22 gennaio 2009 - Giornale del Popolo

PROCESSO TAMAGNI Damiano è morto per la rottura di un’arteria causata da un violento colpo
La perizia della difesa non ha convinto la Corte
di LUCA PELLONI e PATRICK MANCINI
Regge per qualche minuto la perizia della dife­sa. Poi vacilla. La giornata di ieri segna una nuo­va tappa, forse cruciale, per il processo Tamagni, in corso da lunedì davanti alla Corte delle assise criminali di Locarno. Angelo Fiori, il medico che su richiesta dell’avvocato Yasar Ravi ha effettua­to la terza perizia, non riesce a convincere la Cor­te, presieduta dal giudice Mauro Ermani. Una pe­rizia di parte, voluta dallo stesso Ravi, legale di Marko Tomic, uno dei tre ragazzi alla sbarra per avere picchiato a morte Damiano Tamagni lo scor­so primo febbraio al carnevale di Locarno. Una pe­rizia che parte dai fatti, anziché dall’analisi delle lesioni riscontrate sul corpo di Damiano. Il 22en­ne di Gordola è deceduto in seguito alla lacerazio­ne dell’arteria vertebrale sinistra, un vaso sangui­neo che trasporta il sangue verso il cervello. Fio­ri sostiene che non sia possibile stabilire con cer­tezza quali colpi abbiano provocato la lesione le­tale. Ipotizzando, inoltre, che Damiano avrebbe potuto ricevere la botta mortale quando ancora si trovava in piedi. Di fronte Fiori si è, però, tro­vato quel Mauro Ermani che, giorno dopo gior­no, per abilità e per reattività, si sta dimostrando l’assoluto protagonista di questo processo. La gior­nata dei periti ieri si era aperta con l’arrivo in au­la di Antonio Osculati, autore dell’autopsia sul cor­po del 22enne di Gordola. Marko Tomic (19 an­ni), Ivan Jurkic (20) e Ivica Grgcic (23) erano di nuovo alla sbarra. Mancava, ovviamente, il quar­to imputato, il ticinese che ha partecipato all’ag­gressione: verrà processato a parte perché mino­renne. In aula, tra il pubblico, era tuttavia presen­te il suo avvocato, Ignazio Maria Clemente. Il ter­zo giorno di processo si accende nel pomeriggio. Dopo la relazione di Ennio Pedrinis, perito inca­ricato dalla famiglia Tamagni, in aula appare Fio­ri ed espone la sua versione. Lo fa con fermezza, appellandosi alla letteratura scientifica. Lascian­do trapelare, da subito, un dettaglio imbarazzan­te. Fiori, contrariamente agli altri due esperti, è partito dai fatti, anziché dalla scienza, per effet­tuare la sua perizia. Da quel momento l’atmosfe­ra si fa incandescente. Oggi, giovedì, si concluderà la fase istruttoria e la parola passerà alla procu­ratrice pubblica Rosa Item.
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Ecco i tre periti
ANTONIO OSCULATI Lavora per l’università e per l’ospedale di Varese come medico legale. Ha fatto il perito in vari tribunali italiani e svizzeri. Antonio Osculati è specialista dal 1999, anche se esercita questa attività dal 1995. Il 22 aprile del 2008 ha allestito un primo rapporto su Damiano Tamagni.
ENNIO PEDRINIS È il perito della famiglia Tamagni. Citato come teste, è stato consulente scientifico per la parte civile. Ennio Pedrinis, patolo­go, ha effettuato una seconda perizia su commissione dell’avvocato Diego Olgiati, legale dei Tamagni.
ANGELO FIORI È il perito di parte dell’avvocato Yasar Ravi, difensore di Marko Tomic. Angelo Fiori è professore all’Università Cattolica di Roma. Sostiene che non è possibile attri­buire a Tomic e a Grgic la responsabilità della morte di Damiano. La sua perizia, contrariamente a quella dei suoi due colle­ghi, parte dai fatti anziché dall’analisi del corpo di Damiano.
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I tre medici davanti al giudice
«C’è una sostanziale differenza di metodo, di approccio, nello stilare le perizie. Il dottor Osculati e il dottor Pe­drinis fanno astrazione dai fatti e si basano sugli indizi scientifici reperi­ti grazie all’esame autoptico. Mentre lei, dottor Fiori, intitola il suo primo capitolo “Circostanze dei fatti e situa­zione clinica”». Subito l’obiezione del giudice Ermani, per capire quale sia stato l’approccio utilizzato dal pe­rito della difesa di Marko Tomic. «Partire da dati scientifici per spiega­re i fatti è una cosa. Il contrario è un’al­tra », ha continuato il presidente del­la Corte senza mai mettere in dubbio l’affidabilità del dottor Fiori, ma pa­lesando una certa difficoltà nel com­prendere la metodologia utilizzata dall’esperto.
Questione di metodo?
«In Italia, dove ho partecipato a mol­ti processi in qualità di perito, è que­sta la prassi», ha spiegato Fiori. «Poi, ovviamente, sarà la Corte a giudica­re quali fatti siano veritieri o accerta­bili ». Ermani ha dunque rivolto mol­teplici domande a Fiori. Tra queste ha chiesto delucidazioni su come possa avvenire la lacerazione dell’arteria vertebrale intracranica, causa ultima della morte di Damiano, che ha pro­vocato un’emorragia massiccia, la quale ha compresso il cervello facen­dogli mancare ossigeno: su questo punto tutti gli esperti convergono. Ma poi iniziano a differire. Per Osculati e Pedrinis una lacerazione longitudina­le di 3 millimetri è notevole. «È alme­no pari al diametro dell’arteria stes­sa », ha spiegato quest’ultimo. «L’arteria in questione è fragile. La let­teratura parla di rotture spontanee, ma anche di lesioni registrate dopo una danza o con un massaggio chi­ropratico », ha poi asserito Fiori, ri­spondendo alla domanda del giudi­ce. Tesi che però non viene sposata dagli altri due esperti: «È raro che si rompa», hanno infatti sostenuto. E proprio questa rarità è la causa delle difficoltà a giungere a una visione del­le cose almeno in parte condivisa.
Il pugno che non c’è
Il primo a comparire in aula è stato Antonio Osculati, medico legale di Va­rese. Un uomo elegante, con baffi e pizzetto, dai modi di fare raffinati. È stato lui ad assistere Damiano quan­do la sua vita era ancora appesa a un filo. È stato lui, un paio di giorni do­po, a effettuare l’autopsia sul corpo del ragazzo. È stato lui a visitare To­mic, Grgcic e Jurkic sabato mattina 2 febbraio 2008. Osculati ha fugato ogni dubbio: Da­miano non ha ricevuto pugni al viso. Il cazzotto che Grgic continua a soste­nere di avere sferrato al giovane di Gordola, dunque, non c’è stato. O non è stato inferto in viso. Ma c’è di più. A risultare fatale per Damiano è sta­ta la lacerazione all’arteria vertebra­le sinistra. Una lesione che, secondo il medico, sarebbe stata causata da un movimento della testa complesso e improvviso. Un movimento che, so­litamente, è provocato dal contrasto con qualcosa di estremamente vio­lento. Osculati ha riscontrato, grazie a un esame microscopico, due lesio­ni “sospette” sul corpo di Damiano: una alla tempia e una al collo. A far­lo morire, stando alle dichiarazioni dell’esperto, potrebbe essere stata una sola di queste, come pure en­trambe. Poi in aula cala il gelo. Ermani legge a Osculati la versione del dottor Fio­ri secondo cui la lacerazione dell’ar­teria cranica sarebbe potuta avveni­re mentre Damiano si trovava anco­ra in piedi. «Non sono in grado né di smentire, né di sottoscrivere questa tesi», risponde Osculati. Tesi che con­fermerà anche nel confronto tra i pe­riti. Una cosa sembra però ormai as­sodata: la lacerazione dell’arteria è in­tervenuta per uno o più colpi al capo. Toccherà dunque alla Corte stabilire se Damiano abbia subito colpi alla te­sta prima di cadere a terra.
L’alcol non c’entra
In Damiano è stato riscontrato un tas­so di alcolemia nel sangue di 0,37 per mille. Un elevato tasso di alcol nel sangue può facilitare la lacerazione dell’arteria. Su questo tutti gli esper­ti concordano. Ma non è il caso. En­nio Pedrinis, perito della famiglia Ta­magni, ha specificato: «Una minima quantità di alcol può, al contrario, avere effetti positivi, poiché migliora la contrazione muscolare. Quindi, visto che Damiano, quando era anco­ra in piedi, era vigile e tentava di pa­rare i colpi, gli ha al limite permesso una migliore reazione dei muscoli del collo. È quindi poco probabile che vi sia stato un movimento anomalo del capo, tale da provocare la lacerazione, poiché anche il corpo si muoveva».
L’effetto zavorra
Pedrinis ha poi aggiunto un partico­lare interessante: «Quando Damiano è finito a terra, era sicuramente con­fuso, perché aveva anche subito del­le lesioni su varie parti del corpo». Una o più pedate alla gamba, tra gli altri colpi inferti al 22enne di Gordo­la. «Quando si è a contatto con il suo­lo è molto più probabile che un col­po al capo provochi una torsione del collo e quindi la lacerazione dell’ar­teria, perché il corpo funge da anco­ra, da zavorra», ha concluso l’esperto.
L’ipoplasia
Le arterie vertebrali sono di norma due. Una può però essere molto più piccola dell’altra. È il caso di Damiano. «Non è un’anomalia. È una variante anatomica», ha spiegato Osculati. E l’arteria lacerata è proprio quella più capiente. «L’altra, dunque, non ha po­tuto compensare la mancanza di san­gue nel cervello», ha aggiunto Pedrinis. Accelerando dunque la perdita di co­noscenza.
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I tempi per stabilire le colpe
Il tempo può giocare un ruolo deter­minante nello stabilire le colpe dei sin­goli imputati. Nel capire chi ha infer­to il colpo letale. Il professor Angelo Fiori sostiene che dal verificarsi della lacerazione all’arteria vertebrale alla perdita di conoscenza, con arresto cir­colatorio e respiratorio, possa passare anche un minuto. Quindi potrebbero essere stati anche i colpi inferti prima della caduta a terra a causare la mor­te di Damiano. Il dottor Antonio Oscu­lati parla invece di una manciata di se­condi. Mentre Ennio Pedrinis, perito di parte civile, scende più nel dettaglio, grazie alla sua esperienza in medicina clinica oltre a quella di anatomo pato­logo: «Quando si presenta un arresto cardiaco, bastano due secondi per ve­dere i primi sintomi. Entro i 5 secon­di può già manifestarsi uno stato d’in­coscienza. Oltre, diventa la regola».
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Seconda aula per accogliere tutti
Il processo Tamagni continua ad attirare molte persone. Non solo parenti e giornalisti. Ma anche gente comune che, per un motivo o per l’altro, vuole semplicemente assistere al dibattimento. La sala della corte delle assise criminali di Locarno si è rivelata troppo piccola per accogliere tutti gli interessati. Da ieri pomeriggio è, dunque, stata allestita una seconda aula, al primo piano del nuovo Palazzo amministrativo, in cui sono proiettate a circuito chiuso le immagini del processo. Una soluzione concessa dalla legge, nonostante il divieto di filmare i processi, grazie al consenso delle parti.
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Il commento
I morti vivi
di FRANCO LAZZAROTTO *
Cercata, attesa, sognata, accecante, te­muta, prodotta dal sole o dai riflettori, la luce resta per tutti noi elemento fisica­mente vitale. Ma è e sarà sempre, comun­que, unicamente luce “esterna”. Ben più vitale e si spera cercata, attesa e sognata, ma mai accecante e temuta, dovrebbe in­vece essere la luce che ognuno di noi rie­sce a far splendere dentro di sé. Una luce che di certo da mesi non splende più nei giovani sottoposti in questi giorni a giu­dizio, come non potrà mai più splendere nell’animo dei loro cari. Tutti loro sono in­fatti altrettante vittime, pur se ancora re­spiranti, di un’immane tragedia. E, come sempre capita di fronte a ogni tremendo fatto cui dobbiamo affiancare l’altrettan­to tragico aggettivo “evitabile”, eccoci qui ancora una volta, sicuramente e purtrop­po non l’ultima, a porci le classiche tre do­mande : Perché? Per chi? Per quanto? Al­la prima, oltre alla ricerca dei perché cui può e deve dare risposta, ci piaccia o no, unicamente l’autorità giudicante dobbia­mo aggiungere la lunga lista dei “perché” si sia giunti a tanto anche alle nostre, sem­pre credute immuni da questi fenomeni, latitudini. Ed allora improvvisamente ci potremmo forse sedere in tanti sulla se­dia degli accusati. L’ho sempre detto e scritto da subito: Damiano non lo abbia­mo ammazzato un po’ anche noi? Noi che magari di fronte a fatti già gravi e allarman­ti abbiamo preferito non denunciare, ab­biamo preferito volgere lo sguardo da un’altra parte, abbiamo preferito minimiz­zare, tanto da noi certe cose non posso­no capitare. Abbiamo preferito non met­terci, come adulti, in discussione. Abbia­mo preferito non chiederci se il mondo in cui i nostri giovani crescono non lo abbia­mo per caso creato noi. Si possono poi cer­to fare tutti i distinguo (alcuni anche cor­retti e da fare e dire senza mezzi termini) sui vari modi, sistemi, gradi e differenze di educazione, cultura e vissuto persona­le. Resterà tuttavia e sempre il rammari­co, soprattutto negli educatori come chi scrive, di non aver forse e purtroppo visto, capito, intuito segnali che avrebbero po­tuto e dovuto evitare la tragedia. Se solo dovessimo, con coscienza, anche solo ab­bozzare positiva risposta, diamoci una vi­stosa mossa e reagiamo come s’usa da parte di chi vuole e deve essere Cittadino responsabile. Facciamoci sentire chiaro e forte, ognuno nei suoi ambiti di compe­tenza, certo senza esagerazioni o preclu­sioni, ma come dovrebbe essere consono ai nostri radicati ideali. Chiediamo il to­tale e costante rispetto delle leggi vigenti e, se necessario (ed è palese che lo sia), proponiamone di nuove e più efficienti. Si leggano e, dopo democratica (nei mo­di ma non nei soliti lunghi tempi…) scel­ta, si applichino le misure ritenute effica­ci e contenute (anche) nei rapporti stesi per l’Autorità dai vari gruppi di lavoro. Mai facendo d’ogni erba il classico fascio, ma con assoluto rigore togliamo dal vivere so­cietario chi è e mette gli altri in palese dif­ficoltà, inserendolo in strutture adeguate di recupero (da costruire anche da noi molto in fretta) o rifiutando l’immeritata ospitalità a chi non ha capito o non vuol condividere (per scaltrezza e comodità) usi e costumi del tessuto sociale che lo circon­da. Se tutti, onestamente, decidono di far­lo, prepariamoci al più positivo terremo­to coscienziale! Purtroppo, la carta d’identità mi condan­na e mi riporta alla cruda realtà: dal no­stro osservatorio scolastico, certo di par­te, ma che, diciamolo forte e senza pau­ra, nella stragrande maggioranza dei suoi collaboratori è positivamente attivo e presente (e spesso e volentieri lasciato (...) * Direttore Scuola media di Biasca

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