PROCESSO TAMAGNI Damiano è morto per la rottura di un’arteria causata da un violento colpo
La perizia della difesa non ha convinto la Corte
di LUCA PELLONI e PATRICK MANCINI
Regge per qualche minuto la perizia della difesa. Poi vacilla. La giornata di ieri segna una nuova tappa, forse cruciale, per il processo Tamagni, in corso da lunedì davanti alla Corte delle assise criminali di Locarno. Angelo Fiori, il medico che su richiesta dell’avvocato Yasar Ravi ha effettuato la terza perizia, non riesce a convincere la Corte, presieduta dal giudice Mauro Ermani. Una perizia di parte, voluta dallo stesso Ravi, legale di Marko Tomic, uno dei tre ragazzi alla sbarra per avere picchiato a morte Damiano Tamagni lo scorso primo febbraio al carnevale di Locarno. Una perizia che parte dai fatti, anziché dall’analisi delle lesioni riscontrate sul corpo di Damiano. Il 22enne di Gordola è deceduto in seguito alla lacerazione dell’arteria vertebrale sinistra, un vaso sanguineo che trasporta il sangue verso il cervello. Fiori sostiene che non sia possibile stabilire con certezza quali colpi abbiano provocato la lesione letale. Ipotizzando, inoltre, che Damiano avrebbe potuto ricevere la botta mortale quando ancora si trovava in piedi. Di fronte Fiori si è, però, trovato quel Mauro Ermani che, giorno dopo giorno, per abilità e per reattività, si sta dimostrando l’assoluto protagonista di questo processo. La giornata dei periti ieri si era aperta con l’arrivo in aula di Antonio Osculati, autore dell’autopsia sul corpo del 22enne di Gordola. Marko Tomic (19 anni), Ivan Jurkic (20) e Ivica Grgcic (23) erano di nuovo alla sbarra. Mancava, ovviamente, il quarto imputato, il ticinese che ha partecipato all’aggressione: verrà processato a parte perché minorenne. In aula, tra il pubblico, era tuttavia presente il suo avvocato, Ignazio Maria Clemente. Il terzo giorno di processo si accende nel pomeriggio. Dopo la relazione di Ennio Pedrinis, perito incaricato dalla famiglia Tamagni, in aula appare Fiori ed espone la sua versione. Lo fa con fermezza, appellandosi alla letteratura scientifica. Lasciando trapelare, da subito, un dettaglio imbarazzante. Fiori, contrariamente agli altri due esperti, è partito dai fatti, anziché dalla scienza, per effettuare la sua perizia. Da quel momento l’atmosfera si fa incandescente. Oggi, giovedì, si concluderà la fase istruttoria e la parola passerà alla procuratrice pubblica Rosa Item.
***
Ecco i tre periti
ANTONIO OSCULATI Lavora per l’università e per l’ospedale di Varese come medico legale. Ha fatto il perito in vari tribunali italiani e svizzeri. Antonio Osculati è specialista dal 1999, anche se esercita questa attività dal 1995. Il 22 aprile del 2008 ha allestito un primo rapporto su Damiano Tamagni.
ENNIO PEDRINIS È il perito della famiglia Tamagni. Citato come teste, è stato consulente scientifico per la parte civile. Ennio Pedrinis, patologo, ha effettuato una seconda perizia su commissione dell’avvocato Diego Olgiati, legale dei Tamagni.
ANGELO FIORI È il perito di parte dell’avvocato Yasar Ravi, difensore di Marko Tomic. Angelo Fiori è professore all’Università Cattolica di Roma. Sostiene che non è possibile attribuire a Tomic e a Grgic la responsabilità della morte di Damiano. La sua perizia, contrariamente a quella dei suoi due colleghi, parte dai fatti anziché dall’analisi del corpo di Damiano.
***
I tre medici davanti al giudice
«C’è una sostanziale differenza di metodo, di approccio, nello stilare le perizie. Il dottor Osculati e il dottor Pedrinis fanno astrazione dai fatti e si basano sugli indizi scientifici reperiti grazie all’esame autoptico. Mentre lei, dottor Fiori, intitola il suo primo capitolo “Circostanze dei fatti e situazione clinica”». Subito l’obiezione del giudice Ermani, per capire quale sia stato l’approccio utilizzato dal perito della difesa di Marko Tomic. «Partire da dati scientifici per spiegare i fatti è una cosa. Il contrario è un’altra », ha continuato il presidente della Corte senza mai mettere in dubbio l’affidabilità del dottor Fiori, ma palesando una certa difficoltà nel comprendere la metodologia utilizzata dall’esperto.
Questione di metodo?
«In Italia, dove ho partecipato a molti processi in qualità di perito, è questa la prassi», ha spiegato Fiori. «Poi, ovviamente, sarà la Corte a giudicare quali fatti siano veritieri o accertabili ». Ermani ha dunque rivolto molteplici domande a Fiori. Tra queste ha chiesto delucidazioni su come possa avvenire la lacerazione dell’arteria vertebrale intracranica, causa ultima della morte di Damiano, che ha provocato un’emorragia massiccia, la quale ha compresso il cervello facendogli mancare ossigeno: su questo punto tutti gli esperti convergono. Ma poi iniziano a differire. Per Osculati e Pedrinis una lacerazione longitudinale di 3 millimetri è notevole. «È almeno pari al diametro dell’arteria stessa », ha spiegato quest’ultimo. «L’arteria in questione è fragile. La letteratura parla di rotture spontanee, ma anche di lesioni registrate dopo una danza o con un massaggio chiropratico », ha poi asserito Fiori, rispondendo alla domanda del giudice. Tesi che però non viene sposata dagli altri due esperti: «È raro che si rompa», hanno infatti sostenuto. E proprio questa rarità è la causa delle difficoltà a giungere a una visione delle cose almeno in parte condivisa.
Il pugno che non c’è
Il primo a comparire in aula è stato Antonio Osculati, medico legale di Varese. Un uomo elegante, con baffi e pizzetto, dai modi di fare raffinati. È stato lui ad assistere Damiano quando la sua vita era ancora appesa a un filo. È stato lui, un paio di giorni dopo, a effettuare l’autopsia sul corpo del ragazzo. È stato lui a visitare Tomic, Grgcic e Jurkic sabato mattina 2 febbraio 2008. Osculati ha fugato ogni dubbio: Damiano non ha ricevuto pugni al viso. Il cazzotto che Grgic continua a sostenere di avere sferrato al giovane di Gordola, dunque, non c’è stato. O non è stato inferto in viso. Ma c’è di più. A risultare fatale per Damiano è stata la lacerazione all’arteria vertebrale sinistra. Una lesione che, secondo il medico, sarebbe stata causata da un movimento della testa complesso e improvviso. Un movimento che, solitamente, è provocato dal contrasto con qualcosa di estremamente violento. Osculati ha riscontrato, grazie a un esame microscopico, due lesioni “sospette” sul corpo di Damiano: una alla tempia e una al collo. A farlo morire, stando alle dichiarazioni dell’esperto, potrebbe essere stata una sola di queste, come pure entrambe. Poi in aula cala il gelo. Ermani legge a Osculati la versione del dottor Fiori secondo cui la lacerazione dell’arteria cranica sarebbe potuta avvenire mentre Damiano si trovava ancora in piedi. «Non sono in grado né di smentire, né di sottoscrivere questa tesi», risponde Osculati. Tesi che confermerà anche nel confronto tra i periti. Una cosa sembra però ormai assodata: la lacerazione dell’arteria è intervenuta per uno o più colpi al capo. Toccherà dunque alla Corte stabilire se Damiano abbia subito colpi alla testa prima di cadere a terra.
L’alcol non c’entra
In Damiano è stato riscontrato un tasso di alcolemia nel sangue di 0,37 per mille. Un elevato tasso di alcol nel sangue può facilitare la lacerazione dell’arteria. Su questo tutti gli esperti concordano. Ma non è il caso. Ennio Pedrinis, perito della famiglia Tamagni, ha specificato: «Una minima quantità di alcol può, al contrario, avere effetti positivi, poiché migliora la contrazione muscolare. Quindi, visto che Damiano, quando era ancora in piedi, era vigile e tentava di parare i colpi, gli ha al limite permesso una migliore reazione dei muscoli del collo. È quindi poco probabile che vi sia stato un movimento anomalo del capo, tale da provocare la lacerazione, poiché anche il corpo si muoveva».
L’effetto zavorra
Pedrinis ha poi aggiunto un particolare interessante: «Quando Damiano è finito a terra, era sicuramente confuso, perché aveva anche subito delle lesioni su varie parti del corpo». Una o più pedate alla gamba, tra gli altri colpi inferti al 22enne di Gordola. «Quando si è a contatto con il suolo è molto più probabile che un colpo al capo provochi una torsione del collo e quindi la lacerazione dell’arteria, perché il corpo funge da ancora, da zavorra», ha concluso l’esperto.
L’ipoplasia
Le arterie vertebrali sono di norma due. Una può però essere molto più piccola dell’altra. È il caso di Damiano. «Non è un’anomalia. È una variante anatomica», ha spiegato Osculati. E l’arteria lacerata è proprio quella più capiente. «L’altra, dunque, non ha potuto compensare la mancanza di sangue nel cervello», ha aggiunto Pedrinis. Accelerando dunque la perdita di conoscenza.
***
I tempi per stabilire le colpe
Il tempo può giocare un ruolo determinante nello stabilire le colpe dei singoli imputati. Nel capire chi ha inferto il colpo letale. Il professor Angelo Fiori sostiene che dal verificarsi della lacerazione all’arteria vertebrale alla perdita di conoscenza, con arresto circolatorio e respiratorio, possa passare anche un minuto. Quindi potrebbero essere stati anche i colpi inferti prima della caduta a terra a causare la morte di Damiano. Il dottor Antonio Osculati parla invece di una manciata di secondi. Mentre Ennio Pedrinis, perito di parte civile, scende più nel dettaglio, grazie alla sua esperienza in medicina clinica oltre a quella di anatomo patologo: «Quando si presenta un arresto cardiaco, bastano due secondi per vedere i primi sintomi. Entro i 5 secondi può già manifestarsi uno stato d’incoscienza. Oltre, diventa la regola».
***
Seconda aula per accogliere tutti
Il processo Tamagni continua ad attirare molte persone. Non solo parenti e giornalisti. Ma anche gente comune che, per un motivo o per l’altro, vuole semplicemente assistere al dibattimento. La sala della corte delle assise criminali di Locarno si è rivelata troppo piccola per accogliere tutti gli interessati. Da ieri pomeriggio è, dunque, stata allestita una seconda aula, al primo piano del nuovo Palazzo amministrativo, in cui sono proiettate a circuito chiuso le immagini del processo. Una soluzione concessa dalla legge, nonostante il divieto di filmare i processi, grazie al consenso delle parti.
***
Il commento
I morti vivi
di FRANCO LAZZAROTTO *
Cercata, attesa, sognata, accecante, temuta, prodotta dal sole o dai riflettori, la luce resta per tutti noi elemento fisicamente vitale. Ma è e sarà sempre, comunque, unicamente luce “esterna”. Ben più vitale e si spera cercata, attesa e sognata, ma mai accecante e temuta, dovrebbe invece essere la luce che ognuno di noi riesce a far splendere dentro di sé. Una luce che di certo da mesi non splende più nei giovani sottoposti in questi giorni a giudizio, come non potrà mai più splendere nell’animo dei loro cari. Tutti loro sono infatti altrettante vittime, pur se ancora respiranti, di un’immane tragedia. E, come sempre capita di fronte a ogni tremendo fatto cui dobbiamo affiancare l’altrettanto tragico aggettivo “evitabile”, eccoci qui ancora una volta, sicuramente e purtroppo non l’ultima, a porci le classiche tre domande : Perché? Per chi? Per quanto? Alla prima, oltre alla ricerca dei perché cui può e deve dare risposta, ci piaccia o no, unicamente l’autorità giudicante dobbiamo aggiungere la lunga lista dei “perché” si sia giunti a tanto anche alle nostre, sempre credute immuni da questi fenomeni, latitudini. Ed allora improvvisamente ci potremmo forse sedere in tanti sulla sedia degli accusati. L’ho sempre detto e scritto da subito: Damiano non lo abbiamo ammazzato un po’ anche noi? Noi che magari di fronte a fatti già gravi e allarmanti abbiamo preferito non denunciare, abbiamo preferito volgere lo sguardo da un’altra parte, abbiamo preferito minimizzare, tanto da noi certe cose non possono capitare. Abbiamo preferito non metterci, come adulti, in discussione. Abbiamo preferito non chiederci se il mondo in cui i nostri giovani crescono non lo abbiamo per caso creato noi. Si possono poi certo fare tutti i distinguo (alcuni anche corretti e da fare e dire senza mezzi termini) sui vari modi, sistemi, gradi e differenze di educazione, cultura e vissuto personale. Resterà tuttavia e sempre il rammarico, soprattutto negli educatori come chi scrive, di non aver forse e purtroppo visto, capito, intuito segnali che avrebbero potuto e dovuto evitare la tragedia. Se solo dovessimo, con coscienza, anche solo abbozzare positiva risposta, diamoci una vistosa mossa e reagiamo come s’usa da parte di chi vuole e deve essere Cittadino responsabile. Facciamoci sentire chiaro e forte, ognuno nei suoi ambiti di competenza, certo senza esagerazioni o preclusioni, ma come dovrebbe essere consono ai nostri radicati ideali. Chiediamo il totale e costante rispetto delle leggi vigenti e, se necessario (ed è palese che lo sia), proponiamone di nuove e più efficienti. Si leggano e, dopo democratica (nei modi ma non nei soliti lunghi tempi…) scelta, si applichino le misure ritenute efficaci e contenute (anche) nei rapporti stesi per l’Autorità dai vari gruppi di lavoro. Mai facendo d’ogni erba il classico fascio, ma con assoluto rigore togliamo dal vivere societario chi è e mette gli altri in palese difficoltà, inserendolo in strutture adeguate di recupero (da costruire anche da noi molto in fretta) o rifiutando l’immeritata ospitalità a chi non ha capito o non vuol condividere (per scaltrezza e comodità) usi e costumi del tessuto sociale che lo circonda. Se tutti, onestamente, decidono di farlo, prepariamoci al più positivo terremoto coscienziale! Purtroppo, la carta d’identità mi condanna e mi riporta alla cruda realtà: dal nostro osservatorio scolastico, certo di parte, ma che, diciamolo forte e senza paura, nella stragrande maggioranza dei suoi collaboratori è positivamente attivo e presente (e spesso e volentieri lasciato (...) * Direttore Scuola media di Biasca
Nessun commento:
Posta un commento