, quali odio e vendet­ta, che il tempo ci ha permesso di elabo­rare e di trasformare in “coraggio” di com­battere e soprattutto di cercare soluzioni, per dar voce a quel mondo giovanile ric­co anche di speranze, aspettative, entu­siasmo e sogni per un mondo diverso. So­lo così la morte di un nostro compagno troverà uno spiraglio – seppur minimo – di luce. Se da un lato rivivremo la tristezza di quei giorni, dall’altro il processo ci offrirà nuo­vi stimoli per affrontare ulteriori discus­sioni, nuovi confronti, per porre doman­de, cercare risposte e soprattutto per con­tinuare a riflettere su un tema tanto im­portante e complesso quanto quello del­la violenza giovanile. Una domanda viene spontanea: che co­sa è stato fatto per far sì che tali situazio­ni non possano e non debbano più ripe­tersi? Dal canto mio, quale membro del gruppo di lavoro “Giovani-Violenza-Edu­cazione”, prontamente istituito dal Con­siglio di Stato, posso confermare la dedi­zione e l’impegno del Gruppo nell’elabo­rare le diverse proposte indirizzate al Go­verno e atte ad arginare questo sconcer­tante fenomeno. Come giovane avrei forse desiderato una più veloce concretiz­zazione delle idee nate dalla Commissio­ne, ma mi sono reso conto che per esse­re vagliati ed approvati, i progetti neces­sitano di valutazioni approfondite, riva­lutazioni, studi e naturalmente del con­senso politico. In attesa, cosa si può fare per dire “basta” alla violenza nel mondo giovanile? Il ruo­lo più importante lo detiene sicuramen­te la famiglia, oggi chiamata a competen­ze molto più complesse di un tempo: nul­la può sostituire un rapporto sincero e aperto tra figli e genitori in un clima di fi­ducia, di rispetto e di accettazione del di­ritto di ognuno di noi a seguire la propria inclinazione formativa verso l’autorealiz­zazione. Inoltre, dalla mia esperienza di studente, sono convinto che la scuola ci sia di gran­de aiuto: una scuola fatta di insegnanti im­pegnati sì, ma anche attenti e rispettosi delle nostre emozioni, dei nostri senti­menti e soprattutto dei nostri disagi, per evitare che gli stessi si trasformino in qual­cosa di peggio e di sbagliato. In questo modo si rendono partecipi anche i ragaz­zi più “assenti”, problematici e apparen­temente disinteressati alle lezioni. È proprio anche per questi motivi che nel­la mia scuola è maturata l’idea di creare un comitato studenti, che oltre a dar vo­ce a problemi prettamente scolastici, ci permette di affondare apertamente i no­stri problemi, di aiutare e di sostenere at­tività giovanili. Accanto a ciò non bisogna dimenticare i contributi di molteplici as­sociazioni che in svariati modi cercano di prevenire la violenza: chi lanciando un Appello all’educazione, chi puntando ad un fair play prima che nello sport nella vi­ta, e così via. Insomma, è solo lavorando in sinergia che, forse, un giorno la violenza appar­terrà al passato.

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